Calcio

Spazio Urbanski, quella sottile linea di divisione tra pubblico e privato – Con Emanuele Rinaldo Meschini

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Ho avuto il piacere di incontrare e conoscere Emanuele Rinaldo Meschini ad una due giorni dedicata al calcio organizzata dalla mia Università. Non sono molti gli enti pubblici che dedicano allo sport uno spazio così esclusivo; al contempo, non sono molti gli enti pubblici che chiamano a fare uno degli interventi ricercatori come Emanuele. Un ricercatore, per l’appunto, che mi colpisce nel modo di parlare e soprattutto nel modo di presentare gli eventi da lui organizzati. Il prossimo, Spazio Urbanski, mi attira particolarmente

Già, un nome simpatico, storpiatura del termine “urbano” con il nome del giocatore bolognese Urbanski. Ci troviamo a Bologna in effetti. Meschini è un artista del calcio: fondatore del collettivo Autopalo, il suo obiettivo è la ricerca all’interno di quelle dinamiche sociali e di riqualificazione urbana attraverso la riflessione e l’organizzazione di veri e propri eventi artistici, come appunto è stato Spazio Urbanski, organizzato all’interno della rassegna Prospettive, finanziata dalla regione Emilia-Romagna e dalla Casa della Cultura Italo Calvino. E il nome non poteva essere più azzeccato in tutta onestà.

Ci troviamo a Calderara di Reno, nei pressi di Bologna. Io non sapevo nulla, se non a spicciolate, di questo evento: Emanuele nell’intervento lo aveva solamente citato in conclusione, per mancanza di tempo. Eppure sentivo che era qualcosa a cui valeva la pena partecipare. Mi presento ai presenti e, lungo la camminata che ci porterà nel luogo dell’evento, qualcosa mi è spiegato. Calderara di Reno è una zona da sempre periferica di Bologna, all’interno della quale le industrie sono particolarmente presenti. Da qualche tempo a questa parte, però, è stata avviata una sua riqualificazione: semplicemente passeggiando lungo le vie della città si possono notare costruzioni su costruzioni che hanno l’obiettivo di garantire alla società della zona un luogo tranquillo, vicino a Bologna, in cui si possa vivere. Ecco perché sono molti i condomini in progetto. Per fare questo, però, chilometri di verde, di quello spazio pubblico che si tende a definire e chiamare tale, sono stati occupati.

L’assurda visione del verde e delle costruzioni, un preoccupante tutt’uno

E l’obiettivo di Emanuele è proprio questo: portare una riflessione sulla tematica dello spazio privato e di quello pubblico. È sottile la linea di demarcazione a riguardo: ci spostiamo a piedi in quello che dovremmo definire appunto spazio pubblico, trincerato tuttavia dal privato. Un piccolo parco curato, oasi felice delle famiglie che verranno ad abitare quelle zone, con tutt’attorno l’incolta erba dello spazio privato dei cittadini che verranno ad abitarvi. All’interno del parco, tre collinette: paradossale il fatto che siano collinette pubbliche ma soprattutto artificiali. È in cima ad ognuna di esse che sono state posizionate tre porticine: l’obiettivo è quello di segnare più gol possibili in due minuti, formando squadre da tre. Più persone toccano il pallone, più punti si ottengono, e se si vuole addirittura osare vi è anche la possibilità di replicare, per quanto possibile, tre gol storici di giocatori del Bologna: se lo si fa e si segna, sono cinque i punti guadagnati. In palio biglietti per andare a vedere la squadra di Serie A che quest’anno gioca pure la Champions League.

Niente da fare, tirano dentro pure me. Il clima è amichevole e paradossale: si gioca attorno alle costruzioni, nell’unico spicchio ancora pubblico ma totalmente artificiale che il comune di Calderara gentilmente offre ai suoi affamati cittadini. L’area verde che rende legittima la struttura. È l’estremizzazione della definizione del non luogo, ovvero di uno spazio senza identità: una volta, non luogo era considerato qualsiasi cinema multisala, qualsiasi centro commerciale, qualsiasi aeroporto o stazione, in qualità di luoghi artificiali dove le relazioni erano pressoché inesistenti. Ora, forse, il concetto dovrebbe essere cambiato: le relazioni, nei non luoghi, si creano, si generano, ma uno spazio di questo tipo è totalmente artificiale e ha lo scopo di spronare le persone all’acquisto di un appartamento in cui vivere. La sua spontaneità svanisce: non è un parco creato su uno spazio verde esistente, per permettere ai bambini delle case che lo attorniano di avere un’ora di svago dopo i compiti, ma è un parco artificiale, creato su base artificiale, su uno spazio pubblico attorniato dal privato e forse più privato che pubblico, e che per questo perde la sua naturalezza. Lo scopo è l’attrazione dell’acquirente.

Ecco che il gioco, in tutta la sua spontaneità, all’interno di un piccolo spazio, solleva una polemica allegra, una critica generale e costruttiva, una riflessione implicita. Dove sta la liceità di consumo dello spazio pubblico a questi fini? Quale è il limite che si deve rispettare e non superare? Sono molte le domande che si sollevano: eppure, nel gioco non importa. Nel gioco ci si diverte, si tenta di segnare in situazioni improbabili come in una collina, si ride e si scherza. E poco importa se si perde contro dei ragazzini di 14 anni: anzi, l’obiettivo di Spazio Urbanski è raggiunto ancor meglio. Sono proprio loro, che queste domande meno tra tutti se le pongono, ad essere l’esempio del gioco per antonomasia. Nessuno, meglio di questi ragazzi, poteva rappresentare lo spirito reale che Emanuele, e tutto il collettivo come Giorgia Tronconi e Amerigo Mariotti, rappresentanti di Adiacenze e curatori del progetto, volevano portare alla luce.

Per quanto mi riguarda, ho sicuramente vinto il premio di consolazione “maggior numero di pali presi”.

Mattia Piovesan

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