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Tadej Pogačar ti voglio bene

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Tadej Pogačar ti voglio bene, scrive il sottoscritto al caldo di un’afosissima serata romana a cinque primi dal proprio ventiduesimo compleanno. Senza aver visto nemmeno un decimo dell’edizione 2024 del Tour de France. Immaginando l’attacco, lo scattino e il turbinio di Watt di chi sa di non esser un mero espediente nel grande vortice narrativo del ciclismo.

Tadej Pogačar, ripeto, ti voglio bene. Voglio bene al tuo nuovo ciclismo, alla tua spensieratezza e a quella solitudine che per osmosi trasmetti a chiunque voglia giocare in bici, pur a ventidue anni suonati, a essere Tadej Pogačar. Ti voglio bene perché vinci. Per quanto ci si spacci esteti, quel fulgido fare dominante ci pervade e attrae. Già detto, ti voglio bene.

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Palli Palli

Vivere nell’odierna Corea del Sud non deve esser semplice, o meglio non lo sarebbe per chiunque bazzichi la tranquillità e la flemma mediterranea. Loro corrono e corrono. Pensano e agiscono. Costruiscono edifici tecnologici e tecnologici ponti finanziari. Innovano.

Producono un’idea e mettono in atto ciò che essa possa implicare. Uno schema vincente, almeno apparentemente. A tal punto d’aver indotto il conio dell’espressione “palli palli“. Filosofia di vita potremmo definirla. Vivere di corsa o correndo, pensando ma non riflettendo. Facendo numeri e inanellando prestazioni mostruose di vita quotidiana. Questi è Tadej Pogačar?

La mente riflette sull’idea pervenutagli all’improvviso, codifica uno schema di messa in atto ed elabora le presunte conseguenze. Riflette dunque su quello che in realtà vorrebbe fare e probabilmente farà. Esacerbare l’esigenza di render vivo quel pensiero lampo. Questo è ciò che fa la nostra mente, così distante dal “modus” coreano.

Ore e ore in bici puntando l’obiettivo. Il Tour a ottobre si svela come il sole in una calda mattinata invernale. L’alba come genesi di un pensiero a cui seguiranno pedalate e pedalate. La mattina il cuore tentenna, la tappa passa e ormai il colle è giunto. Mesi e mesi di riflessioni condensate nell’attimo dell’azione. Nessun “Palli Palli”. Tadej Pogačar avrà immaginato per mesi di stracciare il tempo di Marco Pantani a Plateau de Beille e al contempo sperato di cadere a Biella vincendo poi in solitudine dinanzi al santuario di Oropa. Eppure di reazione si sarà sciroppato chilometri e chilometri in solitaria fra Strade Bianche e Tour.

Insomma un po’ “palli palli” e un po’ coscienzioso.

L’arroganza del M(C)OU

Tom Dumoulin avrebbe accusato Pogačar d’arroganza si vocifera su X. Uno dei più grandi corridori del decennio passato per potenzialità e valore personale ha effettivamente condiviso un pensiero simile. Un pensiero forse nemmeno troppo esecrabile. Lo sloveno è veramente arrogante. Arrogante come chiunque, per propria fortuna, esprima peculiarità uniche. Perché il ciclismo come la vita non è altro che un’immensa “botta di culo” contornata da fatica immane e sofferenza.

Con una sprezzante sortita fa capolino il monossido di carbonio, il nuovo “segreto” dei ciclisti contemporanei. L’arma nascosta che gli scalatori utilizzerebbero per infrangere record e riscrivere i connotati della definizione di “prestazione monstre”. Rebreathing, ovvero l’inalazione del monossido di carbonio, diviene l’asse trainante di una montagna di articoli. Il solito sensazionalismo da Tour. La solita solfa di un sistema poco riflessivo e molto arrogante. Sostantivo che a quanto pare si leghi al ciclismo meglio di una camera d’aria intorno al busto di un ciclista sul San Luca.

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E poi c’è Mou, un utente social apparentemente ben fornito di notizie e spunti sulle prestazioni del vincitore del Tour. Spacciatore di scalpore, fondamentale nel rendere ancor più surreale il clima di un Tour generazionale. Tifosi persi dinanzi a quello che pensavano potesse essere relegato alla sola memoria. Giro, Tour; Liegi e chissà cos’altro.

Non so cosa tu sia Tadej. So che siano ormai quasi le tre di notte e che tu domenica avrai vinto il Giro e il Tour in soli due mesi. Insieme a te e per via di te da Cortals d’Encamp alla Vuelta 2019 sono cresciuto o forse siamo un po’ tutti, compreso il più grande scalatore del millennio (Jonas Vingegaard).

Tutto il resto non conta più. Ora mi lascio a un righettato Gigi Marzullo che da qualche ora accompagna questo flusso inerme e stolto di parole.

Immagine in evidenza a cura di Riccardo Pozzato (@ricde.sign)

Leonardo Bonocore

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