Anomalia, singolarità e atipicità.
Sostantivi inseriti in un quadro piuttosto delineato, sostantivi che procedono di pari passo con la competizione tanto agognata dai calciatori, quanto disapprovata da club di tutto il mondo. Tra scandali e indecenze, seguiti da scorie di turpitudine, il Qatar ha già aperto le porte alla ventiduesima edizione della Coppa del Mondo. Trentadue nazionali suddivise in otto gironi si sfideranno per arrivare a sollevare al cielo il trofeo più ambito dell’intero panorama calcistico. Sarà “The Last Dance” di Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Sarà una scarica di “Garra charrúa” come solo le nazionali sudamericane sanno regalare. Sarà il desiderio di riscatto dei Tre Leoni e il talento sopraffino dei Blues di Deschamps.
Il calcio, tuttavia, ha insegnato negli anni a non dar mai nulla per scontato, soprattutto quando si parla di outsider, formazioni entrate nel nostro cuore e che, nonostante lo scorrere incessante del tempo, non lo hanno mai lasciato. Si preannuncia, insomma, un Qatar 2022 ricco di colpi di scena.
Gruppo A
Qatar
Prima storica partecipazione alla Coppa del mondo per un paese che con i suoi 2.717.360 abitanti si piazza al 141º posto della classifica degli Stati per popolazione dell’ONU e che dimostra come, ancora una volta, il calcio sia davvero l’esperanto del pianeta Terra. L’assegnazione della ventiduesima edizione del Mondiale di calcio FIFA, avvenuta il 2 dicembre 2010 a Zurigo, ha comportato un’ondata di lavori infrastrutturali e l’edificazione, in aggiunta al già pronto Stadio internazionale Khalifa, di sei stadi di nuova progettazione, a cui si è sommato l’ampliamento di un impianto già esistente. Il movimento calcistico qatariota arriva al grande appuntamento con alle spalle un decennio di progressi dal punto di vista dei risultati, suggellati dalla vittoria della Coppa d’Asia del 2019 sotto la guida di Félix Sánchez Bas, tecnico scuola blaugrana. La nazionale capitanata da Hassan Al-Haidos, recordman di presenze (166) con i Marroni, staziona dal 10 febbraio scorso al 52º posto del ranking FIFA, secondo miglior piazzamento di sempre dopo il 51º posto dell’ottobre 1993, può contare su una rosa anagraficamente nel pieno della maturità calcistica e, soprattutto, composta da giocatori tutti militanti in club locali. Un successo propagandistico non da poco per l’emirato. Risalta tra i nomi dei convocati per la kermesse continentale quello del difensore portoghese di origini capoverdiane Pedro Miguel Carvalho Deus Correia, meglio noto come Ró-Ró e naturalizzato qatariota dal 2016, anno nel quale ha iniziato a vestire la casacca dell’Al-Sadd SC, principale club qatariota ed espressione della classe dirigente nazionale, da cui il soprannome de Il Capo. Fondato a Doha nel 1969 da un manipolo di volenterosi liceali, nel 1972 sollevava al cielo il primo titolo nazionale. Grazie anche all’apporto di campioni stranieri come Raùl e Xavi, ha messo in bacheca 16 Campionati, un record per la Qatar Stars League, e 8 Coppe nazionali, ai quali vanno aggiunte 2 AFC Champions League. Nel 2009, la lega qatariota si è poi arricchita di una nuova compagine: i Cavalieri Rossi del Al-Duhail Sports Club, noto fino al 2017 come Lekhwiya Sports Club. Vincitore del titolo fin dal suo esordio in prima divisione, nel 2011, il club è riuscito a conquistare quattro delle ultime cinque edizioni del campionato. L’obiettivo è stato raggiunto grazie al bilancio più solido dell’intero movimento calcistico qatariano e ad allenatori di vaglia come Eric Gerets, Michael Laudrup e, dal 24 marzo 2022, Hernán Crespo. È di proprietà dell’erede al trono qatariota.
Il girone appare proibitivo e, con ogni probabilità, già segnato in partenza. I Marroni saranno in grado di vestire gli opulenti panni da Cenerentola di Instagram, oppure si tramuteranno nella più classica squadra materasso, tanto soffice quanto un tappeto di petroldollari? Ai posteri l’ardua sentenza.
Ecuador
Fuori al primo turno nel 2014 e addirittura senza biglietto aereo per Mosca 2018. In Ecuador si respira aria di rivalsa, con in testa un unico pensiero fisso: gli ottavi di finale. Obiettivo centrato dalla Tri una sola volta nella propria storia: ai Mondiali di Germania 2006, dove venne eliminata a fatica per 1 a 0 dall’Inghilterra di Wayne Rooney, Michael Owen e dell’allora baby-prodigio Theo Walcott. Una rosa di esperienza, che dà vita ad un interessante amalgama di giocatori provenienti dai campionati più disparati: solo tre, infatti, gli elementi che giocano in patria. La stragrande maggioranza degli effettivi in rosa, infatti, è andata a cercar fortuna in Belgio, Germania (Piero Hincapie), Olanda, Inghilterra (Pervis Estupinian) e Spagna (Gonzalo Plata), senza contare chi ha optato per soluzioni calcisticamente più esotiche come la Turchia (Enner Valencia), il Messico e la MLS. La Banana Mecánica di bomber Valencia e compagni è quindi agli antipodi rispetto agli uomini del deserto di Félix Sánchez Bas. La Primera Categoría Serie A, ossia il massimo campionato ecuadoregno, non sembra però risentire a livello di fascino e competitività di questa diaspora pallonara. Infatti, occupa attualmente il decimo posto del ranking mondiale dei campionati stilato annualmente dall’IFFHS e il quarto posto a livello continentale. Dopotutto, “Vivere senza la Liga non è vita” come afferma ieraticamente il sito della Liga de Quito, il più “grande club dell’Ecuador” stando alle parole dei suoi sostenitori. Su scala nazionale divide la popolarità con il Barcelona SC (no, non avete letto male), ma a Quito è indubbiamente la squadra numero uno. È il solo club ecuadoriano ad aver vinto la Coppa Libertadores e uno dei quattro del Sudamerica ad aver conseguito i tre trofei continentali. Nel 2008 la Liga ha vinto la Coppa Libertadores dopo aver eliminato gli argentini dell’Estudiantes e del San Lorenzo, i messicani dell’América e i brasiliani del Fluminense. Finalista del Mondiale per Club, si è aggiudicata la Supercoppa del Sudamerica e la Coppa del Sudamerica nel 2009, e poi una seconda Supercoppa del Sudamerica nel 2010. Nel 2011 I Bianchi figuravano al primo posto della classifica dei club della CONMEBOL, la confederazione calcistica sudamericana. Il club più popolare del paese è, però, quell’enigmatico Barcelona SC. Quello che a prima vista potrebbe sembrare lo stemma perfetto da apporre sulle maglie tarocche da vendere abusivamente fuori dal Camp Nou, è in realtà un’istituzione del calcio locale. Creato da immigrati catalani a Guayaquil nel 1925, la squadra riprendeva i colori del Barcellona prima di optare per quelli della Catalogna. È il solo a non essere mai retrocesso e detiene il primato di vittorie del titolo nazionale: 16 dal 1951. Nel 1997 ebbe la disgrazia di avere come presidente el Loco Abdalá Bucaram, 38º Presidente dell’Ecuador tra l’agosto 1996 e il 6 febbraio 1997, data della sua destituzione ad opera del Congresso per “incapacità mentale a governare”. Ma quale Barcellona sarebbe senza un clásico da disputare? Per “I Toreri” il Real è incarnato dall’Emelec, il club della lampadina, con il quale disputa il Clásico del Astillero. Fondato in seno alla compagnia elettrica dell’Ecuador, è una delle squadre più titolate del calcio ecuadoriano e la sola ad aver vinto almeno un titolo per ogni decennio dall’istituzione della lega.
La Tricolor del c.t. argentino Gustavo Alfaro è, dunque, pronta a volare in direzione Doha colma di animus pugnandi e chissà che non diventi un’insidiosa buccia di banana sul percorso di Olanda e Senegal.
Gruppo B
Iran
Possono bastare alla FIFA 144 morti, 12.516 arresti e una lettera firmata da 149 attivisti iraniani per escludere l’Iran dal mondiale? La risposta è no.
Volendo, però, lasciare fuori dalla porta gli imbarazzi e gli assurdi silenzi dei massimi organi calcistici competenti, il Team Melli è sicuramente una compagine da tenere d’occhio, soprattutto per quel tandem d’attacco Azmoun – Taremi in grado di generare più di qualche grattacapo alle retroguardie di Inghilterra, Galles e USA. Storicamente una delle nazionali più valide dell’AFC, gli uomini di Carlos Queiroz, al ritorno in panchina dopo la breve parentesi egiziana, vogliono e possono migliorare il risultato ottenuto ai mondiali di Russia 2018. Allora, il verdetto fu un’amara eliminazione al primo turno, frutto di una vittoria di misura contro il Marocco, una sconfitta sempre di misura contro la Spagna e di un pareggio con il Portogallo. Molto meno rosee e affascinanti le prospettive future dei club iraniani, ormai giganti dai piedi di argilla e a corto di imprese internazionali degne di nota negli ultimi decenni. L’Esteghlal Teheran FC, La Corona d’Iran come la chiamano da queste parti, è, insieme al Persepolis FC, la squadra più popolare per le trafficate strade della capitale. È entrato nel novero dei grandi nel 1970 grazie alla vittoria in Coppa d’Asia di fronte all’Hapoel Tel Aviv. Nel 1991 ha concesso il bis contro i cinesi del Liaoning. Dopodiché il nulla. Stesso destino per L’Armata Rossa, ossia il Persepolis Teheran FC, il club della leggenda locale Ali Parvin sorto nel 1963 dalle ceneri del grande FC Shanin. Di proprietà del Ministero per la Gioventù e lo Sport dell’Iran è grazie ai suoi 14 campionati iraniani, 6 Coppe d’Iran e 4 Supercoppe il club più titolato del paese.
Un girone non certo banale quello dell’Iran. Le sfide con Inghilterra e USA evocano, infatti, come spettri le tensioni scaturite dalla nazionalizzazione dell’AIOC, dalla fuga di Mohammad Reza Pahlavi nel ’79, dall’avvento dell’ayatollah Khomeini e dallo scontro frontale con gli Stati Uniti del presidente Jimmy Carter. Il tutto in un paese già ampiamente in subbuglio.
Gruppo C
Arabia Saudita
I Mondiali di calcio dell’Arabia Saudita sono già cominciati da un po’ di tempo. Per non incappare in umilianti disfatte sotto gli occhi di un paese avverso come il Qatar, Hervé Renard, l’allenatore più bello dei Mondiali 2018 secondo Vanity Fair, ha già iniziato la preparazione atletica dei suoi uomini. L’atletismo e la resistenza saranno dunque le pietre d’angolo sulle quali provare a costruire quella che è a tutti gli effetti un’impresa titanica. L’Arabia Saudita ha pianificato dunque una preparazione particolare, come già fece per i Mondiali in Russia di quattro anni fa, allora però senza successi eclatanti. Il campionato locale, dove giocano tutti i 32 convocati, si disputa da agosto a maggio. Vista la particolarità di questa annata, la stagione in corso è stata interrotta il 16 ottobre, dopo le prime otto partite disputate, per dare modo alla nazionale di riunirsi venti giorni prima delle tre avversarie che incontrerà nella fase a gironi: Argentina, Polonia e Messico, sulla carta tutte inequivocabilmente superiori. In questa lunga preparazione, l’Arabia Saudita ha giocato sei amichevoli in una ventina di giorni contro avversarie molto diverse tra loro. Ha battuto la Macedonia del Nord, pareggiato contro Albania, Honduras e Panama e vinto contro l’Islanda. A cinque giorni dal debutto ai Mondiali, ha invece perso di misura (0-1) contro i vicecampioni del mondo della Croazia. Il divario tra l’Arabia Saudita, squadra con il secondo peggior piazzamento nel ranking tra le partecipanti ai Mondiali, e gli sfidanti rimarrà in ogni caso molto ampio. Il paese non riesce ancora a produrre calciatori di livello internazionale, e lo stesso vale per gli altri stati della penisola araba. Tra questi, il Qatar ha però dimostrato di avere ambizioni e anche idee: oltre all’assegnazione dei Mondiali, obiettivo a cui ambiva anche l’Arabia Saudita, è riuscito a creare dal nulla una nazionale di buon livello, crescendo giocatori nelle sue eccellenti accademie gestite da professionisti europei e naturalizzando numerosi stranieri. I piani dell’Arabia Saudita sono legati anche al fatto che i Mondiali si giocheranno nella sua penisola, con un folto seguito di tifosi, e in un paese con cui i rapporti negli ultimi anni sono stati piuttosto conflittuali. Non a caso prima della partenza per il ritiro tutta la squadra è stata solennemente convocata dal principe ereditario e primo ministro Mohammed bin Salman.
L’Arabia Saudita dovrà quindi affidarsi al calore dei propri tifosi e provare una “Mission Impossible” con il volto da divo hollywoodiano anni ’90 di Hervé Renard a fare bella vista in locandina.
Gruppo D
Tunisia
Les Aigles de Carthage (Le Aquile di Cartagine) arrivano alla kermesse in modo simile all’Iran, ossia con più di qualche turbolenza. La Federcalcio tunisina ha ricevuto, infatti, negli ultimi tre anni più di qualche minaccia da parte della FIFA, che ha chiesto a più riprese di congelare la sua attività in seguito ad un nuovo intervento del ministro dello Sport Kamal Daqish nei confronti dei funzionari del calcio tunisino. La federazione internazionale ha ritenuto che si trattasse di un’interferenza del governo nel lavoro della federazione, come si era già verificato nel 2020 e nel 2021. La minaccia della FIFA, se fosse stata attuata, avrebbe comportato il divieto per la nazionale tunisina di partecipare ai Mondiali. In caso di esclusione della Tunisia, a sostituire la nazionale nordafricana sarebbe stata l’Algeria, migliore tra le classificate africane nel ranking FIFA. Gli algerini si trovano infatti al 37º posto ma sono stati eliminati agli spareggi dal Camerun. Per capire di quanto seguito goda il calcio a Tunisi, basti leggere le parole di Hocine Ragued, centrocampista dell’Espérance tra il 2012 e il 2016:
“A Tunisi, prima ti chiedono chi sei e subito dopo se sei tifoso dell’Espérance o del Club Africain”.
L’Espérance, o La Sorridente come amano chiamarla i tifosi, deve il proprio nome al primo caffè della capitale del paese, luogo nel quale si svolse l’atto di fondazione del primo club arabo in Tunisia. In prima divisione dal 1936, non è mai retrocesso. Club più titolato del paese, figura tra le grandi d’Africa grazie ai suoi trofei continentali, tra cui 4 CAF Champions League conquistate nel 1994, 2011, 2018 e 2019. Sul piano nazionale vive da quasi un secolo una rivalità molto sentita con il Club Africain, l’altra grande compagine di Tunisi, nata un anno dopo l’Espérance. Considerata la favorita dalle alte sfere del potere dopo l’indipendenza della Tunisia dalla Francia nel 1956, ha sempre conservato la propria supremazia sportiva. Tuttavia, ha cessato da tempo di essere l’ossatura della nazionale: saranno solo due i giocatori dell’Espérance de Tunis a partire alla volta di Doha.
Lasciate le magagne alle spalle, è tempo di concentrarsi su un girone che con Danimarca e Australia darà vita ad una lotta serrata per il secondo posto alle spalle dell’inarrivabile Francia, con la quale ci sarà in ogni caso un interessante derby dal sapore coloniale.
Gruppo H
Ghana
“Il vecchio ordine del mondo è cambiato per lasciare il posto al nuovo. Avete seguito le orme dei vostri antenati ma in modo diverso. Loro usavano fucili, archi e frecce: voi utilizzate le mani, i piedi e il vostro stile di gioco”. – The Pride of Ashanti Kotoko, 1940
Altro giro, altra situazione borderline. Jeffrey Schlupp, centrocampista del Crystal Palace e campione d’Inghilterra col Leicester di Ranieri, non è stato convocato dal Ghana e quindi non sarà in campo il 24 novembre contro il Portogallo di CR7. Il centrocampista “Glazier”, 220 presenze in Premier, è venuto a sapere dell’esclusione dalla lista dei 26 preconvocati attraverso una telefonata con il c.t. Otto Addo, ex calciatore del Borussia Dortmund, dove ora fa il talent manager, nato in Germania ma di origini ghanesi. Il procuratore di Schlupp, Calvin Riches, ha reagito alla notizia scagliandosi contro la Federcalcio ghanese attraverso durissime parole affidate ai social. “Un gruppo di criminali. Corruzione. Non chiamatemi mai al telefono”, si legge in un suo post. Riches ha in seguito gettato ulteriore benzina sul fuoco: “Paese di me**a, spero che vengano eliminati, fan***o il Ghana”. Una reazione decisamente esagitata. Altro aspetto molto peculiare di questa vigilia calcistica in Ghana, è la decisione della Federcalcio di indire due giorni di digiuno e preghiera per tutta la popolazione. Pare che ce ne sia davvero bisogno. Le Black Stars si presenteranno, infatti, in Qatar col peggior ranking Fifa, 61° posto, di tutte le 32 partecipanti. Il cambio di allenatore sinora non ha dato i risultati sperati, con due sole vittorie in 12 partite nel 2022. Ecco allora che governo e federazione hanno deciso di rivolgersi a forze ultraterrene nella speranza che le cose cambino. Venerdì 21 ottobre è toccato ai seguaci dell’Islam digiunare e pregare per le Black Stars, mentre il 23 ottobre è toccato alla popolazione cattolica, che rappresenta il 71% dei ghanesi. Le cose non vanno meglio neanche a livello di club. Sono, infatti, ormai lontani i ruggenti anni ’80 del calcio ghanese trionfatore in ACF Champions League grazie all’Asante Kotoko, il club dei Porcospini Guerrieri. Esistente sotto vari nomi dal 1924, la squadra nacque su iniziativa di un autista al servizio dell’esercito britannico. Fin dalla creazione del campionato nazionale si impose come una delle migliori, a fianco del rivale Hearts of Oak, contro cui disputa il “Super Clash” nello stadio intitolato alla gloria locale Baba Yara, anche noto come King of Wingers. Squadra più titolata del paese, tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ’90 si è messa in luce anche sulla scena continentale, disputando sette finali di CAF Champions League, di cui due coronate da successo. Più recentemente ha raggiunto ancora la finale della Coppa delle Coppe nel 2002 e della Coppa della Confederazione nel 2004. Il proprietario è il facoltoso re dell’Ashanti Asantehene Osei Tutu II. Molto popolare, questo club, che ha sede nella seconda città del paese dopo Accra, vale a dire Kumasi, vanta 11 milioni di tifosi ed è stato proclamato miglior club africano del XX secolo dall’IFFHS nel 2009.
Quella che un tempo fu l’ambitissima Costa d’Oro, ora sogna quindi di ritornare a risplendere come le dune qatariote baciate dal sole. Il Ghana è inserito nel girone H con Portogallo, Corea del Sud e Uruguay, squadra che nel 2010 lo eliminò ai quarti dopo i calci di rigore. Come finirà? In Africa c’è un detto: “Ciò che Dio non può fare, non esiste”.
Ottimo articolo.
Personalmente spero nell’Ecuador tra quelle elencate. Bei giovani e ho sentito parlare bene di alcune squadre come l’Independiente del Valle.
Buon mondiale a tutti!
Articolo scritto bene, con dovizia e in modo da non stancare il lettore con suppellettili inutili e dannose. Certo le nazionali trattate sono poco conosciute nei loro dettagli ma si sa, c’è sempre da imparare e da divertirsi con dettagli curiosi e, a volte, inaspettati!