“Finalmente”. Ecco cosa ho pensato quando a fino agosto 2019 Mikel Landa ha lasciato la Movistar per accasarsi alla Bahrain-Merida. Ciclisticamente mi ero innamorato di Landa circa quattro anni prima, nel corso della novantottesima edizione del Giro d’Italia che vedrà la maglia rosa salda sulle spalle di Alberto Contador per sedici tappe. Intendiamoci, come ogni bambino che ha iniziato a seguire il ciclismo nella prima metà degli anni 2010 El Pistolero era un punto di riferimento per me, capace di far rivivere alla mia generazione – presente ma non cosciente – i grandi attacchi che hanno forgiato la leggenda di Marco Pantani. C’è sempre stata una cosa che però non sono riuscito ad apprezzare a pieno di Contador, quel suo modo di essere così perfetto: vinceva sempre – o quasi – dominava, era stilisticamente eccelso ma poi? Beh, voi leggendo queste parole potreste darmi del pazzo; “un ciclista che vince sempre, cosa volere di più dalla vita?”. Mi scuserete ma nel parlare di ciò che mi affascina nello sport ho tralasciato un dettaglio non trascurabile: io amo chi perde. In qualsiasi disciplina, abbia essa come scenario un prato verde, un parquet o ripidi tornati di montagna che tolgono il fiato. Propio non so che farmene di uno che vince sempre, mi sembra noioso. Ok, vinci, prendi i baci sul podio, l’assegno e il premio ma si conclude tutto lì, su quel podio che magari sei anche stufo di continuare a salire per vedere sempre la stessa scena. Nella sconfitta trovo qualcosa di ristoratore, qualcosa che valica il tempo e la singola prestazione. Tutti sanno che una volta arrivati al vertice si dovrà fare i conti con il tempo che passa e con la concorrenza che cercheranno di tirarci giù dal trono e toglierci la corona dalla testa, con la sconfitta no invece, perdere è una cosa che non ha una data di scadenza e anche quando le sconfitte sono intervallate da – sporadiche – vittorie sappiamo che quella è una felice eccezione che ci aiuterà a convivere un po’ meglio con i nostri fallimenti. La sconfitta da sempre una seconda possibilità, chi perde – soprattutto in uno sport come il ciclismo – sa quella giornata storta che ha appena vissuto sarà cancellata non appena metterà piede in hotel e la mattina seguente potrà riprovare un’impresa partendo un’altra volta da zero.
Fatta questa doverosa premessa possiamo tornare al Giro del 2015, come sempre le prime tappe sono abbastanza sonnecchiati e servono come vetrina per i velocisti che saluteranno il gruppo fra qualche giorno, quando la strada comincerà a salire. Ovviamente osservo con un occhio privilegiato Contador – che prende la maglia rosa sull’Abetone – ma mi piacciono tantissimo Hesjedal, Zakarin che sembra sempre che debba spezzarsi in sella alla sua bicicletta, i colombiani Chaves e Atapuma, e Philippe Gilbert. La corsa è di altissimo livello ma non c’è niente che non faccia pensare che Contador arriverà a Milano in maglia rosa. Le prime due settimane vedono la corsa controllata dalla Tinkoff-Saxo del Pistolero. Per l’inizio della terza settimana siamo a Pinzolo e dopo un giorno passato ad ossigenarsi e a godere della splendida vista offerta dalle dolomiti trentine oggi c’è la tappa regina di questa edizione del Giro, la Pinzolo – Aprica di 174 km, con 5 colli da scalare: Il Campo Carlo Magno, il Passo del Tonale, l’Aprica, il Mortirolo e infine un secondo passaggio sull’Aprica.
E’ la tappa che tutti gli appassionati aspettano, quella che divide chi può ambire alla vittoria finale da chi deve accontentarsi di non finire fuori tempo massimo. Neanche a dirlo gli occhi sono puntati su Contador che su quelle pendenza può fare davvero la differenza.
Poco prima dell’ultima salita El Pistolero ha un problema meccanico alla bicicletta e quindi si stacca dal gruppo di testa, quando inizia l’ascesa al Mortirolo Contador deve rimboccarsi le maniche e alzarsi sul sellino per riprendere il gruppo di testa, si ricongiunge con i leader di giornata a circa 39 km dall’arrivo però al posto di affiancarsi ad Aru e a Landa decide di provare a staccarli, peccato per lui che lo scalatore basco oggi non sia un ciclista. Oggi Landa ha deciso di trasformarsi in un trattore per convertire i tornati del Mortirolo in una piatta strada di campagna, riprende Contador e con lui si fionda sul battistrada Kruijswijk. “Va bene Alberto, volevi staccarmi ma sono ancora qui, adesso vediamo chi ha più benzina” avrà pensato Landa dietro ai suoi occhiali da sole. I tre davanti vanno ad un ritmo insensato e scollinano con poco più di 40 secondi di vantaggio sugli inseguitori.
Appena passata la linea che demarca il GPM Landa si lancia come una palla di cannone in discesa, abbassa la testa e senza alzarsi dal sellino tira una legnata in faccia ai due compagni di fuga. Pedala, pedala cercando di guadagnare il più possibile con l’intento di doppiare la vittoria del giorno prima. Non gira mai il collo, punta sempre davanti a sé come se avesse un mirino sulla linea del traguardo. Anche quando la strada inizia ad impennarsi non abbassa il ritmo, si alza solo per ricevere un po’ di sollievo dopo cinque ore di bicicletta e poco prima di tagliare il traguardo chiude la maglia – lo sponsor è sempre importante – e tira fuori la lingua accompagnando il tutto con un due mimato con le dita. Sì Mikel ne hai vinte due di fila.
Cinque giorni dopo una Milano vestita a festa celebrerà la vittoria di Alberto Contador, sul grandino più alto del podio spalleggiato da due Astana: Aru a un minuto e cinquantatré e Landa a tre minuti e cinque.
Lì era nata in me la scintilla. Ero diventato un tifoso di Landa, quasi per emulazione, banalmente Landa faceva tutto quello che avrei voluto fare io in bicicletta. Non vinceva, sia mai, ma aveva – e ha – quel modo di pedalare che da l’idea che si possa alzare sui pedali in ogni secondo potendo spezzare la prigionia al quale si è auto-costretto sedendosi sul sellino; ha quel modo di andare via regolare che però mette in difficoltà gli avversari che sembra dire “Se volessi vi darei cinque minuti a tappa ma così è più divertente”.
Terminato il 2015 Landa decise di abbandonare l’Astana per cercare un ruolo di leader altrove, troppo ingombrante la compagnia di Nibali e Aru per un ciclista che voleva far fruttare al massimo le doti che madre natura gli aveva messo a disposizione.
Su di lui aveva messo gli occhi da un po’ di tempo il Team Sky, che decise di offrigli un contratto per il 2016 e il 2017. Certo, Mikel era approdato in una squadra dove non sarebbe stato il leader assoluto ma che gli garantì un posto di rilievo nelle seguenti due edizioni del Giro d’Italia. Purtroppo per Landa si intromise un avversario che non si può superare aumentando un po’ l’andatura o facendo selezione in salita, la sfortuna. Nel 2016, reduce dalla vittoria al Giro del Trentino, Landa arriva alla corsa rosa con i galloni da capitano e di favorito per la vittoria finale ma un problema intestinale lo costrinse a ritirarsi nel corso della decima tappa. Non andò meglio l’anno seguente quando una caduta ai piedi del Blockhaus, causata da una moto della Polizia, fece modificare i piani in corsa al Team Sky. “Mikel se non puoi correre per la maglia rosa prova almeno a vincere una tappa”. Dopo vari tentativi falliti, finirà a podio tre volte, riesce a imporsi nella diciannovesima tappa quando insieme a quattro compagni di fuga attacca sulla discesa del Sella Chianzutan e arriva ai piedi della salita di Piancavallo con dodici minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa. L’unico fuggitivo che prova un’azione è Rui Costa, ma è marcato a uomo da Landa che dopo qualche pedalata affianco al portoghese lo sfila tirandogli una legnata simile a quella inferta a Contador due anni prima e con le mani basse sul manubrio e il corpo proteso in avanti – in pieno stile Pantani – punta alla cima della montagna. Ci metterà ventidue minuti a percorrere i nove chilometri che lo separano dalla fine della fatica e quando mancano pochi metri alla fine alza le braccia al cielo per far arrivare il suo trionfo fino a Michele Scarponi. Lo guardo in TV e penso “Guarda questo, se solo volesse vincerebbe tutte le tappe di montagna (vincerà la maglia di miglior scalatore alla fine di quel Giro, ndr)” poi però mi viene in mente un’obiezione “Però se vincesse sempre non mi piacerebbe più” sarebbe troppo facile così, basterebbe aprire il giornale e guardare i tempi ma perderei il gusto di sedermi davanti alla televisione con l’incertezza di non sapere come andrà la tappa.
Le migliori prestazioni di Landa con la maglia di Sky sono arrivate senza dubbio al Tour De France del 2016 e del 2017 che lo hanno visto vestire i panni del gregario di lusso per Chris Froome, uomo di punta della formazione britannica. In Sky avranno detto sicuramente “Mikel, c’è da portare Chris in cima al Mont Ventoux, ci pensi tu vero?” oppure “Oggi dobbiamo difendere la maglia gialla, lo fai tu il ritmo in salita?” e Mikel, pronto a tutto, incastrava gli occhiali nel caso, si metteva comodo in sella e azionava il motore per spianare le salite. L’edizione del 2017 ci da l’idea del tipo di ciclista che sia Landa, nonostante dovesse correre in supporto al suo capitano senza mai pensare a se stesso riesce a cogliere comunque un quarto posto in classifica generale ad appena un secondo da Romain Bardet.
Questo è un altro motivo che mi ha fatto innamorare pazzamente di Mikel Landa, questo suo mettersi da parte che poi è la stessa situazione che tanti hanno vissuto magari sul posto di lavoro quando un collega è passato davanti, oppure quando qualcun altro ha preso il merito per un lavoro non fatto. Il volto di Landa mentre faceva il ritmo sulle rampe della montagne francesi era l’emblema di questa sua condizione, mai una smorfia, mai una lamentela, sembrava davvero un lavoratore che svolgeva il suo compito, era il simbolo della working class ciclistica che sogna il paradiso.
Ma anche qui si è ritrovato in un pollaio con troppi galli, deve lavorare – anche – per ciclisti che gli sono nettamente inferiori e cambia ancora squadra. Approda alla corte di Eusebio Unzué nelle file della Movistar, ventidue anni dopo Indurain, il volto della squadra ciclista più importante di Spagna sarà un corridore di casa. Ecco, se Mikel voleva essere la punta di diamante di una squadra ha proprio sbagliato destinazione, alla Movistar ci sono già Alejandro Valverde e Nairo Quintana che hanno i gradi di capitani e dietro di loro sta crescendo vertiginosamente Richard Carapaz, che sfilerà la leadership della squadra a Landa nel corso del Giro 2019, concluso dal basco ai piedi del podio. I Tour de France della Movistar in versione tridente Landa – Valverde – Quintana più che corse in bicicletta sembrano mani di domino, tutti sono legati da equilibri delicatissimi e ogni dichiarazione potrebbe mandare a rotoli un’intero inverno di preparazione. Su questi tesissimi mesi è stato anche realizzato un documentario disponibile su Netflix.
E, finalmente, siamo arrivati ad agosto 2019 e Landa ha spezzato con una penna le catene che lo hanno costretto a sacrificare il suo talento per assecondare i bisogni della squadra o per rispondere positivamente alle richieste del capitano di turno.
La prima gara disputata dal basco con la maglia della Bahrain è la Vuelta a Andalucia, conclusa al terzo posto, che sembrava l’inizio della preparazione che sarebbe culminata con il Tour del 2020. Alla Gran Boucle Landa si è presentato con una condizione invidiabile e potendo contare su ottimi compagni di squadra pronti a lavorare solo per lui. Ovviamente, Landa ha concluso questa edizione settembrina del Tour un’altra volta al quarto posto, che potremmo chiamare anche zona Landa ma soprattutto mostrando ottimi miglioramenti a cronometro.
Alla vigilia del Giro 2021 Landa è uno dei favoriti per la vittoria finale – con Bernal, Yates, Almeida e un rientrante Evenepoel – forte anche di un percorso congeniale alle sue caratteristiche e ad una squadra che mette insieme ottimi elementi, forti su più terreni come: Pello Bilbao, Caruso e Tratnik pronti a proteggere il capitano nelle salite oppure Gino Mäder e Matej Mohoric – in formissima in questo inizio di stagione – che saranno fondamentali per non far perdere troppo terreno a Landa nelle prime due settimane di gara. L’unico punto debole della formazione del Bahrain è la poca inesperienza che potrebbe sopraggiungere qualora vada difesa la maglia da leader. Vista la condizione di Landa nei primi quattro mesi di gara del 2021 – sesto al Trofeo Laigueglia, terzo al GP Industria e Artigianato, terzo alla Tirreno-Adriatico e ottavo al Giro dei Paesi Baschi – l’unica cosa che potrebbe fermare l’ascesa dello scalatore basco potrebbe essere quella compagna di gare che ha “tanto cara”, la sfortuna, che ha falcidiato la sua carriera. L’unica cosa di cui sono certo è che finalmente Landa è libero e io non vedo l’ora di guardarlo correre.
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