Calcio

La Serie A riparte. Torniamo a inseguire il respiro del pallone

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«Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio»

Questa celebre frase dello scrittore e intellettuale argentino Jorge Luis Borges è perfetta per il momento che sta vivendo il calcio e per farci sintonizzare al meglio sulle frequenze di ciò che potrebbe attenderci nei prossimi mesi. Ha il respiro salvifico del pallone, lieve all’impatto con un piede educato, ingannatore come può essere un rimbalzo, fragoroso come una saracinesca colpita dai sogni. È di questo che può riappropriarsi il calcio che sfida il COVID, dell’essenza dei propri suoni atavici, quelli di quando giocavamo per strada o al parco fantasticando di essere a San Siro, quelli delle prime partite con l’arbitro che fa il riconoscimento nello spogliatoio, le urla del mister che arrivano fino in fondo alla via e solo qualche genitore e pochi amici a osservarci dalle tribune.

Adesso è ufficiale: dopo Germania, Spagna e Inghilterra, dal 20 giugno il calcio riaprirà i battente anche in Italia. La Serie A ha trovato il modo per ripartire, pur trascinandosi dietro una messe di perplessità, più o meno legittime, che in questa occasione mi permetto di bypassare. Tutte tranne una. Tra le frasi più gettonate di queste settimane c’è «il calcio senza tifosi non è calcio» e le sue varie declinazioni. Ben lontano dal voler sminuire la magia di uno stadio stracolmo di cuori pronti a esplodere o a sgonfiarsi, di voci che si incontrano tra le note di un coro, la sensazione unica di correre a prendersi l’abbraccio della curva dopo un gol, rivendico in maniera convinta che può esserci anche molto altro dietro un pallone che rotola.

Nessuno mi convincerà che quello dei bambini che giocano al parco non sia un calcio che può regalare emozioni, eppure non ci sono tifosi a idolatrarli o fischiarli. Però c’è altro. Ci sono le voci concitate per dire a un compagno di rientrare in difesa, il rumore sordo di un contrasto duro, la percezione del respiro affannato mentre si rincorre un pallone. E quando siete entrati in una squadra vera, non vi sembrava forse di giocare a calcio anche se in tribuna a guardarvi c’erano venti persone? Nelle nostre teste stavamo disputando le partite più importanti mai giocate. Si sentivano i mister imprecare, i compagni mandarsi a quel paese e poi scambiarsi un cinque, il ghigno di dolore per una gomitata ben assestata e le panchine urlare proteste ed incoraggiamenti.

«Sarà così per qualche mese, ma questo non significa che il calcio non resti lo sport meraviglioso che è. Tutti abbiamo cominciato a giocare senza tifosi intorno»

In una recente intervista alla Bild, anche Jurgen Klopp, uno che ha sviluppato una simbiosi quasi viscerale con la Kop di Anfield e il “Muro Giallo” del Westfalenstadion, ci ha ricordato che il calcio rimarrà calcio anche così, a patto di saper pizzicare le corde giuste. Quello che abbiamo giocato da piccoli, quello di cui ci siamo fatalmente innamorati, aveva il rumore di ciò che avveniva in campo, ciò che dovremo essere bravi a recuperare nei difficili mesi che ci costringeranno a vedere gli spalti vuoti.

Chi ce lo racconterà avrà il compito fondamentale di restituirci tutto questo. Meno urla disumane del telecronista a celebrare un gol e più spazio alla gioia di chi ha segnato, una disamina in meno su diagonali e marcature preventive e un orecchio in più al suono che ci regala l’impatto del piede col pallone. Trenta secondi di audio ambientale al posto dell’intervento di un bordocampista potrebbero permetterci di cogliere l’incazzatura del portiere coi difensori che hanno mancato una chiusura, l’allenatore che incita i suoi o li riprende, il libero che a gran voce invita la linea difensiva a salire, anche se ormai non esiste più, il libero. Potrebbe perfino sorprenderci il sibilo dolce di un pallone che s’insacca accarezzando la rete, o l’emozione violenta di un tiro che la sconquassa.

Per riappropriarci dei rumori del campo avremo bisogno di una buona dose di silenzi e di tornare a fantasticare di calcio, come quando eravamo bambini che giocavano per strada inseguendo il respiro del pallone. Poi gli stadi ricominceranno di nuovo a riempirsi di colori e canti, della passione di tanta gente. E sarà ancora più bello.

Vincenzo Bruno
Laureato in Lingue e Letterature Moderne, nato a Palermo nel 1983, vive a Isola delle Femmine, piccola località costiera alle porte del capoluogo siciliano. Aspirante insegnante e appassionato di sport, letteratura e storie, nella sua pagina Instagram “Gente di Sport” alimenta l’amore per la scrittura facendovi convergere spesso le sue più grandi passioni. Due suoi racconti brevi, Notti Bianche e La Prima Volta, sono stati inseriti nella raccolta Pausa caffè: letteratura espressa, pubblicata da Prospero Editore nel 2016.

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