Che cosa vuoi fare della tua vita, Francesco? Hai la possibilità di diventare un fuoriclasse “normale” […] Il bambino che giocava a Paperelle diventa la stella assoluta del Real Madrid, il suo numero 10, in proiezione il suo capitano […] Ma hai fatto abbastanza per sdebitarti con Roma, prima di lasciarla? […] Il fiume d’amore nel quale nuoti dal giorno del debutto, la tenerezza con la quale ti sostiene e ti protegge, la fede che ha in te – non la fiducia, la fede! – possono conoscere una fine? […] Penso, e mi commuovo. E decido. Non andrò al Real Madrid, perché non è la mia storia. La mia storia è Roma.
No, non è una di quelle favole che si leggono ai bambini per farli addormentare. E’ tutto vero. Ci sono stati dei calciatori che hanno messo la loro fede calcistica e l’amore per una maglia, una città, un popolo davanti ai contratti milionari offerti dai top club esteri. L’ultimo – ma solo in ordine cronologico – è stato Francesco Totti. Troppo era, anzi è, il suo attaccamento alla Roma, a Roma.
Un talento fuori dal comune, emerso sin dall’infanzia, nei pomeriggi passati a giocare a Paperelle, un gioco il cui obiettivo era quello di colpire bersagli in movimento. Zero difficoltà e una percentuale di errore quasi nulla per Francesco, grazie a due fattori che lo accompagneranno nel corso di tutta la carriera: il colpo secco e la perfezione nel controllo palla.
Signora Totti, suo figlio possiede qualcosa di speciale. Quando gioca a calcio non è un bambino come gli altri, e non è soltanto più bravo. E’ proprio un’altra cosa.
Ci aveva visto giusto il direttore tecnico della Fortitudo, prima squadra di Totti, che operava però solo nel quartiere. Bisognava spingersi oltre per non “sprecare” tutto quel talento. Si comincia con la Smit, con cui entra per la prima volta in quella che sarà la sua seconda casa, Trigoria, per poi passare alla Lodigiani, la terza società di Roma. Qui inizialmente gioca davanti alla difesa, centrocampista di regia, per via del suo fisico ancora non pronto, ma è un ruolo momentaneo. Il suo posto è la trequarti avversaria.
Signor Sagramola, Francesco vuole andare alla Roma e noi siamo qui per assecondare il suo desiderio
Correva l’anno 1989, quando la mamma di Francesco, la signora Fiorella riferisce al dirigente della Lodigiani la volontà di Totti (e della sua famiglia), dopo essersi presa un calcione di avvertimento dall’altro figlio, Riccardo – spaventato dall’idea che la mamma, vecchio cuore biancoceleste, potesse erroneamente pronunciare il nome dell’altra squadra della capitale, anch’essa interessata.
Il cuore mi balza in gola. Scatto in piedi, comincio a sfilarmi i pantaloni della tuta ma, per fare più in fretta, non tolgo le scarpe, cosa che porta ad un impaccio vergognoso, devo sedere a terra per farli passare faticosamente dai piedi, insomma un casino.
E’ il 28 Marzo 1993. Una data storica per il calcio italiano. Francesco Totti fa il suo esordio assoluto in Serie A, con la maglia giallorossa. L’unica maglia che indosserà fino al giorno del suo ritiro, ben ventiquattro anni dopo. Una carriera stupenda, arricchita da uno scudetto (2000-2001), due supercoppe italiane (2001 e 2007) e altrettante vittorie in Coppa Italia (2006-2007 e 2007-2008), oltre ad una Scarpa d’Oro nel 2007.
Mi incammino guardando Schwarzer, che ha iniziato la liturgia del portiere prima di un calcio di rigore: i movimenti, i passetti verso l’arbitro, due parole con lui per sdrammatizzare. Cammino e penso, parlo persino, sussurrando fra me e me: “Gli faccio il cucchiaio?”
L’altro colore amato da Francesco Totti è stato l’azzurro, a cui il capitano dedica una finestra piuttosto ampia nel suo racconto. E, anche in questo caso, è stato un amore reciproco. Giocare per la Nazionale è un sogno ed essere rappresentati da campioni – e in quel ventennio ce n’erano a flotte – è motivo d’orgoglio. Il culmine dell’avventura azzurra, che corrisponde anche alla sua ultima apparizione con l’Italia, è senza alcun dubbio la vittoria del Mondiale di Germania, nel 2006. Prima del rigore contro l’Australia però, il numero 10 ha rischiato di perderlo quel Mondiale. A Febbraio è vittima di un infortunio terribile, con tempi di recupero di almeno sette mesi. La sua forza di volontà, l’affetto mostratogli da compagni e allenatori (Lippi e Spalletti, versione Dr. Jekyll), famiglia e tifosi gli hanno consentito una guarigione lampo – tre mesi appena. E in quel rigore c’è tutto questo. Non si può sbagliare. E infatti la palla va all’incrocio dei pali, imparabile.
Essere preparati è il minimo. Se non sei preparato non devi andare in onda. Non devi scrivere. Non cominci neanche a parlare. Poi devi essere empatico. Trasmettere quello che provi.
Queste parole non le troverete all’interno del libro, ma rappresentano a pieno quello che è stato il lavoro fatto da Francesco Totti, contenitore di ricordi, e dal grande Paolo Condò, che con la sua penna magica ha dato vita ai racconti del Capitano, trasportando il lettore accanto alla Stella nella Fiat 126, negli spogliatoi di Trigoria e in tutti i vari momenti, belli e brutti. Due Campioni delle loro categorie, un unico grande capolavoro!
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