Ciclismo

Parigi dagli occhi di Mathilde Gros

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14 ottobre 2022, velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines, campionati del mondo di ciclismo su pista. La scena è la stessa vista qualche mese prima agli europei di Monaco di Baviera. Nel torneo della velocità, la sfida inizia ben prima dello sprint finale e dei due giri di studio, già dalla partenza, nello scambio di sguardi ravvicinati. Specialmente quando in pista c’è Emma Hinze. La tedesca ha vinto cinque ori mondiali tra velocità individuale, a squadre e keirin tra 2020 e 2021, e la sua striscia prosegue con tre ori su tre anche all’europeo di casa. Hinze è diventata famosa non solo per i risultati, ma anche per i suoi sguardi per entrare nella testa della rivale, che nella finale di Monaco è Mathilde Gros.

La francese accetta la sfida psicologica, e nonostante la sconfitta arriva con molta convinzione al mondiale, dove questa volta è lei a giocare in casa. Lo scambio di sguardi in partenza si fa ancora più intenso, anche se questa volta vale solo la semifinale. Probabilmente non è solo l’aspetto mentale a decidere l’esito del confronto, ma è proprio qui che si spezza il dominio di Hinze, battuta dall’idola di casa, che andrà a vincere l’oro in finale contro Lea Sophie Friedrich.

È questo il punto più alto della carriera della classe ’99 di Sainte-Catherine, a pochi chilometri da Arras, nel nord della Francia, che poco più di un anno prima aveva toccato il punto più basso. Aveva rischiato di non essere in quel velodromo e forse di non metterci mai piede, visto che fino ai 13 anni non era salita nemmeno su una bicicletta.

Sognando Bolt (e Céline Dumerc)

“Ero salita in bici solo una volta, ed era una una mountain bike. L’ho odiato e non ci ho più riprovato.” Come ogni bambina appassionata di sport, la Mathilde di 9 anni viene rapita dai Giochi Olimpici di Pechino 2008, visti in televisione con suo padre, a cui dice “Papà, voglio essere anche io alle Olimpiadi, non importa in quale sport, ci voglio andare.” Sono i Giochi in cui Usain Bolt diventa un personaggio di culto e immediatamente una leggenda dello sport mondiale, battendo i record mondiali di 100 e 200 metri piani e conquistando il mondo con il suo carisma. Un punto di riferimento anche per la piccola Mathilde, che ha dichiarato qualche anno fa di sognare di incontrarlo.

Per la Francia sono dei Giochi da appena sette medaglie d’oro, tra cui la prima delle tre in quattro edizioni per la squadra maschile di pallamano, quella di Alain Bernard nei 100 metri stile libero e della seconda di fila di Julien Absalon nella mountain bike cross country. L’attenzione in casa Gros è però soprattutto sul torneo di basket femminile, a cui la Francia nemmeno partecipa, vinto come spesso accade dagli Stati Uniti, che possono schierare Sue Bird, Lisa Leslie e Diana Taurasi, permettendosi di far partire dalla panchina Tamika Catchings o Sylvia Fowles nella finale contro l’Australia.

La pallacanestro è infatti il suo primo amore sportivo, dopo aver iniziato a giocare a 4 anni. La sua role model è Céline Dumerc, leggenda del basket transalpino, argento olimpico a Londra e oro europeo nel 2009. In giovane età Mathilde sembra essere anche promettente, tanto da entrare nel Pôle Espoirs di Aix-en-Provence, uno dei diversi centri federali di reclutamento di giovani talenti in giro per il Paese. Proprio qui, durante il suo secondo anno, la casualità che le cambia completamente la vita.

Un talento inespresso

“Avevano portato delle Wattbike per la squadra di BMX, che si allenava come me ad Aix en Provence. Un giorno ci stavamo allenando alla stessa ora, e il loro coach, per gioco, ci ha invitato a provarle. Ho provato e ho raggiunto dei numeri impressionanti, allora mi hanno cambiato bici per vedere che non ci fosse un problema con la macchina: sono arrivata a 1200 watt su 6/7 secondi. Erano dati impressionanti, considerando la mia età e la mancanza di esperienza. Avevo 14 anni e non avevo mai fatto ciclismo. A dire la verità non mi piaceva, e non sapevo nemmeno che esistesse il ciclismo su pista, le uniche cose che conoscevo erano la mountain bike e il Tour de France.”

Un episodio che innesca una serie di cambiamenti repentini e del tutto inaspettati, proprio nel momento in cui sta iniziando a capire che la sua crescita fisica e tecnica non le permetterebbe di arrivare ad altissimi livelli nel basket. La sua performance viene invece segnalata al coach della nazionale su pista Justin Grace, che la invita a unirsi all’INSEP (Institut national du sport, de l’expertise et de la performance) nel 2015.

Il suo ingresso in un mondo completamente sconosciuto è quasi subito un successo, perché i numeri non mentono, il suo enorme potenziale naturale era solo da sgrezzare e indirizzare, nello specifico verso la velocità. Uno dei primi velodromi a scoprire il suo talento è quello di Montichiari, dove vince due ori europei nel 2016 e tre ori mondiali nel 2017, nella categoria junior, mentre all’Europeo di Glasgow 2018 arriva il suo primo oro da élite nel keirin.

Superare la paura

L’ascesa rapidissima in pochi anni di carriera nasconde le tante paure dei primi mesi, in particolare legate alle cadute, come ha rivelato in un’intervista ai canali ufficiali olimpici prima di Tokyo 2020. “La prima volta che girato nel velodromo dell’INSEP sono caduta, e mi ci è voluto un mese e mezzo per correre di nuovo, ero spaventata. Sono caduta due volte in 15 minuti e avevo schegge ovunque. Ho quasi smesso col ciclismo su pista, sono anche andata alla stazione per tornare a casa, ma alla fine ho cambiato idea.”

Dei fantasmi che si ripresentano dopo una caduta in Coppa del mondo in Polonia, qualche mese prima di volare in Giappone, dove il keirin è uno sport popolarissimo e abbastanza diverso dalle gare internazionali. L’esperienza nella Chariloto Cup, a cui viene invitata per gareggiare nella squadra del resto del mondo, la aiuta ad affrontare e superare la paura di cadere, proprio nella disciplina in cui aveva riportato un brutto infortunio alla spalla.

È un nuovo inizio, che la porta alla prima medaglia mondiale da élite nella velocità, proprio sulla pista di Pruszków dove si era infortunata un anno prima, e a un altro oro continentale nel keirin. Risultati che la portano di nuovo in Giappone per la sua prima Olimpiade a Tokyo, dove si presenta come una delle candidate a una medaglia. Un’esperienza molto diversi da quello che nei sogni di bambina aveva immaginato, un durissimo scontro con la realtà.

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Cadere in basso per tornare in alto

Sia nello sprint individuale che nel keirin si ferma molto prima di entrare in zona medaglie, ma più che i risultati sono le sensazioni vissute in gara ad evocare ricordi spiacevoli, come ha confessato in una video-intervista pubblicato qualche giorno fa sul canale YouTube dell’UCI.

“Volevo una medaglia e avevo troppa pressione. Quando era alla partenza del keirin, la mia prima gara, ho visto la scritta Olympic Games sulla pista e mi sono paralizzata. Dopo la grande delusione forse volevo fermarmi, non potevo continuare in quel modo. Mi sono presa una pausa molto lunga, e mi sono detta che amavo veramente lo sport, ci saranno le Olimpiadi a Parigi tra tre anni, devo tornare. A volte bisogna cadere molto in basso per andare molto in alto.”

E più in basso di così forse non era mai arrivata, nemmeno quando da adolescente era andata alla stazione per aspettare il treno e tornare a casa dall’INSEP, mollando tutto. E sicuramente non è mai arrivata più alto dell’oro mondiale sulla sua pista, a Saint-Quentin-en-Yvelines, che sarà anche la casa del ciclismo su pista olimpico dal prossimo 5 agosto.

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L’atmosfera del velodromo e la spinta trasmessa dal pubblico sono le molle che l’hanno portata alla maglia iridata, insieme alla capacità di caricarsi nella sfida faccia a faccia, come se fosse un uno contro uno nel basket, il suo primo sogno da bambina. Una sfida prima di tutto con sé stessa, da tramutare in adrenalina nei pochi secondi di uno sprint.

Ci sono tante cose, in uno sguardo per esorcizzare le paure prima di partire. C’è tutto questo, negli occhi su Parigi di Mathilde Gros.

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Giovanni Valenzasca

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