Un filo sottile, ma solido, unisce le lacrime versate da Mark Cavendish sull’asfalto dell’ottava tappa del Tour de France 2023 a quelle odierne, di commozione, per aver realizzato un record storico. Qualche giorno fa quasi piangeva per la fatica, invece, in sella alla sua bici lungo i colli romagnoli e a San Luca. Una partenza dall’Italia da incubo per Cannonball, l’ultimo velocista puro a scrivere una pagina di storia.
Una figura e un ruolo che va scomparendo con il trascorrere degli anni, sotto l’impulso di chi organizza le corse e disegna i percorsi, a favore di profili mossi, nervosi, duri. Dalle categorie giovanili infatti non arrivano quasi più sprinter puri e si tende a formare corridori veloci in volata, ma versatili. Le possibilità di vittoria per chi ha un formidabile spunto veloce, ma non coltiva la capacità di resistere a brevi, però intense e ripetute, salite, sono davvero minime nel ciclismo odierno. Lo conferma il disegno degli ultimi grandi Giri e di diverse gare a tappe, a partire dal Tour de France in corso. Una scelta all’insegna dello spettacolo, abolendo le cosiddette tappe di trasferimento, piatte e di scarsa attrattiva.
In un ciclismo che cambia, accompagnato da un ricambio generazionale imponente, Cavendish non ha voluto mollare l’àncora. A 39 anni, compiuti il 21 maggio, si è presentato al Tour per vincere la sua trentacinquesima tappa e diventare il corridore più vincente della storia i questa corsa. Un primato che fino al traguardo odierno di Saint-Vulbas, ha detenuto con Eddy Merckx e che nella scorsa edizione ha inseguito a metà, per via della caduta nell’ottava frazione e della conseguente frattura della clavicola destra. Ritiratosi dal Tour, Cavendish aveva annunciato due mesi prima, durante il Giro d’Italia, anche il ritiro del professionismo, la fine della sua carriera. Ma come suggerisce il titolo del documentario che Netflix gli ha dedicato, «Never Enough», mai abbastanza, Cav non poteva chiudere il suo viaggio nel gruppo senza aver provato fino in fondo a raggiungere l’obiettivo che si è posto in questi ultimi anni. Così ad inizio ottobre ha annunciato che no, non avrebbe smesso, ma rilanciato per il 2024.
Cavendish si è rialzato più forte che mai da quella caduta
Decisivo è stato il supporto dell’Astana Qazaqstan, che gli ha dato fiducia per un altro anno e che, soprattutto, si è affidata a lui per riscattarsi dopo un 2023 da dimenticare. Fin da gennaio il cuore della formazione kazaka infatti batte intorno a Cavendish. Si uniscono alla squadra due figure fondamentali ai tempi del grande ritorno ai vertici del britannico in maglia Soudal Quick-Step nel 2021, l’anno delle dieci vittorie, di cui quattro al Tour de France. Proprio dalla squadra belga, approdano all’Astana Michael Mørkøv e Davide Ballerini: il treno si è ricomposto. Senza dimenticare il rinnovo fino al 2025 di una terza pedina importante nell’ultimo chilometro, Cees Bol. E non è finita qui. L’operazione Cavendish assume ancora più rilievo considerando anche il ritorno di Vasilis Anastopoulos al suo fianco, l’allenatore che lo rilanciò alla Quick-Step, e l’aggiunta di Mark Renshaw come direttore sportivo, il quale conosce molto bene sia Cavendish (è stato il suo ultimo uomo dal 2014 al 2019, l’anno del ritiro dell’australiano) che le volate in sé. Nell’annuncio dell’arrivo in Astana tutti si sono dimostrati molto motivati a firmare un record sensazionale, a partire da Renshaw che in un’intervista a GCN ha chiosato: «Abbiamo tutto quello di cui c’è bisogno per riuscirci». Attorno, però, tanto scetticismo. Per alcuni quasi una follia, vista l’età del protagonista e l’anno della sua prima vittoria al Tour, il 2008, sedici stagioni fa.
Il voler ricomporre le tessere del puzzle che ha visto Cavendish stupire tutti nel 2021, quando al Tour ha eguagliato il primato di Merckx (34 vittorie di tappa), si è rivelata la scelta migliore. La scorsa stagione ha alzato le braccia al cielo una sola volta, a Roma in via dei Fori Imperiali con il Colosseo sullo sfondo nell’ultima giornata del Giro d’Italia. Una cartolina da cui Cavendish e la sua squadra sono ripartiti verso una sfida tanto complicata, quanto storica e prestigiosa. L’edizione centoundici della Grande Boucle, però, offre davvero poche occasioni per gli sprinter, privati anche della volata più celebre, quella finale sugli Champs-Élysées, a causa dei vicini Giochi Olimpici di Parigi. Ma la stagione comincia al meglio, con un successo nella quarta tappa del Tour Colombia, davanti a Fernando Gaviria, poi l’UAE Tour dal quale si ritira per aver contratto una leggera febbre, a cui segue il ritiro nella Tirreno-Adriatico dopo aver tagliato fuori tempo massimo il traguardo della frazione più dura. Non porta a termine nemmeno la Milano-Torino e chiude in ombra, un mese dopo, il Giro di Turchia. Ma l’appuntamento con la storia si avvicina e a inizio giugno Cavendish torna ad imporsi nella seconda tappa del Giro dell’Ungheria, battendo Dylan Groenewegen. Il Giro di Svizzera chiude il percorso d’avvicinamento al Tour: sulle strade elvetiche si va per mettere chilometri nelle gambe.
Cavendish saluta il pubblico italiano durante la presentazione delle squadre
Alla Grand Départ di Firenze, l’avversario numero uno, tra lui e il record, sembra essere Jasper Philipsen, quel corridore versatile dallo spunto veloce, di cui parlavamo inizialmente, per eccellenza al giorno d’oggi. Tutti gli sprint della scorsa edizione sono finiti nelle sue mani. Ed è proprio il belga della Alpecin-Deceuninck ad essere superato a doppia velocità all’inizio dello sprint che chiude la quinta tappa. Una volata caotica e nervosa, alla quale Cavendish approda dopo aver rischiato di sfiorare il tempo massimo nelle precedenti dure frazioni. Ma oggi si sente rinnovato, chiede ai suoi compagni di squadra di tirare appena comincia la seconda metà del percorso. Resta sempre nelle prime posizioni del gruppo. Nell’ultimo chilometro la strada comincia a salire leggermente, il vento contrario soffia forte. Qualche treno comincia a spezzarsi per il tanto nervosismo, compreso il suo. Resta da solo. Così si piazza alla ruota del migliore, la ruota di Philipsen. Poco dietro di loro, Mads Pedersen scivola rovinosamente a terra, Axel Zingle fa saltare la bicicletta e lo supera in aria. Cav non se ne accorge e continua a spalleggiare, è il momento di alzarsi sui pedali. Trova un pertugio e si infila, una mossa veloce e raffinata come un pregiato colpo di precisione su un tavolo da biliardo. Qui il tavolo è la strada, le palline sono i corridori e non c’è nessuna buca da centrare. Così Cavendish ha campo libero davanti a sè, è in testa e cambia immediatamente traiettoria. Philipsen prova a seguirlo, invano. Taglia il traguardo con più di una bicicletta di vantaggio. Dominio. Vittoria numero trentacinque. Storia.
«Nel 2007 io e Cav correvamo nella T-Mobile – ha raccontato Adam Hansen pochi giorni fa a CyclingNews – Durante un allenamento un altro corridore disse: “Facciamo finta di essere qualcuno. Io voglio essere Mario Cipollini, voi?” Le esatte parole di Mark furono: “Cavolo, io voglio essere Mark Cavendish”. Non voleva essere qualcun altro, ma se stesso. Credeva molto nelle sue potenzialità fin dall’inizio. In questi ultimi cinque anni non l’ho mai visto così felice di correre come oggi». Voleva essere solo e sempre Cav, il corridore più vincente di sempre al Tour de France.
Immagine in evidenza: A.S.O./Charly Lopez
Comments