Forse i puristi del ciclismo non apprezzeranno, eppure la partenza del Tour de France dall’Italia rappresenta un’occasione fondamentale per il nostro movimento. Una proposta che arriva dopo centinaia di voci che si sono rincorse negli anni lungo la Penisola, altrettante promesse non mantenute e che finalmente va a colmare un buco in oltre centovent’anni di storia della Grande Boucle.
Eppure l’entusiasmo per l’approdo nel 2024 in quel di Firenze ci ha fatto dimenticare che la maglia gialla non passa nel Bel Paese da quasi dodici anni, per la precisione dal 2011 quando il gruppo fece tappa a Pinerolo prima di ripartire per il Galibier. All’epoca Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard erano soltanto due adolescenti con la passione per la bicicletta e il mondo non aveva ancora conosciuto il Coronavirus, eppure era pronto a godersi una sfida fra titani sulle strade di Francia con protagonisti Alberto Contador (Saxo Bank), Cadel Evans (BMC) e Andy Schleck (Leopard-Trek).
Sono quelli infatti i giorni del “Pistolero” spagnolo che, dopo essersi imposto nel 2010, torna in terra transalpina con l’obiettivo di centrare quella doppietta Giro-Tour che manca dal 1998 e che soltanto lui sembra poter centrare. Il capitano della Saxo-Bank si presenta però alla Grande Boucle con una spada di Damocle sulla testa rappresentata dall’indagine legata a una controversa positività a un anabolizzante che potrebbe costargli una squalifica e la cancellazione del successo dell’anno precedente.
Chi attende con ansia l’esito delle indagini appariva lo stesso Schleck che, a 26 anni, è chiamato a dimostrare quel talento emerso a tratti nel decennio precedente e a scrollarsi quella fama di “eterno incompiuto” spesso affibbiata al fratello Frank venutasi a creare complice l’ingombrante presenza di Contador. Discorso simile per Evans che, dopo aver mancato per una manciata di secondi nel 2007 la maglia gialla a favore del primo Contador, è costretto a prender al volo l’ennesimo treno di una carriera contraddistinta dalla regolarità e dai secondi posti e portare in patria quell’acuto atteso da decenni dall’Australia. Una trama fitta per un Tour ricco di mezze punte come i vari Bradley Wiggins (Sky), Jurgen Van Den Broeck (Omega Pharma-Lotto), Alexsandr Vinokurov (Astana), Chris Horner e Andreas Klöden (Radioshack) pronti a far saltare, ma che ben presto si troverà a fare i conti con alcuni protagonisti inattesi come Thomas Voeckler e la sua Europcar.
Istrionico, buffo, a volte esagerato, il finisseur alsaziano è stato probabilmente a suo malgrado uno dei corridori più divisivi del ciclismo contemporaneo. Odiato dai colleghi per le innumerevoli smorfie sfoderate durante le gare, ma al tempo stesso idolatrato dai tifosi per quel coraggio innato, il corridore transalpino ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza sicuramente curiosa, trascorsa ai Caraibi sull’Isola di Martinica dove ha mosso i primi passi nel mondo della bicicletta prima di tornare nella madrepatria e mostrare tutto il proprio talento. Re indiscusso delle fughe (a volte veri e propri tentativi scellerati tesi a creare puramente spettacolo), “Ti-Blanc” si è fatto conoscere al grande pubblico internazionale grazie alla maiuscola impresa compiuta l’8 luglio 2004 nella quinta tappa, 195 chilometri da Amiens a Chartres.
Con uno dei suoi colpi da maestro, Voeckler ebbe l’accortezza di inserirsi prontamente in una vera e propria “fuga-bidone” capace di guadagnare oltre sedici minuti su un gruppo guidato come tradizionalmente accadeva in quegli anni da un “padre-padrone” come Lance Armstrong. Con una condotto coriacea e forse un po’ folle, il fresco campione transalpino seppe mantenere il simbolo del primato per ben dieci giorni, rimanendo in sella anche di fronte alle sgasate del texano sui Pirenei conservando la leadership per ventidue secondi a Plateau de Beille e mantenendola così sin sulle Alpi.
Nel 2011 però le cose erano letteralmente cambiate. Voeckler non è più un corridore sconosciuto dal viso da bambino, ma piuttosto un uomo ormai segnato da alcuni “colpi di testa”, ma soprattutto da grandi vittorie come il GP de Plouay, due tappe alla Parigi-Nizza, il Gran Premio del Québec e una frazione del Giro del Trentino, il tutto condito da due titoli titoli francesi. Thomas è ormai un ottimo cacciatore di tappe, tanto bravo a resistere sulle salite quanto incostante, ma pur sempre il simbolo di una Francia alla sempre disperata ricerca del nuovo Bernard Hinault. Quel Tour più di altri può diventare una grande vetrina complice la partenza dalla Vandea, terra di rivolte, maree, ma soprattutto del suo maestro Jean-René Bernaudeau e dell’Europcar.
Quella pazza quanto affascinante partenza dentro il mare, fissata direttamente dal Passage du Gois, si rivela fatidica per molti degli attesi protagonisti, falcidiati dalle cadute che misero fuori gioco nella prima settimana pesci grossi come Wiggins, Brajkovic e Horner. Tolto il campione del mondo Thor Hushovd (al comando della classifica generale per sette giorni), l’unico che sembra riuscire a rimanere a galla in questa esaltazione della follia è Cadel Evans, a segno sul Mur de Bretagne e in attesa di prendersi la maglia al momento giusto. Quando la tavola sembra finalmente imbandita per rivedere un australiano in giallo, ecco quella che in ambito scientifico si potrebbe definire la variabile impazzita: Thomas Voeckler.
E’ il 10 luglio, una domenica calda e assoluta, e il Tour torna a Saint-Flour sette anni dopo l’ultimo passaggio che aveva visto in maglia gialla proprio il capitano dell’Europcar. Prima di addentrarsi verso i Pirenei, la corsa prevede una tappa adatta alle fughe, piena di trappole, ma soprattutto di gran premi della montagna che possono far gola a chi punta alla maglia pois. Quale migliore occasione per andare all’attacco per il nostro eroe che, senza farselo ripetere due volte, si inserisce nel solito tentativo a lunga gittata. Con il passaggio dei chilometri succede tuttavia di tutto: dietro Vinokurov e Van den Broeck cadono dicendo addio alla competizione, mentre la fuga prende progressivamente vigore; un esito seguito da Juan Antonio Flecha che, mentre si trova al comando delle operazioni, viene travolto da un auto dell’organizzazione trascinando a bordo strada anche Johnny Hoogerland, gettato letteralmente nel filo spinato e costretto a ripartire con numerose lacerazioni.
Nonostante i numerosi incidenti, “the show must go on” e sul traguardo dell’Alvernia vince Luis Leon Sanchez che supera allo sprint Voeckler, sette anni dopo nuovamente clamorosamente in maglia gialla e pronto a render cara la pelle. Qui inizia un altro Tour con Voeckler che non sembra patire alcun timore reverenziale, anzi, quasi a gestire con esperienza gli attacchi a ripetizione dei fratelli Schleck e di uno scatenato Samuel Sanchez (Euskatel-Euskadi) lungo i Pirenei senza né secondi tanto meno la bussola. E’ un atleta rinato, che lascia andare gli avversari meno pericolosi e rimane sulle code dei favoriti anche sulle Alpi dove probabilmente compie uno dei suoi capolavori.
E’ giovedì 20 luglio, il Piemonte è in festa perché sta per arrivare la diciassettesima tappa del Tour e i valichi alpini sono ricolmi di tifosi pronti a inneggiare i propri paladini. Mentre davanti si danno battaglia con Edvald Boasson Hagen capace di imporsi in solitaria, dietro i big vengono scatenati da Alberto Contador che prova ad andarsene sulle ripide pendenze del Col di Pramartino. Voeckler non molla e, sostenuto dal fido gregario Pierre Rolland, scollina con i migliori e, sicuro di sé, si mette al comando delle operazioni in discesa dove tuttavia, forse annebbiato dalla fatica, a cinque chilometri dal traguardo sbaglia traiettoria e finisce letteralmente in un cortile privato. Vuoi la lungimiranza del proprietario di casa, vuoi la fortuna che sta letteralmente accompagnando il transalpino, Voeckler trova il cancello aperto e, dopo una provvidenziale inversione a U, ritorna sui suoi passi e riprende la sua cavalcata mentre Contador e gli altri riescono a guadagnare qualche secondo.
Il riassunto di quella 17a tappa, con tanto di “escursione estemporanea” di Voeckler
E’ un momento che rimarrà probabilmente nella storia e che forse ci ricorda come per esser corridori serva esser anche un po’ pazzi, a volte quasi al limite del pericolo. Eppure questa è l’essenza di Thomas Voeckler che il giorno successivo riparte da Pinerolo ancora di giallo vestito in vista di una frazione particolarmente tosta condita dal Colle dell’Agnello in partenza, l’Izoard e il Galibier all’arrivo. La trappola viene in questo caso posata da Andy Schleck che parte in solitaria a 60 chilometri dal traguardo lungo l’Izoard e lascia tutti sul posto. Il lussemburghese viene lasciato andare e giunge con oltre due minuti su tutti, mentre Contador crolla nel finale e dice addio ai propri sogni di gloria. Voeckler è invece ancora una volta eroico: stringe i denti, tira fuori le ultime stille di energia e arriva letteralmente con appena quindici secondi di vantaggio per salvare il primato.
Mancano solo tre tappe al termine e tutto il popolo francese è al suo fianco trovando l’appoggio pure in suo vecchio avversario come Lance Armstrong che crede in un suo possibile trionfo finale. La favola però si spegne lungo le pendici dell’Alpe d’Huez quando Voeckler deve cedere definitivamente ai propri avversari, non prima di aver lottato con ogni forza agli attacchi iniziali di Contador sul Telegraphe e esser rimasto davanti sul Galibier. E’ la fine dei giorni più belli, di quel matto Tour de France che i ragazzi di fine anni Novanta ricordano come uno dei più avvincenti di sempre. A trionfare sulla “montagna degli olandesi” è Pierre Rolland, libero finalmente da impegni, si lancia verso un futuro prospero con un colpo d’altri tempi. Al comando della classifica ci finisce Andy Schleck, ma si tratterà soltanto di un fuoco di paglia perché nella crono del giorno successivo Evans ribalterà il risultato e si porterà a casa il trofeo.
E’ la fine dell’era dell’innocenza per i tifosi d’Oltralpe che dovranno attendere il 2019 e Julien Alaphilippe per avvicinarsi ancora una volta alla Grande Boucle. Non lo sarà per Thomas Voeckler che chiuderà quell’edizione al quarto posto ottenendo il miglior risultato della carriera e scrivendo una pagina che, tutti i fan delle due ruote, sperano di poter rivivere nel 2024 con il ritorno del Tour in Italia.
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