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Oro di Federica Pellegrini: distruggere la narrazione che ti hanno creato e spiegare cosa significa essere una donna nello sport

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Oro è una parola forte. In veneziano significa bello e dal 16 maggio è il titolo dell’autobiografia di Federica Pellegrini, edita da “La Nave di Teseo”.”Volevamo un titolo poetico, evocativo, non troppo lungo, impattante. L’idea è di Elena. Io all’inizio non ero troppo convinta, lo vedevo troppo riferito alle medaglie. Lei invece mi ha fatto capire che rappresentava il viaggio, la mia ricerca della perfezione. Non evocava solo le medaglie, ma il percorso per raggiungerle, con la mia crescita da ragazzina di 14 anni a donna di oltre trent’anni”, ha detto Pellegrini presentando il libro. Duecento pagine in cui ha ripercorso la sua vita, insieme ad Elena Stancanelli, che l’ha incisa su carta, presentandola come un continuo flusso di coscienza. Nessun capitolo, nessuna sovrastruttura, i ricordi scorrono con grande naturalezza. “È stato un lavoro di introspezione, faticoso e a tratti anche molto doloroso. Però ne è valsa la pena”, ha affermato Federica ripensando alla stesura del testo, che definisce come la sua più grande sfida dopo il ritiro dalle competizioni.

Oro di Federica Pellegrini: un’autobiografia vera

Quello che ha sempre colpito di Federica Pellegrini, dentro e fuori dall’acqua, è stata la sua schiettezza. Un’autenticità che luccicava, a volte accecava. E quando succedeva, chi la raccontava si è spinto a costruire una narrazione di comodo, che in realtà non apparteneva a lei. Fin da subito, fin da quando aveva 16 anni, fin dalle medaglie d’argento conquistate ai Giochi Olimpici di Atene 2004 e ai Mondiali di Montréal 2005: “Sono felice per l’argento, non va bene. Mi metto a piangere per l’argento, piange per un argento mondiale. Divento la stronza viziata che non sa né vincere né perdere”. E ancora, poco dopo, nel racconto, ha scritto: “Ho sopportato fin da ragazzina una pressione fortissima, ma non ho mai abdicato all’idea di mostrarmi per quello che sono. E io, davvero, sono una persona normale. Ma se piangevo, come fa la gente normale, mi davano della matta, se avevo una crisi di panico pensavano che fossi finita, e se rispondevo male a un giornalista che ero una stronza”. In Oro è saltata fuori, ancora una volta, la sua trasparenza, che l’ha portata a vincere, a nostra opinione, anche la sfida dell’autobiografia. Vi spieghiamo perché.

Un’autobiografia vera, nella quale rimuove le etichette che di volta di volta le hanno appiccato addosso, fermandosi quasi sempre all’apparenza. Andare oltre voleva dire solo scavare nella sua vita privata per generare scalpore. “Tante cose sono state raccontate da altri, mai da me in prima persona e così ci sono stati sempre dei filtri che, in un modo o nell’altro, finivano per travisare la realtà dei fatti”, ha spiegato in fase di presentazione. Ed è così che leggendo Oro si ha la sensazione di essere messi “faccia a faccia con il fatto nudo e schietto”, come scriveva Giovanni Verga nella Prefazione a L’amante di Gramigna teorizzando la poetica dell’impersonalità. È la forte impronta “verista” che caratterizza il racconto, nella quale Pellegrini non ha voluto porre filtri, come quando ogni volta che in gara usciva dalla vasca, si toglieva gli occhialini, la cuffia e poi si presentava davanti ad una telecamera e un microfono. E come in un quadro realista di Gustave Courbet trasponeva le sensazioni di quel momento, di quella gara, i suoi pensieri e le sue emozioni, con un linguaggio sempre diretto, dritto al punto, a volte non facile ma tremendamente vero.

Nell’autobiografia ha fatto lo stesso, raccontando tutte le facce della medaglia (nel vero senso della parola, nel suo caso). Facendoci capire come ogni sua scelta durante la carriera sia sempre stata ragionata, con il cuore e con la testa. E arrivando fino all’ultima pagina, vi renderete conto che l’impulsività e la scontrosità, con la quale hanno sempre ritratto Federica, sono in fondo inconsistenti, vacue. Ricamate da chi sapeva come queste caratteristiche rendevano più attraente e divisivo il “personaggio Pellegrini”, generando rumore, discussione: introiti. Ma in questo libro, grazie anche alla penna e al sopraffine lavoro di Stancanelli, Federica ha distrutto la narrazione che in questi vent’anni le hanno creato. L’ha spazzata via, consegnandoci in prima persona la propria visuale, prospettiva, il proprio approccio alla vita. Solamente con la sua voce, una volta per tutte.

In Oro c’è tutto. Fin dall’infanzia, in cui curiosamente non ricorda di aver imparato mai a nuotare, al suo amore spasmodico per questo sport: “Qualunque cosa mi succedeva fuori dall’acqua, io sapevo sempre che sarei tornata il giorno dopo in piscina ad allenarmi”. L’acqua, il suo punto fermo, il filo conduttore della sua esistenza, la sua maestra di vita, come ha scritto nella dedica iniziale. Nel libro vengono ripercorse le tante difficoltà, emerse e subite, a partire dalla dismorfia e la bulimia, la solitudine interiore, le pressioni e le perfide rappresentazioni altrui, le crisi di panico. C’è la vita di una ventenne in tutte le sue sfumature, comprese le storie d’amore, di cui venivamo costantemente informati, naturalmente molto più del dovuto e rispetto a quanto veniva fatto sul suo percorso sportivo, oltre le gare. E sulle quali la stampa ha continuato sempre a schiacciare il pedale del clamore spicciolo, anche in occasione dell’uscita di Oro, ma ci torniamo presto.

Cosa significa essere una donna nello sport

Uno degli assi portanti, dei fili conduttori, di Oro è il legame donna-sport, ancor di più campionessa-sport. Un rapporto di cui si parla poco, confondendolo con quello degli uomini, e sul quale Pellegrini, riattraversando la propria carriera, ha fatto emergere alcuni aspetti chiave. A partire dalla questione ormonale, di come influenzi le prestazioni, di come venga considerata un limite e non studiata come una caratteristica. Ma ancora prima viene la percezione dello sport femminile: “Quando sono entrata in nazionale dicevano che le gare delle donne servivano a dare la pausa a quelle degli uomini. Da donna orgogliosa siamo riuscite a ribaltare le cose, a creare un movimento femminile molto forte con una voce, che è quello che mi premeva, perché nel bene e nel male, anche sbagliando termini o modi, ho sempre detto quello che pensavo e per me è stato fondamentale”. In questi giorni, parlando del libro, ha ripetuto spesso di voler continuare a impegnarsi per cambiare questa percezione, con nuovi progetti a livello sociale: siamo sicuri che saranno le sue nuove sfide più grandi e avvincenti.

Fino ad arrivare alla sessualizzazione del corpo, di cui Pellegrini parla usando l’elegante metafora di femme fatale. Contro chi di elegante aveva ben poco. A riguardo l’episodio che resta più impresso è il primo menzionato, quando a diciassette anni viene convocata con diverse atlete per un servizio fotografico per SportWeek, in vista di una mostra. Dura due giorni e racconta di come si fosse trascinata tra un’estenuante richiesta e l’altra, di essere stata in costante imbarazzo ma senza mai opporsi. Per via dell’età e soprattutto dell’abitudine ad attenersi a ciò che la circondava, per amore del nuoto. “Il giorno della presentazione ho il panico. So già che non mi piacerà. Entro nella sala ed è peggio di quanto avessi immaginato. Appese alle pareti ci sono le foto. Enormi. Gigantografie. Un incubo. Rimango pietrificata, vorrei coprirle in qualche modo. Le pose languide, la seduzione, vorrei solo sprofondare, sparire, morire. E invece tutti mi guardano, è pieno di gente che vede quella che a me sembra una povera ragazzina grassa e brufolosa, truccata come una puttana, mezza nuda. Io sono un’atleta, perché mi hanno trasformato in una femme fatale? Ho solo diciassette anni, sono minorenne: a prescindere dalla mia condizione fisica, quella sessualizzazione del mio corpo è una violenza, mi umilia ed è assolutamente fuori luogo”. Com’è chiaro dall’immagine che Federica ha rievocato, questo tema e il rapporto donna-sport stesso si intreccia inevitabilmente con la stampa, con chi lo racconta, o almeno dovrebbe farlo (seriamente).

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La stampa ha perso per l’ennesima volta una grande occasione

“Mi facevano domande sul sesso e poi, dopo interviste in cui si parlava di sport, con quella risposta facevano il titolo. Se in un’intervista mi facevano sessanta domande, tra le quali una era hai mai fatto sesso prima delle gare e rispondevo sì, le agenzie il giorno dopo uscivano con il titolo: “Pellegrini fa sesso prima delle gare”. Adesso ho imparato, se mi fanno una domanda sul sesso semplicemente non rispondo. Così, in cambio possono dire che sono una stronza”. O ancora, quando decide di scartare una foto di un servizio fotografico, sempre di SportWeek, e tempo dopo se la ritrova in copertina su Oggi: “Una foto bruttissima, in cui sono accucciata con dei tacchi altissimi e il costume, la schiena gobba e la pancia in dentro. Titolo: “La mangiauomini”. E sotto, piccolo piccolo: “La chiamano così. Ma lo merita?” Si può essere più scemi? Mi sono infuriata […] Secondo me la foto era rimasta nell’archivio del fotografo o del giornale e dopo che io e Filippo ci siamo lasciati, oppure in uno dei nostri momenti di crisi, qualcuno ha avuto l’idea di ripescarla e metterla in prima pagina. Non so di chi sia la colpa, ma so che se al posto mio ci fosse stato un uomo non l’avrebbero fatto”.

Quest’ultima affermazione suona come una sentenza, amara. L’uscita di Oro, un’autobiografia ricca di temi forti (molto di più di quanto detto finora, non possiamo mica anticiparvi tutto se non l’avete letta…) e di una delle atlete più iconiche della storia, poteva essere l’occasione, per la stampa, di ribaltare questo paradigma, questo modus operandi, all’insegna dei click, del giornalismo becero, che punta sulla credulità del pubblico. E invece la maggior parte delle testate hanno presentato l’autobiografia allo stesso modo, con un’unica dichiarazione nel titolo: “Posso scopare con chi voglio”. E la cosa più brutta è che Federica se l’aspettava: “Molte agenzie giornalistiche hanno voluto riprendere un passaggio del libro, fino allo sfinimento, estrapolandolo dal contesto, come del resto mi aspettavo che sarebbe accaduto”. Alcuni l’hanno fatto con delle censure, quasi come per coprirsi la faccia, viene da pensare con sarcasmo, mentre stavano scrivendo quello che doveva essere l’articolo di presentazione di un libro importante per lo sport italiano. Doveva, perché con quel titolo, dove quella frase era stata inserita in maiuscolo, decontestualizzata, hanno trasfigurato completamente, in modo vergognoso, il primo approccio al testo. Ma andiamo con ordine perché nel libro Pellegrini l’aveva scritta con un senso, assunto naturalmente nel contesto.

Nell’albergo del Mondiale di Shanghai 2011 termina la sua relazione con Luca Marin, Federica glielo dice apertamente, e inizia quella con Filippo Magnini. Marin non lo accetta e una sera, mentre lei è in camera con Magnini, inizia a picchiare selvaggiamente contro la porta: “Uscite o vi ammazzo”. “Io e Filippo non apriamo – racconta Pellegrini nel libro – Luca è fuori di sé, sarebbe finita a botte. Telefoniamo ai dirigenti della Federazione che vengono a prendere Luca e lo portano giù nella hall. Dopo un po’ mi chiamano e mi dicono Fede, l’abbiamo tranquillizzato un po’, scendi per favore così ne parliamo. Scendo, sono tranquilla, non mi importa niente, non ho fatto niente di male, sono solo affari miei. Luca urla, ti rendi conto di quello che fai? Che io sto male? Scusa, gli rispondo io, ci siamo lasciati due giorni fa quindi posso fare quello che mi pare. Più esattamente, dico di fronte, ai dirigenti della Federazione, posso scopare con chi voglio. Sono convinta che a parti inverse sarebbe stato diverso. Ma vedere un uomo che soffre e una donna tranquilla, che si gode il suo nuovo amore, è più difficile da accettare. Gran parte della squadra si schiera dalla parte di Luca”.

Quell’affermazione è pesante, volgare? Certo. Brutale se detta in pubblico? Sì. Poteva allora evitare di riportarla? No, se voleva restare fedele al principio che anima il testo e di cui abbiamo parlato inizialmente. Oltre che far passare un messaggio forte, dietro le righe: l’indipendenza. Rafforzato da quel dubbio che si ripete ancora: “Se fossi stata un uomo…”. Che purtroppo, a distanza di tredici anni, continua a suonare attuale. In più il racconto intimo delle sue relazioni (fino a quella con l’attuale marito Matteo Giunta) ci fa entrare a pieno nella sua vita, arrivando a comprenderla fino in fondo, una volta venuti a conoscenza di tutto ciò che l’ha condizionata. Non dovrebbe essere l’essenza di ogni autobiografia che si rispetti?

Invece la maggior parte delle testate italiane, generaliste e sportive, sono finite per far passare il messaggio opposto. Come se quegli episodi privati fossero stati svelati per vendere qualche copia in più. Hanno perso l’ennesima occasione per fare bella figura loro, innanzitutto, ma principalmente per promuovere e presentare in modo adeguato un contenuto di risalto nell’ambito della letteratura sportiva. Solo alcuni giorni dopo hanno cercato di rimediare, pubblicando articoli in cui venivano presentati e approfonditi diversi temi affrontati nel libro. “Diffidate dei titoloni”, era l’appello di Federica nei primi giorni dall’uscita di Oro. E anche il nostro: leggete Oro, fino in fondo, non ve ne pentirete.

Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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