Leadout, pesce pilota, ultimo uomo: comunque lo si voglia chiamare, rimane un ruolo semplice da definire, ma difficile da rintracciare all’interno del gruppo. Spesso infatti è un compito circostanziale, in un ciclismo dove si vedono sempre più squadre presentarsi alle corse con due sprinter che definiscono i propri ruoli giorno per giorno.
Sono sempre meno gli specialisti puri rimasti in gruppo a svolgere questo delicato compito nell’approccio alla volata, che legano il proprio nome ai successi del velocista con cui agiscono in simbiosi. È il caso di Jacopo Guarnieri con Demare, o di Michael Mørkøv con i vari velocisti della Quickstep, o quello più recente di Jonas Rickaert in Alpecin Fenix.
Spesso si tratta di ex velocisti poco vincenti, che nella seconda parte di carriera mettono la loro esperienza al servizio dell’uomo di punta, cercando di portarlo nelle migliori condizioni possibili ai 200 metri per finalizzare il lavoro. Il prossimo Giro d’Italia sarà l’ultima corsa della carriera per uno dei grandi maestri del leadout degli anni ‘10. Per certi versi è stato il più inimitabile, già solo per questioni geografiche.
Nascendo a Bella Vista, nordest di Buenos Aires, è probabile il destino porti verso un campo d’erba e un pallone, rotondo o al limite ovale. Invece Maximiliano Ariel Richeze Araquistain, per tutti Maxi, ha scelto di prendere una strada diversa e dedicare la propria vita sportiva al ciclismo. Non all’interno di una generación dorada come quella del basket oro ad Atene 2004, ma di una famiglia di ciclisti, una mosca bianca (o albiceleste) all’interno del peloton. Forse è per questo che il suo destino era avere un ruolo così peculiare, nascosto ma allo stesso tempo riconoscibile, che lo ha reso doppiamente anomalo.
Fin dai primissimi anni di carriera c’è sempre stata l’Italia nel destino di Maxi. Nel 2006 passa professionista con la Ceramica Panaria Navigare, con cui debuttò subito al Giro d’Italia, centrando un secondo posto all’ultima tappa. Anche nel 2007 replicherà due volte lo stesso piazzamento (ufficialmente risultano due vittorie in seguito alla squalifica di Petacchi), che rimane il suo massimo in carriera nei Grand Tour.
In generale Richeze si era confermato come un velocista costante, in grado anche di vincere qualche corsa di secondo piano, fino a quel maledetto 9 maggio 2008. È la vigilia del Giro d’Italia, quando all’argentino della CSF viene comunicata la positività a un controllo antidoping, risalente a un mese prima, dopo una vittoria al Circuit de la Sarthe. In seguito venne riconosciuta la sua innocenza, ma fino al 2011 non poté tornare a gareggiare.
C’è ancora l’Italia ad attenderlo: l’Italia che ha accolto lui e i suoi tre fratelli, tutti corridori, così come il padre Omar; l’Italia che gli ha sbattuto la porta in faccia alla vigilia del suo terzo Giro, ma che gli concede una seconda opportunità. Corre per due stagioni alla Nippo, prima di approdare nel World Tour con la Lampre dal 2013 al 2015.
Arrivato a 30 anni, però, non può garantire più di qualche piazzamento, ma arriva l’intuizione che gli allunga la carriera: diventare l’ultimo uomo dei migliori velocisti del mondo. La punta di velocità, la scaltrezza e il colpo d’occhio sono tutto quello che serve per essere l’ultimo uomo ideale e contribuire a un gran numero di vittorie dei propri capitani. Il primo fu Sacha Modolo, ma Richeze ha fatto le fortune soprattutto dei velocisti Quickstep, tra cui Kittel e Viviani, ma soprattutto Fernando Gaviria. Se il colombiano è diventato el misil, gran parte del merito è anche del suo luogotenente, con cui ha conquistato 25 delle sue 30 vittorie nel triennio 2016-2018, comprese le quattro tappe e la ciclamino al Giro 2017 e la prima maglia gialla del Tour 2018.
Nelle rare occasioni che gli sono capitate, Richeze è spesso stato in grado di cogliere l’attimo per la gloria personale. Al Tour de Suisse 2016, proprio Gaviria restituì il favore con un buco che permise all’argentino di centrare la sua ultima vittoria World Tour. Nel 2018 in Turchia invece, Richeze conquistò la prima tappa, trovandosi a sprintare a causa di una caduta che aveva messo fuori causa il compagno colombiano.
Nel 2020 si sono ritrovati insieme alla Uae Emirates, senza ripetere però le imprese di quegli anni magici alla corte di Patrick Lefevere, in cui il colombiano sembrava imbattibile e l’argentino era sempre scientifico nel portarlo su un vassoio allo sprint. Saranno di nuovo insieme anche al prossimo Giro d’Italia, l’ultima corsa della carriera di Maximiliano Ariel Richeze. Non ci sarebbe dovuto essere inizialmente, dopo che il suo contratto non era stato rinnovato, ma l’infortunio di Hodeg gli ha offerto un’ultima chance.
We can’t wait to get the first Grand Tour of the season! Here’s our line-up for #Giro d’Italia 🇮🇹:
🇵🇹 @JooAlmeida98 ⁰🇮🇹 @AlessandroCovi ⁰🇵🇹 @RuiCostaCyclist ⁰🇮🇹 @davideformolo ⁰🇨🇴 @FndoGaviria ⁰🇵🇹 @roliveira57 ⁰🇦🇷 @MaxRicheze ⁰🇮🇹 @DiegoUlissi #UAETeamEmirates #WeAreUAE pic.twitter.com/DPe1RB0toH
— @UAE-TeamEmirates (@TeamEmiratesUAE) April 30, 2022
Ripercorrendo tutto il viaggio di questo bairense, trapiantato a Bassano del Grappa, sembra impossibile scrivere un finale migliore di così. Il Giro che lo ha lanciato tra i professionisti, che lo ha fermato rischiando di spezzare il suo sogno, che lo ha esaltato come pesce pilota di una maglia ciclamino, lo vedrà dare gli ultimi colpi di pedale per cercare il pertugio per far uscire il proprio uomo, il velocista che ha reso grande e che lo ha reso famoso come il miglior leadout del mondo. Ultimo uomo, per l’ultima volta.
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