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Del pattinaggio, l’Italia, la geografia e l’arte

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L’Italia del pattinaggio di figura torna a casa dai Mondiali di Saitama consapevole delle proprie forze ma anche delle proprie debolezze. Una disciplina in cui siamo cresciuti a dismisura soprattutto nel recentissimo passato, dopo anni fatti di qualche alto (Kostner e Cappellini/Lanotte, per esempio) e tanti bassi.

Ad un livello più generale, il momento che sta attraversando la figura mondiale è alquanto particolare: da una parte, un consistente aumento del tasso tecnico degli atleti; dall’altra, una graduale perdita di un fattore basilare del pattinaggio, ovvero la parte artistica. A questo, aggiungiamoci un allargamento della geografia, con bandiere che in molti casi stridono coi nomi che vengono scritti affianco. 

Ma andando con ordine, partiamo dallo stato di salute del movimento azzurro.

Italia, come stai?

Detto del recente passato, l’Italia può ritenersi ampiamente soddisfatta della stagione (quasi) conclusa. Alla casella “medaglie” segniamo un bel 2, come nel 2014, sempre a Saitama.

Nella danza, un podio di “vecchietti”. I nostri Charlène Guignard e Marco Fabbri hanno chiuso con l’argento iridato una stagione in cui sono andati a medaglia nella finale del Grand Prix, agli Europei e ai Mondiali. Nella storia, gli unici a riuscirci col Tricolore sul petto sono stati Kostner, i colleghi danzatori Barbara Fusar Poli/Maurizio Margaglio e la coppia d’artistico Sara Conti/Niccolò Macii. Proprio questi ultimi, hanno firmato una meravigliosa impresa, se si considera che in cento edizioni l’Italia non era mai salita sul podio mondiale di questa specialità. Quello che più ha impressionato, è stata la costanza di rendimento di Sara e Niccolò: elevatissimo.

Dove, sicuramente, c’è da migliorare è nelle competizioni individuali. Non tanto al maschile, dove dietro a Daniel Grassl e Matteo Rizzo c’è un certo fermento (vedi Nikolaj Memola e compagnia), quanto al femminile, settore nel quale in questo momento abbiamo praticamente solo Lara Naki Gutmann.

Una nuova geografia

Un modo per poter risollevare la situazione c’è. E qui torniamo al discorso di prima sulle bandierine e i nomi. Migliorare, a livello federale, quello che viene definito “scouting” per aiutare a far crescere atleti di origini italiane ma che vivono e pattinano all’estero. Dove? Per esempio in Nord America o in Asia, o nella stessa Europa.

Non è pattinaggio-mercato, come qualcuno può malignamente pensare: si tratta solamente di monitorare i giovani talenti nostrani che per tutta una serie di motivi si trovano lontani dall’Italia e di crescerli, formarli e, si spera, portarli al successo (anche se relativo).

Arte o tecnica?

Successo che, nella gara maschile di Saitama, è andato al giapponese Uno Shoma, al suo secondo titolo mondiale. Sulle competizioni degli uomini, c’è tanto da dire. Soprattutto sulla deriva che stanno prendendo. Quello a cui stiamo assistendo è un progressivo scostamento dal pattinaggio artistico propriamente detto, fatto di salti, trottole e altri elementi che vanno all’unisono con la musica. Si sta andando, in parole povere, verso programmi inutilmente imbottiti di quadrupli e l’unico risultato, per forza di cose, è una sequenza “rincorsa-salto-riposo-rincorsa-salto-riposo” ripetuta innumerevoli volte. Un pattinaggio con una tecnica certamente invidiabile ma altrettanto scolastico e meccanico. L’esatta antitesi. E basta vedere lo statunitense Ilia Malinin, terzo in terra nipponica. 

A questo punto, viene da chiedersi: che fine faremo fare a quell’aggettivo “artistico” che da sempre accompagna questo meraviglioso sport che è il pattinaggio di figura? Ai posteri l’ardua sentenza.

Immagine in evidenza: © Italia Team, Twitter

Giuseppe Bernardi

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