Film del 2015 diretto dal regista Peter Landesman, Concussion (conosciuto in Italia con il titolo Zona d’ombra – Una scomoda verità) è una pellicola che ha fatto molto discutere negli Stati Uniti perché è andata a toccare uno dei mostri sacri della cultura sportiva statunitense, il Football, e di conseguenza, la lega che lo dirige dal 1920, la NFL.
Tutto inizia nel 2002 a Pittsburgh, uno dei fulcri nevralgici del football a stelle strisce e sede di una delle franchigie più vincenti della storia, gli Steelers.
Un neuropatologo nigeriano, il dottor Bennet Omalu (interpretato da un ispirato Will Smith) deve effettuare l’autopsia su una leggenda della NFL proprio degli Steelers, Mike Webster; ad una prima, sommaria impressione, il giocatore, un uomo di 50 anni caduto in miseria dopo i fasti sportivi, sembrava il classico esempio di giocatore che, una volta terminata la carriera, non era riuscito a reintegrarsi in una vita sociale normale cominciando sempre di più a mostrare segni di squilibrio mentale.
Il protagonista è l’unico a non pensare che l’uomo non fosse solo diventato pazzo, ma che dietro la sua morte ci fosse una ragione ben più drammatica. Per tale motivo cominciò a svolgere autonomamente e addirittura di tasca propria esami più approfonditi scoprendo che il cervello della vittima era stato seriamente danneggiato dai ripetuti, violentissimi scontri avuti nell’arco della sua carriera provocando una malattia neurodegenerativa che denominò CTE (encefalopatia cronica traumatica).
Da quell’anno, fino al 2006, altri 3 famosi giocatori (Andre Waters, Justin Strzelczyk e Terry Long) morirono suicidi dopo aver accusato gli stessi sintomi di Webster e così la tesi del dottor Omalu si rafforzò fino a portarlo a sfidare apertamente l’NFL, pubblicando l’esito dei sui studi su una specializzata rivista di medicina.
Il medico non fu però ascoltato e fu tacciato di essere solo un dottorino in cerca di popolarità con le sue strampalate e fantasiose teorie.
Dopo aver ricevuto parecchie minacce, deluso e frustrato, decise di lasciare Pittsburgh e di trasferirsi in California con la sua compagna sapendo, in cuor suo, di non essere stato ascoltato.
La svolta però ci fu nel 2011, quando l’ennesimo giocatore, il grande defensive back Dave Duerson, si suicidò sparandosi al petto lasciando però una lettera dove donava il suo cervello alla scienza affinchè fosse studiato per evitare, in futuro, altre fine così tragiche di ex giocatori professionisti.
La storia venne riportata anche sulla rivista GQ dalla giornalista Jeanne Marie Laskas e finalmente, in una importante conferenza stampa, il dottor Bennet scoperchiò il vaso di Pandora svelando al mondo i gravi rischi che si corrono giocando a football e il suo nome venne definitivamente riabilitato ricevendo anche una proposta lavorativa nelle sedi governative di Washington che però rifiutò scegliendo di esercitare la sua normale professione in California, dove ormai si era stabilito con la famiglia.
Per dare un’idea di cosa sia il football negli Stati Uniti basterebbe ricordare che sono stati solo 11 gli spettacoli televisivi negli USA ad aver avuto una media di oltre 100 milioni di spettatori e 10 di questi sono stati dei Superbowl (unico “intruso” l’ultima puntata di MASH nel 1983):
Inoltre, data l’altissima audience, gli spazi pubblicitari durante la finale sono ambitissimi e costosissimi; aziende commerciali arrivano a pagare fino a 4 milioni di dollari uno spot di 30 secondi…
Questi dati testimoniano che attaccare la Lega pubblicizzando la pericolosità del gioco sia molto rischioso; accusare un’istituzione così famosa e potente di non curare e proteggere la salute dei giocatori e dimostrare anche quanto fosse ostile nell’intraprendere eventuali misure di protezione ha infatti costretto Bennet ha dover cambiare addirittura Stato per continuare a svolgere la propria professione.
Ma la sua perseveranza, alla lunga, ha portato ad avere coscienza dei potenziali enormi rischi a cui questo sport può portare.
A militare nel football professionistico giungono tanti giovani ragazzi americani con parecchi problemi alle spalle; chi di droga, chi di emarginazione sociale, chi di gravi situazioni familiari e, spesso e volentieri, lo sport è l’unico mezzo che hanno questi ragazzi per poter avere un futuro pseudo-normale. A questo pensano spesso le loro famiglie; lo sport come unico mezzo per poterli “levare” dalla strada, unico viatico per avere una borsa di studio in un college e sperare per i propri figli un futuro migliore di quello che si prospetta. Ed il football, da sempre, accoglie e raccoglie tanti di questi casi. E i ragazzi sono disposti a tutto per poter riuscire ad arrivare a giocarci, anche a mettere a repentaglio la loro stessa salute. Ed avere una Lega che non solo nasconde la testa sotto la sabbia quando viene messa in discussione, ma addirittura esalta la violenza del gioco, beh verrebbe da dire che abbiamo un problema.
La posta in gioco è quindi enorme e si sa che più è importante un evento, più forte e pericolosa è la cassa di risonanza che può avere qualsiasi variabile che lo critichi o lo minacci.
Ma per fortuna, anche se non spesso, i soliti interessi economici vengono scavalcati da qualcosa di più importante.
Sperando che l’esempio dato dal dottor Bennet from Nigeria sia da monito a chi mette il business sempre davanti a tutto.
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