Durante i Mondiali di atletica a Doha (Qatar), in particolare nei primi giorni, sono emerse importanti falle a livello organizzativo. In un paese ricco economicamente, ma scarso di tradizione sportiva, ecco che colei che fino alle ultime Olimpiadi era considerata la disciplina regina della rassegna a cinque cerchi perde gran parte del proprio fascino. Surclassata dalla contemporanea Coppa del Mondo di rugby in Giappone, a meno di 300 giorni da Tokyo 2020 rischia clamorosamente di perdere lo scettro. Un danno quasi irreparabile, di cui andiamo ad analizzare dettagliatamente cause e possibili conseguenze. Anche sotto l’aspetto geopolitico.
Quando il denaro viene preferito alla passione, ecco che una manifestazione del genere non può che perdere una parte del suo prestigio.
Desolazione.#WorldAthleticsChamps https://t.co/hLIj2ZAE5M
— Michele Moretti (@MMoretti24) September 29, 2019
Clima infernale
Le temperature elevate, nonostante si gareggi nel pieno della notte, trasformano le corse su strada in gare ad eliminazione. Non vince il migliore, ma chi riesce a resistere a condizioni umanamente proibitive. Acqua, ghiaccio e spugne bagnate non sono sufficienti ad evitare uno scenario sconvolgente. “Vedevo atleti camminare e poi svenire” racconta Eleonora Giorgi, medaglia di bronzo nella 50 km di marcia, che a sua volta ha dovuto combattere contro gli attacchi di vomito durante la gara iridata. 41% di ritiri nella maratona femminile e 39% nella 50 km di marcia maschile.
Brutal marathon conditions are starting to take their toll on the runners now just under an hour into the race #WorldAthleticsChamps pic.twitter.com/assnQff009
— FloTrack (@FloTrack) September 27, 2019
A farne le spese prima ancora dello start la maratona maschile, orfana di due grandi nomi: Kenenisa Bekele, che pochi giorni fa ha sfiorato il primato mondiale a Berlino, e il detentore dello stesso record del mondo Eliud Kipchoge, che il prossimo 12 ottobre a Vienna tenterà l’impresa leggendaria di correre i 42,195 km in meno di due ore.
Il caldo incide in termini cronometrici, non solo su strada ma anche su pista. Basti pensare alla fuga dal primo metro di Beatrice Chepkoech nei 3000 siepi femminili, senza tuttavia impensierire minimamente il primato della stessa keniana, costretta ad “accontentarsi” del record dei campionati. E l’organizzazione decide di sopperire al problema… col denaro! In palio una cifra esorbitante a chi infrange il record mondiale.
Pubblico quasi assente
Vedere gli spalti non colmi in occasione della finale dei 100 m maschili desta riflessione. E i teloni di certo non nascondono la sconcertante situazione. Lo spettacolo in questi giorni non manca, ma con molta probabilità gli abitanti dello stato mediorientale non se ne stanno accorgendo. I milioni spesi per creare un ambiente “rinfrescante” all’interno del Khalifa Stadium a quanto pare non bastano per convincere un maggior numero di spettatori ad assistere alla competizione biennale. Occupano più posti gli “addetti ai lavori”, familiari e atleti non in gara. Tra le possibili cause i prezzi dei biglietti e gli orari scomodi (si gareggia fino a tarda serata): nonostante il Qatar sia uno dei paesi con il reddito pro capite più elevato, buona parte della popolazione guadagna da vivere come operaio per la realizzazione di grandi infrastrutture che ospitano eventi come questo.
Aggiornamento: come sottolineato anche dalla Gazzetta dello Sport, finalmente giovedì 3 ottobre il Khalifa Stadium si è riempito quasi completamente per la prima volta in sette giorni, grazie ad un’operazione mirata di biglietti omaggio. Un trend che potrebbe andare avanti per tutto il week-end. Meglio tardi che mai.
Colpe e ripercussioni sulla IAAF. Il denaro vince sull’etica e la cultura
L’ideale del presidente IAAF Sebastian Coe è rispettato: allargare l’atletica a nuove frontiere, ad esempio lo stesso Medio Oriente, dove mai prima d’ora si erano disputati i Mondiali. Ma siamo sicuri che, in un periodo di grandi turbamenti interni, il modo migliore per aumentare visibilità sia l’espansione verso regioni scarse o del tutto prive di tradizione, senza cercare prima una soluzione a problematiche che costituiscono una cattiva pubblicità come i casi di Semenya e Salazar?
“Tutto ciò che ha Doha è il denaro” affermò qualche anno fa José Maria Odriozola, dirigente spagnolo dell’organo internazionale. E in effetti l’offerta di quasi 30 milioni di dollari per sponsorizzazioni extra e la promessa di costruire 10 nuove piste in tutto il mondo conquistò il parere della maggioranza degli elettori di quel 18 novembre 2014, quando venne ufficializzata la candidatura della capitale del Qatar ad ospitare i Mondiali di atletica. Tant’è che in Francia è stato aperto un fascicolo per corruzione attiva.
Manca la cultura per altri sport diversi dal calcio (maschile). Gli unici atleti qatarioti in grado di lottare per un piazzamento degno di nota sono il fresco medagliato Abderrahman Samba (bronzo nei 400 ostacoli maschili) e il campione di Londra 2017 nel salto in alto Mutaz Essa Barshim. E nonostante una maggiore “apertura” verso la parità tra generi rispetto ad altri paesi arabi, le gare femminili sono ancora poco apprezzate dal pubblico (la finale dei 100 m donne ne è la prova). Ci prova l’atleta di casa Miriam Farid a dare una svolta nel suo piccolo, correndo i 400 ostacoli con il “velo”: “Non rappresento solo me stessa ma anche una cultura, una tradizione, donne del Qatar, donne hijabi”.
Un precedente e un futuro da stravolgere
Quello di cui stiamo parlando non è un caso isolato nel mondo dello sport. Già nel 2016, proprio in Qatar, si erano disputati i campionati mondiali di ciclismo. Ma l’89^ edizione iridata verrà ricordata più per le strade semi-deserte su cui si è pedalato (non solo in termini paesaggistici) che per il bis di Peter Sagan.
Nel 2022 si disputeranno i Mondiali di calcio, in un periodo inusuale rispetto al tradizionale calendario sportivo, come accaduto per ciclismo e atletica. Il Medio Oriente sarà in grado di ospitare uno degli eventi sportivi più seguiti a livello globale? Se due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, per gli arabi rischia di trattarsi già dell’ultima spiaggia. Servirà un cambiamento radicale entro i prossimi tre anni se si vuole continuare ad investire sulle manifestazioni sportive internazionali.
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