Ciclismo

Strade Bianche – La monumento che non c’è

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Come ogni primo sabato di marzo anche quest’anno si terrà la Strade Bianche. Giunta alla sedicesima edizione, la corsa senese, vedrà come di consueto al via un pacchetto di corridori di assoluta qualità. Su tutti indubbiamente il campione del mondo Julian Alaphilippe e il duplice vincitore del Tour Tadej Pogacar. Assenti di fama saranno Wout Van Aert, il belga, a sorpresa, ha scelto la Parigi Nizza per preparare la Sanremo e la campagna del nord, e il vincitore uscente Mathieu Van Der Poel, alle prese con un problema alla schiena che rischia di mandare all’aria tutti i piani per le classiche.

LA strade Bianche

Quello della Strade Bianche è oramai un appuntamento iconico. La polvere in caso di giornate soleggiate, il fango sotto il diluvio, sono tutti elementi che hanno portato le passate 15 edizioni nel grande olimpo del ciclismo epico. Quell’olimpo che ospita l’immagine di uno sport eroico, fuori dal tempo e legato alle più mere vie “liete” della nostalgia.

Così lo scorso anno il nostro @Marcod’Onorio raccontò la corsa:

 

Ma non basta il palmarès dei protagonisti a rendere ciò che hanno trasmesso sabato e soprattutto quello che hanno plasmato: la definitiva consacrazione della Strade Bianche. Come il Demiurgo, nella filosofia platonica, plasma la materia contemplando le idee, così i magnifici sette al comando ieri hanno innalzato una volta per tutte la Strade Bianche nell’Olimpo del ciclismo. Il tocco finale l’ha dato il vincitore Mathieu van der Poel sullo strappo di via Santa Caterina, trasformato per sempre in rampa di lancio verso la gloria di Piazza del Campo. Uno scatto impressionante dopo una corsa a dir poco logorante, uno scatto che proietta la Strade Bianche tra le Monumento, nell’Iperuranio restando nel gergo platonico. Uno scatto, infine, in grado di trascendere il reale e qualsiasi sua forma, compreso il computerino sulla bici di Mathieu che è letteralmente esploso.

La Strade Bianche è dunque un crogiuolo di sensazioni e di emozioni che creano fermento fra i corridori e fra i tifosi. L’eccitazione che la corsa degli sterri provoca fra gli appassionati non può che avere pochi uguali. Ma proprio tale sentimento unico non può che far porre un quesito. La Strade Bianche per l’importanza acquisita e per lo spettacolo usualmente offerto merita l’appellativo di Monumento?

Monumento o semplice classica?

Nel gruppo la linea di pensiero appare comune e ben condivisa. Un paio di anni orsono Wout Van Aert intervistato dalle penne di inbici.net definì l’invenzione di Rcs “la sesta classica monumento”. Dello stesso avviso sono  moltissimi altri professionisti del lotto.

La Caduta di Wout Van Aert sul muro di Santa Caterina alla Strade Bianche del 2018 – © gruberimages

Ad una domanda del genere non può però, naturalmente, corrispondere una risposta univoca. Da una parte la corsa toscana si scontra contro un insormontabile muro storico: la sola quindicina di edizioni non giova assolutamente. Le 5 monumento rappresentano il pacchetto più antico delle classiche che oggi fanno parte del circuito internazionale, seppure nell’effettivo vi siano corse tradizionalmente più antiche o coeve. Su tutte la Milano-Torino e la Paris-Tours. Dall’altra, lo spettacolo che offre apre ad un’interpretazione nuova dello stesso termine Monumento.

De facto mai nessuna corsa ha messo così in crisi la definizione di Monumento. Una definizione squisitamente moderna che vide il proprio rafforzamento ideologico a partire dalla grande crisi del protour del 2008. Il concetto Monumento assume inevitabilmente il ruolo di un ibrido conteso fra la storia, il prestigio, lo spettacolo e la potenza degli organizzatori. Non è un caso se l’appellativo ebbe vita proprio a partire dalla metà del secolo scorso, in quella che potremmo definire l’era d’oro dei grandi patron (Torriani, Goddet ndr). Non ci domanderemo in quest’articolo se sia stato giusto innalzare un manipolo di corse ad uno status superiore. Il tutto forse senza che qualcuna ne avesse i requisiti adatti.

Le monumento oggi

Nel ciclismo odierno le monumento sono comunque un cardine portante del calendario, un’elemento di prestigio che ben lega con la modernizzazione cui va incontro il mondo del pedale. Esse superano i confini del mero spettacolo e propongono scenari unici e ineguagliabili. Come I 10 minuti di puro fermento sulle strade della riviera di Ponente. O come quei  poco più di mille metri dall’odor muschiato del Kapelmuur inaugurati per la prima volta dalle ruote mitiche di Fiorenzo Magni nel 50′.

Conclusione

Insomma ad oggi appare assai prematuro affibbiare “all’eroica” l’appellativo di monumento, seppur degli elementi che la rendano unica vi siano. La mancanza di un canovaccio storico e forse anche di un percorso “da monumento”, in particolare dal punto di vista chilometrico, la recludono nel semplice mondo delle Classiche.

Le voce dei corridori seppur non vada in suffragio dell’affermazione precedente in realtà ne sugella fortemente i connotati. La stragrande maggioranza dei grandi atleti infatti non è solito porre la Strade Bianche come un obiettivo primario stagionale, bensì come una gradita tappa di avvicinamento alle venture monumento.

Quello della corsa senese è un “casus belli” che porta inevitabilmente a porci un altro interrogativo. Sarà giunto mai il tempo di istituire un’altra definizione gergale da affibbiare a tutte quelle corse cui il semplice appellativo classica va ben stretto? Un dilemma che lascia un portone assai aperto. Quel che è certo è quella corsa nata nel vicino 2007 continuerà a mietere appassionati nel globo e a regalare emozioni uniche con o senza l’appellativo di Monumento. Forse alle volte il pubblico ciclistico dovrebbe concentrarsi più sullo spettacolo e meno su dilemmi ampiamente inutili.

Immagine di presentazione televisiva della prima storica edizione delle Strade Bianche – © RaiSport

 

 

 

 

 

 

 

Leonardo Bonocore

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