La Milano-Sanremo è da sempre la Classica delle sorprese. Se è vero che il percorso strizzi l’occhio ai velocisti, abbiamo imparato negli ultimi anni come azzeccare un pronostico stia diventando un azzardo. Presentarsi in via della Croce Rossa con la tiara da papa in testa non è infatti consigliato poiché il rischio di giungere a bocca asciutta è alto, vedi i casi di Tadej Pogacar e Wout Van Aert, costretti a indossare metaforicamente in Riviera la berretta da cardinale al cospetto di Matej Mohorič. Mentre tutti analizzavano gli errori dei “campionissimi” in pectore e celebravano la folle discesa del campione sloveno, un sessantasette francese si aggirava indisturbato rivivendo le medesime emozioni affrontate quarant’anni prima all’ombra delle Alpi Marittime. Il personaggio di cui stiamo parlando è Marc Gomez, vincitore dell’edizione 1982 della “Classicissima” dimenticata ingiustamente da molti complice lo sciopero degli operatori Rai, cancellata volutamente dalla memoria da tanti altri.
Classe 1954, bretone come Bernard Hinault, il corridore di Rennes non ha mai ottenuto la notorietà del conterraneo nonostante nel suo palmarès compaiano fra le altre un campionato francese, tre tappe alla Vuelta di Spagna e nove giorni in maglia di leader della competizione iberica.
Difficile dire con certezza quali furono gli aspetti che frenarono Gomez nei ruggenti Anni ’80, vuoi la miopia che l’ha sempre costretto a portare gli occhiali da vista (anche in gara, aspetto curioso per l’epoca), vuoi quelle origini spagnole mai propriamente celate oppure per quella timidezza certamente che non caratterizza gli uomini temprati dai gelidi venti dell’Oceano Atlantico. Caratteristiche che non sono mai andate a genio al “Tasso” il quale ha bloccato per due volte il passaggio fra i professionisti di Gomez, giunto in quel fatidico 1982 all’età di ventotto anni dopo aver patito due rifiuti consecutivi da parte della Renault capitanata dal corregionale Hinault.
Ironia della sorte la consacrazione del portacolori della Wolber-Spidel arriverà il 20 marzo di quell’anno in una delle corse stregate per Hinault, terminata soltanto due volte in carriera e nella quale vanta come miglior risultato un settimo posto nel 1979. Un tiro mancino del destino che, nell’anno dell’introduzione della Cipressa, volle premiare proprio Gomez, lesto a scattare in compagnia di altri dodici corridori proprio alla periferia di Milano. Quell’attacco, propiziato dal brutto tempo e dal disinteresse dei principali favoriti, fu progettato già alla vigilia come spiegato dall’occhialuto francese in una recente intervista al quotidiano transalpino “Ouest-France”:
“Due giorni prima di Milano-Sanremo ho chiamato mia moglie. Non c’erano telefoni cellulari e non ci chiamavamo tutti i giorni. Le ho detto: ‘Vado a farmi vedere, prova a guardare la TV’. Il giorno prima della partenza sono andato a chiedere consiglio a un veterano, Maurice Le Guilloux, il quale correva alla Renault. E gli ho chiesto: ‘Come posso fare per farmi vedere?’ Avendo tutte le intenzioni di non rimanere anonimo. Mi ha detto: ‘Fai la prima fuga e ci vediamo perché di solito va lontano’”.
Un consiglio decisamente azzeccato considerato l’atteggiamento delle squadre dei big, pronti a marcarsi in vista dell’atteso duello finale fra Giuseppe Saronni e Roger De Vlaeminck i quali si sarebbero trovati nuovamente l’uno contro l’altro in un remake delle edizioni del 1979 e del 1980. Decisi a inserirsi nella contesa apparivano anche l’olandese Jan Raas, il tedesco Tommy Prim, ma anche il veneto Moreno Argentin e lo “Sceriffo” Francesco Moser, presentatosi nella città meneghina con l’obiettivo di sfatare quella maledizione frapposta fra lui e la Sanremo. Qualche preoccupazione avrebbe dovuto però destare sin dai primi chilometri il vantaggio accumulato dai fuggitivi ben prima del Passo del Turchino e vicino al quarto d’ora. Un distacco che si sarebbe ridotto salendo le pendici del passo appenninico, ma che si sarebbe mantenuto comunque sopra gli undici minuti a fronte di un indomito Guido Bontempi, pronto ad allungare in vista della discesa che conduce al mare e costretto ad alzare bandiera ad Oneglia a causa di una caduta. La pioggia che gradualmente si trasformava in neve, il freddo sfiancante e il giudizio impietoso rilevato dal cronometro consigliò ad alcuni dei possibili protagonisti di scendere dalla sella e puntare a un caldo rifugio. Fra loro spiccavano i nomi di Giovanni Battaglin, Gianbattista Baronchelli, Dietrich Thurau, ma soprattutto di Giuseppe Saronni che dovrà rinviare l’appuntamento con la vittoria all’anno successivo quando volerà con la maglia iridata conquistata a Goodwood.
Le avvisaglie di una possibile beffa giunsero nel gruppo però soltanto in vista dei Capi quando a muoversi in prima persona furono i vari Moser, Argentin e Prim in compagnia di Silvano Contini riducendo in vista del Capo Mele a 6’28” su Claudio Bortolotto, Walter Delle Case, il belga Hendrick De Vos, il vicecampione olimpico Alain Bondue e il temibile Marc Gomez, apparentemente spacciati con l’imperioso passare dei chilometri e l’acido lattico pronto a bloccare le gambe di chiunque. Eppure, nonostante un indemoniato inseguimento di Moser, davanti accadde quello che nessuno si sarebbe potuto aspettare: sulla Cipressa e sul Poggio il bretone resiste ai tentativi di Bondue involandosi in solitaria proprio a causa di una scivolata di quest’ultimo alla prima curva dell’ultima discesa.
Quasi ormai in riserva di energie e incredulo di quanto stesse accadendo attorno a lui, Gomez tagliò il traguardo di via Roma con dieci secondi su Bondue e due minuti su Argentin, in grado di vincere lo sprint dei battuti davanti a Moser, Prim, Bortolotto e Contini. Inutile affermare come quell’affermazione rimarrà negli annali più per la beffa patita dai diversi campioni dell’epoca che per il vincitore, anche se la stessa potrebbe far comprendere a molti il principale segreto della Sanremo: mai sottovalutare nessuno. Quel trionfo non basterà a Gomez per entrare nelle grazie di Hinault con il quale correrà fra le fila della “La Vie Claire” dove si troverà a vivere la lotta fratricida consumatasi fra il “Tasso” e il “Professore” Laurent Fignon al Tour de France 1984, saltato a causa dell’ennesimo infortunio. Nonostante la prova di fiducia riposta nel proprio capitano in occasione della Grande Boucle dell’anno successivo, Gomez verrà continuamente osteggiato da Hinault venendo costretto ad emigrare in Spagna.
Il motivo di quell’annosa antipatia non è mai stato svelato, tuttavia a distanza di quarant’anni il carattere di Gomez sembra esser immutato come confermato pochi giorni fa in occasione della Festa del Papà trascorsa nell’amata Sanremo dove mancava esattamente proprio da quattro decenni, sempre con gli stessi occhiali, con la medesima maglia della Wolber-Spidel e con gli amici di sempre che lo hanno accompagnato in un vero e proprio pellegrinaggio nel Nord Italia con tanto di tappa a Ovada dove nel dopo-gara fu costretto a recuperare alcuni compagni che avevano trovato rifugio in commissariato. Un viaggio passato praticamente inosservato ai più così come il suo trionfo che dovrebbe esser studiato da chiunque voglia conquistare la prima Classica Monumento della stagione.
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