Parte oggi una nuova rubrica di Vita Sportiva: “Every Sport Is My Sport”.
L’obiettivo è quello di ribadire che ogni disciplina sportiva deve essere trattata con pari qualità e dignità, riservando loro lo spazio che meritano.
Proveremo a realizzare insieme a voi un viaggio tra gli sport di cui di volta in volta ci occuperemo, guidando anche chi non li conosce bene con presentazioni, approfondimenti e delucidazioni tecniche e regolamentari.
“Every Sport Is My Sport” sarà uno spazio in cui esplorare con più attenzione realtà già conosciute e scoprirne di nuove.
“Dunque, gli appassionati di uno sport sostengono che quello sport è intrinsecamente migliore di un altro. Per me, tutti gli sport sono occasioni in cui altri esseri umani ci spingono ad eccellere.”
La massima è dell’attore Robin Williams nei panni del professor John Keating, iconico protagonista del film “L’attimo fuggente”, e racchiude buona parte dell’essenza dello sport. Non esistono discipline migliori o peggiori, più belle o più brutte, più o meno degne; esistono i gusti, le abitudini, le tradizioni e la storia che le rendono più o meno diffuse e seguite, quello sì. Ed esistono gli uomini che con le loro gesta, la passione, il racconto, valorizzano ed esaltano la pratica sportiva, qualsiasi essa sia.
Da questo punto di partenza muove la riflessione che state per leggere, ispirata da un confronto interno alla redazione di Vita Sportiva. Continuare a constatare come in Italia per i mezzi di comunicazione, e non soltanto per loro, la parola “sport” corrisponda quasi esclusivamente alla parola “calcio” può non apparire particolarmente originale ormai, ma di sicuro continua a risultare avvilente. In questo caso, però, a differenza di ciò che avviene di solito quando salta fuori l’argomento, non verranno prese in esame soltanto le responsabilità dei media, che pur esistono e sono determinanti, ma si cercherà di esaminare anche quelle di altri agenti che dovrebbero contribuire ad alimentare la cultura sportiva nazionale, ovvero istituzioni, federazioni e gli stessi appassionati.
Prima di addentrarci nella disamina, però, appare utile fissare un altro punto fermo non derogabile: il calcio non ha assolutamente nessuna responsabilità su quanto gli altri sport vengono trascurati. Chi vi scrive ha una radicata formazione calcistica, non è un hater appassionato di qualche altra disciplina e invidioso della popolarità di cui gode il mondo del pallone.
Media
I mezzi di comunicazione sono sicuramente la parte su cui è più facile puntare il dito, perché deresponsabilizza tutti gli altri. Spesso non si tiene abbastanza in considerazione che giornali e TV sono aziende che devono creare profitti, vendere copie, abbonamenti e spazzi pubblicitari per mantenersi in vita e, quindi, preservare posti di lavoro. In quest’ottica nessuno può negare che sia fatale dare centralità e più spazio a una disciplina che risulta essere abbondantemente la più seguita, ma ciò non giustifica l’esagerazione alla quale assistiamo ormai da diversi anni. Contestare le prime pagine dedicate alla Serie A il lunedì e nei week-end, o alla Champions League a metà settimana, sa tanto di populismo; ma d’altra parte anche abusare della popolarità del calcio risulta stucchevole e, consentitemi, diseducativo. Nei giorni scorsi ho sentito il grande coach del basket Boscia Tanjevic dire: «Ho sempre pensato che giornalisti e allenatore abbiano un compito in comune: educare».
E’ questa la visione alla quale faccio riferimento quando utilizzo il termine “diseducativo”. Va benissimo dare le prime pagine al calcio giocato e alle belle storie che può regalare, diventa invece svilente leggere per due mesi d’estate ogni giorno titoloni e articoli su voci, spifferi e pettegolezzi di calciomercato, su trattative che quasi sempre non presentano vere evoluzioni rispetto ai giorni precedenti. In quegli stessi giorni spesso si svolgono eventi sportivi di rilevanza internazionale, magari anche con atleti italiani impegnati, ai quali vengono dedicati trafiletti, riquadri e poche righe, spesso buttate giù in maniera approssimativa e con errori grossolani.
Soltanto per restare alla settimana appena trascorsa, uno dei maggiori quotidiani sportivi italiani ha pubblicato nella propria versione online la notizia che il giovane talento belga del ciclismo Remco Evenepoel aveva vinto la cronometro dei Campionati Europei Under 23, quando in realtà si trattava della gara Elite, nella quale peraltro la medaglia di bronzo era stata conquistata dall’azzurro Edoardo Affini. Oppure si dà il caso di un TG che si definisce sportivo e presenta una serie di servizi sui profili Instagram dei calciatori, senza nemmeno fare accenno alla qualificazione olimpica della Nazionale femminile di pallavolo o all’imminente pre-olimpico che avrebbe dovuto affrontare quella maschile. E sono soltanto due esempi sulle decine che si potrebbero portare. Sono queste le circostanze in cui non si possono trovare giustificazioni ai mezzi di comunicazione. Perfino atleti di primo piano, negli anni, non hanno mancato di sottolineare la deprecabile deriva gossippara dell’informazione sportiva italiana.
È bello vedere che nel più grande quotidiano di informazione sportiva italiano, in prima pagina, viene dato più spazio al trio icardi-lopez-Wanda nara e alle loro scorribande, che alle nostre medaglie all europeo… #iononstozitto
— Luca Dotto (@dottolck) December 16, 2017
(Il nuotatore azzurro Luca Dotto esprime il proprio rammarico durante i campionati europei in vasca corta di Copenaghen del 2017)
Agli sport che non sono il calcio andrebbe non solo dato più spazio, ma soprattutto dovrebbero essere trattati con la qualità che meritano, riservando loro pezzi di vero approfondimento che restituiscano a lettori e spettatori una visione completa di eventi e personaggi delle varie discipline, senza rimanere ancorati soltanto al proprio orticello e ad eventuali exploit da cavalcare. Perfino i grandi successi internazionali a volte non bastano a garantirsi le prime pagine, spesso si rivelano più efficaci scandali e gossip.
Istituzioni e Federazioni
Dove non arrivano i mezzi di comunicazione, dovrebbero essere in grado di arrivare istituzioni e federazione. Senza addentrarci su come vengono trattate educazione motoria e fisica a livello scolastico, che altrimenti un articolo non basterebbe, è sufficiente concentrarsi sul deficit di strutture sportive adeguate che è sotto gli occhi di tutti. In diverse zone d’Italia i ragazzini non possono trovare traccia di gran parte delle discipline, non soltanto su giornali e TV, ma ancora meno guardandosi intorno nel loro territorio. La mancanza di investimenti in tal senso è addebitabile alle istituzioni, che spesso non riescono a cogliere fino in fondo il valore culturale, educativo e sociale della pratica sportiva.
Ampia trattazione meriterebbe pure la gestione dello sport nella rete televisiva pubblica. Nonostante spesso vari eventi sportivi abbiano fatto registrare risultati lusinghieri in termini di ascolti, l’offerta negli anni ha subito costanti ridimensionamenti. Per diretta conseguenza di questa politica, per esempio, le partite delle Nazionali di basket non vengono trasmesse in chiaro da tempo immemore.
Anche le federazioni delle diverse discipline potrebbero fare tanto per crearsi maggiore visibilità. Ho sentito spesso presidenti federali affermare che sono le vittorie a dare visibilità e lustro agli sport, e in buona parte è anche vero, ma i successi da soli non bastano affatto. Farete fatica a trovare in Italia sport più decorati della scherma, eppure in termini di spazio vi pare che questo abbia influito?
Ci sono accorgimenti nemmeno troppo complicati che potrebbero favorire la promozione di discipline che solitamente fanno fatica a farsi largo sui tradizionali mezzi di comunicazione. Dei campionati italiani di atletica leggera ogni anno quasi non sa nessuno, se non gli addetti ai lavori, mentre in Germania, per esempio, quest’anno sono stati organizzati i Die Finals Berlin 2019, un evento che racchiudeva i campionati nazionali di dieci diverse discipline nella stessa sede nell’arco di una settimana. Il risultato è stato una visibilità nettamente maggiore sui media e 180.000 presenze complessive sugli spalti. Un successo enorme reso possibile soltanto dal lavoro di sinergia tra federazioni sportive più piccole.
Ma esempi virtuosi in chiave di promozione e visibilità possono essere individuati anche in Italia. La Federtennis, ormai più di dieci anni fa, ha sopperito al limitato spazio dato nei mezzi d’informazione alla propria disciplina fondando un proprio canale TV, SuperTennis. La crescita costante e la qualità del network hanno contribuito in maniera importante alla diffusione di uno sport che una quindicina di anni fa in Italia era quasi di nicchia, e oggi invece è certamente tra i cinque sport più seguiti. Come mai altre federazioni non hanno pensato magari di investire su un quotidiano o una rivista specializzata su discipline che trovano poco spazio altrove?
Appassionati
Il quadro fin qui dipinto lascerebbe pensare agli appassionati esclusivamente come vittime di questo sistema: strutture spesso inadeguate per la pratica sportiva ed anche per assistere agli eventi, poca possibilità di trovare sport che non siano il calcio su giornali e TV nazionali.
Eppure anche noi appassionati possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione. In primo luogo ricercando l’essenza più pura dello sport, dando priorità al lavoro, agli sforzi, ai sacrifici, alle delusioni e alle gioie degli atleti, più che al sensazionalismo a cui a volte fanno ricorso i mezzi di comunicazione per attirare la nostra attenzione. Uno dei vantaggi del web è che ormai si possono andare ad alimentare le proprie passioni anche lontano dall’informazione mainstream, anziché rassegnarci a ciò che da cui veniamo maggiormente bombardati. Nel nostro piccolo possiamo trasformaci tutti in veicoli di diffusione delle nostre passioni, anche se non le troviamo nelle prime pagine dei quotidiani o sui canali nazionali. È questo che deve spingerci ad eccellere.
Comments