Calcio

Luciano Spalletti, anima contadina

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Sono stato in una fattoria con i miei bambini, di recente. Tra sterco di vacca, conigli grossi come cani di mezza taglia chiusi in gabbie troppo piccole e un paio di corpulenti ratti neri che ci sono passati correndo tra le gambe, mio figlio di cinque anni mi ha apostrofato in tono perentorio: «Papà, andiamocene da questa schifezza!». Chi viene dalla città, come noi, ha un’idea edulcorata della vita di campagna e finisce facilmente per scontrarsi con la realtà. Chi come Luciano Spalletti in campagna è cresciuto, tra Montespertoli e Montaione, ne ha invece un’immagine eroica e tende a trasporre significati e concetti di quel mondo antico – e in parte idealizzato – in contesti molto differenti. Tipo il calcio professionistico per nazionali.

Si parla di “saggezza contadina” quando qualcuno mette le questioni pratiche al centro delle proprie riflessioni, spesso curando aspetti che non verrebbero mai in mente a chi è abituato all’abbondanza plastificata offerta dal capitalismo. La surreale conferenza stampa delle “galline del Cioni”, durante la quale una domanda sull’ambiente Roma è sfociata in quattro testate sul tavolo e in un’indicazione sul mezzo chilo di granturco al giorno necessario per sfamarle, è un esempio estremo di come Spalletti utilizzi gli strumenti della sua vita nei campi per rispondere ai problemi della società moderna. In quel caso, sfoderando l’accento toscano che gli esce quando salta fuori il suo lato più terragno, aveva paragonato i giornalisti alle galline, senza che nessuno lì per lì se ne accorgesse.

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Luciano Spalletti all’Hemberg-Stadion di Iserlohn durante il primo allenamento della Nazionale in Germania, sede degli Europei 2024

Quando rientra in campagna fa le foto di fianco al recinto dei maiali, parla con amore del suo ciuchino e produce un vino che ha chiamato Bordocampo. Se invece è a Coverciano, comunque non troppo distante dalla sua amata Certaldo, tratta la PlayStation come un oggetto del Demonio e racconta di voler ritornare al passato con quella nostalgia edulcorata che si ha sempre verso cose che esistono solo nella nostra mente:  «Voglio far rivivere i raduni e i ritiri di un tempo: vecchie abitudini e atmosfere. Cose semplici e sane. Si viene in Nazionale per vincere l’Europeo, non per vincere a Call of Duty», ha tenuto a precisare durante l’ultima pausa, attaccando indirettamente i giocatori che secondo lui non hanno «gli occhi che ridono e il cuore che batte» quando vengono convocati in Azzurro. Tutti, di colpo, si sono voltati a guardare Gianluca Scamacca.

È stato l’ultimo capitolo di una retorica pseudo contadina che da sempre lo ha portato a sottolineare la sua condizione di partenza umilissima – «Mio padre era magazziniere, mia madre lavorava in una confezione. Nella nostra stanza c’erano due lettini, per me e mio fratello, e dei quadretti di calciatori, sul tavolo gli album delle figurine Panini» – con l’obiettivo di mettere di fronte alle proprie responsabilità chi secondo lui non si sacrifica a sufficienza per la causa. «Campi perfetti, con l’erba sintetica e le docce calde» nel suo immaginario sono diventati un motivo di vergogna, a cui è necessario contrapporre un immagine forte come quella di Maradona che «si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini». Due mondi agli opposti, secondo il suo punto di vista, che finché lui sarà Commissario tecnico dovranno scontrarsi affinché lavoro, sacrificio e abnegazione prevalgano: «I panni, dopo l’allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi».

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Luciano Spalletti in una sessione di allenamento in Florida a marzo scorso, durante la tournée della Nazionale negli Stati Uniti

Perché alcuni hanno creduto che «Spalletti abbaia ma non ha i dentini» ma «in Nazionale si sta sul pezzo, concentrati, non si cazzeggia», questo impone la saggezza contadina. Così richiede mister Luciano che della cultura della sconfitta si è abbeverato sin dai tempi delle giovanili dell’Avane, quando «si perdeva sempre». Una scuola fatta di schiaffi e privazioni che gli ha insegnato a migliorarsi ogni giorno, educandolo a vincere.

Luciano che spesso, quando qualcuno gli telefona e non è su un campo da calcio, risponde dal suo trattore, chiedendo per favore di richiamarlo più tardi perché altrimenti gli altri contadini lo guardano male. Luciano che ai ricami preferisce la “sostanza” perché «se non si ha sostanza si prende gol».

Luciano che con due broccoli, quattro rape, una zucca vuota e una manciata di patate all’Europeo dovrà cucinare un minestrone in grado di rivaleggiare i piatti stellati di altre Nazionali. Sfoderando la sua saggezza contadina e ricordando sempre a tutti che la vita, quella vera, non è la levigata pulizia di un appartamento in centro – con la PlayStation, magari – ma la sporca semplicità della fattoria visitata da me e i miei bimbi. Lui ci crede davvero. Ora non resta che convincere i suoi giocatori.


Immagine in evidenza: © Actu Foot, X

Tommaso Guaita
Graphic designer free-lance con un particolare interesse per le app, ma esperto anche di stampa e pre-stampa, collabora con diverse case editrici (tra tutte, Electa) ed è co-fondatore dello studio EchidnaLab. Con Lorenzo Di Giovanni ha pubblicato Vite segrete dei grandi scrittori italiani (2015) e Vite segrete dei grandi sportivi (2016), entrambe presso Electa. Nel 2023, presso 66thand2nd, 45/90. 45 storie della Serie A anni '90.

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