E’ calato il sipario su Melbourne e su un Australian Open storico, sull’Australian Open dell’apoteosi, della consacrazione, delle conferme e di tante prime volte. Un Australian Open che si è ritrovato, prima ancora di cominciare, protagonista sui quotidiani di tutto mondo, grimaldello degli estremismi sui social e nei salotti tv, simbolo delle incertezze di un periodo storico particolarmente complesso. Diamo i voti a chi l’ha reso, volente o nolente, un’edizione che varrà la pena di raccontare ai nostri nipoti.
Rafael Nadal: la copertina è tutta per il maiorchino, che si prende, di forza, di fatica e di resistenza, lo Slam numero 21, precedendo sulla linea del traguardo il malconcio amico Roger e l’epurato sergente Novak. Nonostante un grave infortunio al piede, nonostante il Covid, nonostante l’età, nonostante una Next Gen che si conferma agguerritissima, è sempre il mancino di Manacor ad avere l’ultima parola. Rafa ha saputo ribaltare, con la testa del campione, una finale che sembrava compromessa, dimostrandoci, se mai ce ne fosse stato bisogno, che ne deve passare di acqua sotto i ponti perché lui sia fuori dai giochi. Aggiungere una sola parola in più significherebbe sminuire la sua grandezza. Voto: non classificabile per non appartenenza al genere umano.
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Ashleigh Barty: un torneo che rasenta la perfezione, zero set persi e un trofeo riportato in Australia più di quarant’anni dopo l’ultima volta. Nella variabile impazzita rappresentata dal circuito WTA, Ash sta diventando una certezza e sta incasellando, uno dopo l’altro, tutti i trofei dello Slam. Solidità, convinzione e mentalità stanno ormai convincendo anche chi attribuiva la sua leadership alla mancanza di avversarie o all’estrema precarietà del tennis femminile, dopo la lenta, ma ormai inevitabile uscita di scena, di Serena Williams. Ma del resto, come disse un noto allenatore, chi vince festeggia e chi perde spiega. Voto: 10 e lode all’ennesima dimostrazione di forza.
Daniil Medvedev: l’anti-personaggio per eccellenza del circuito maschile raggiunge l’ennesima finale e, dopo aver spezzato i sogni di gloria di Djokovic a Flushing Meadows, mette seriamente a rischio anche il lieto fine di Rafael Nadal. Anche se gli manca la zampata finale, la sensazione è che lo rivedremo sempre più spesso su questi palcoscenici e che, soprattutto sul veloce, diventerà, in una manciata di mesi, l’uomo da battere. Voto: 9 al simbolo del nuovo che non ha più bisogno di avanzare.
Danielle Collins: una menzione d’onore per la finalista dell’edizione femminile, simbolo di tenacia e passione. Dopo aver affrontato serie difficoltà finanziarie durante l’adolescenza, Danielle ha scelto di laurearsi in scienze della comunicazione, prima di intraprendere la carriera da professionista. Una scelta inusuale, che lei stessa ha giustificato con la necessità di onorare la sua borsa di studio e la conseguente possibilità di studiare lontano da casa e di coltivare la sua passione per il tennis. Arrivata in Australia dopo una diagnosi da artrite reumatoide e un’operazione di endometriosi, si è conquistata la finale, senza avere né un coach, né uno sponsor. Voto: 10, all’umiltà e alla perseveranza.
Matteo Berrettini: si prende la rivincita dopo una partita dispendiosissima contro Alcaraz, gestisce da campione un Monfils (e un centrale) on fire, diventa il primo italiano a fare semifinale in Australia e cede con l’onore delle armi contro Nadal. Vederlo in semifinale Slam è diventato talmente normale, che qualcuno si concede il lusso di chiedersi cosa manchi per vincere un grande torneo. E pensare che, fino a qualche anno fa, l’Italia annaspava alla ricerca di un miracoloso approdo alla seconda settimana. Voto: 8, alle conferme che non abbiamo più bisogno di avere.
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Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis: un duo affiatatissimo che riempie gli stadi e gioca un tennis di assoluta qualità. I due aussies, in stato di grazia, demoliscono chiunque passi per la loro strada e conquistano, da outsiders, il loro primo titolo in doppio in un torneo del Grande Slam. Seppur con qualche polemica di troppo e con qualche scivolone nelle interviste del post-match, il loro merito è quello di coinvolgere, nel bene e nel male, tutto il pubblico e di portare un tennis divertente e mai banale. Vittoria meritata e spettacolo assicurato. Voto: 9, allo spettacolo e all’intrattenimento.
LE DELUSIONI:
Alexander Zverev: fuori al quarto turno in tre set con Shapovalov. E se il canadese fa un ottimo torneo (voto: 7.5), Sasha dimostra ancora una volta di non aver raggiunto il livello di consapevolezza necessario per essere stabilmente tra i migliori nei tornei dello Slam. L’ottima prestazione in semifinale a New York contro Djokovic sembrava aver spezzato la maledizione. E, invece, quattro mesi dopo, ci troviamo ancora punto e a capo. Fisiologico incidente di percorso o preoccupante campanello d’allarme? Voto: 4, in attesa del compito di recupero.
Aryna Sabalenka: dalla numero 2 del ranking è lecito aspettarsi molto di più. La bielorussa, invece, viene spesso tradita dal servizio (ormai i video dei suoi doppi falli spopolano su YouTube) e sbatte contro Kaia Kanepi, lasciando Melbourne con un modesto quarto turno. Le occasioni perse cominciano a diventare tante e la sensazione è che, oltre alla tecnica, ci sia da lavorare tanto anche sulla testa. Voto: 4, all’eterna incompiuta.
NOTA A MARGINE:
Novak Djokovic: è stato scritto tanto, tantissimo, forse troppo. Mi limito a dire che Nole farebbe bene ad abbandonare certi slanci di onnipotenza, alla ricerca, spasmodica e ossessiva, di un’approvazione pubblica, che puntualmente non arriva. Farebbe bene a farsi conoscere veramente, per com’è e per quello che autenticamente vuole trasmettere. Rafa e Roger si sono fatti amare per la loro personalità, la loro classe e la loro umanità, partita dopo partita e anche, e soprattutto, sconfitta dopo sconfitta. Novak ha il talento e l’intelligenza, tennistica ed extra-tennistica, per fare lo stesso. Voto: più persona e meno personaggio.
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Immagine in evidenza: https://www.sportco.io/article/australian-open-2022-draw-381762
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