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Lisbona 2001, quando il Mondiale l’abbiamo perso noi

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Il successo iridato di Remco Evenepoel ha fatto discutere parecchio in merito all’utilizzo o meno delle radioline. Questo mezzo tecnologico utilizzato ormai in tutte le competizioni che si rispetti è stato ancora una volta il grande assente del Mondiale di ciclismo aprendo le tradizionali discussioni riguardanti la tattica delle formazioni sconfitte.

Remco Evenepoel esulta sul podio del Mondiale di Wollongong 2022 © UCI

Fra queste non poteva certamente mancare l’Italia di Daniele Bennati che all’esordio da commissario tecnico ha strappato un onorevole quinto posto con Matteo Trentin e un altrettanto valevole ottava piazza con Alberto Bettiol. A far discutere non sono stati i meriti di quella che doveva esser, secondo alcuni esperti, la “Nazionale più scarsa di sempre”, quanto piuttosto quella medaglia sognata da Lorenzo Rota e mancata proprio in vista del traguardo di Wollongong. Da qui sono scattate le polemiche sulla troppa cautela espressa nel finale dal 27enne di Sorisole, sul mancato inserimento di Bettiol nel tentativo dei sedici e sul perché non si sia seguito lo stesso Evenepoel, secondo i soliti maghi del “senno di poi” raggiungibile e battile dal toscano dell’Educational First.

Lorenzo Rota inserito nella fuga dei sedici ai Mondiali 2022 © Federazione Ciclistica Italiana

Insomma, il solito processo “in salsa italiana” dove tutti sono colpevoli e chiunque avrebbe potuto fare meglio, non dimenticandosi di tirar fuori la più classica delle giustificazioni quando le cose non vanno bene al mondiale: le radioline. Lasciando rigorosamente da parte i progressi compiuti nella gestione della corsa e i risultati ottenuti ben oltre le aspettative, è necessario ricordare quando i campioni in Nazionale abbondavano, i commissari tecnici erano lodati dalla stampa e, soprattutto, i Mondiali li perdevamo noi.

Senza andar eccessivamente indietro nel tempo e ricordare il doppio ritiro di Coppi e Bartali a Valkenburg 1948, gli screzi fra Gimondi e Motta a Nurburgring 1964, i molteplici sgambetti compiuti dall’uno e dall’altro da Moser e Saronni, basta tornare indietro di poco più di due decenni, precisamente nel 2001 per quello che sarebbe stato definito “il tradimento di Lisbona”. Un episodio che andrebbe inserito nella categoria “da non dimenticare” al fine di non ripeterlo in futuro e che è comprensibile appieno soltanto facendo un passo indietro.

Michele Bartoli in fuga insieme ad Andrei Tchmil ai Mondiali di Plouay 2000 © BikeNews.it

 L’Italia veniva infatti da una serie di Mondiali nelle quali, vuoi per problemi tecnici di vario tipo, era uscita con le ossa rotte dopo aver svolto il ruolo da favorita soltanto nominalmente alla vigilia. Il commissario tecnico Antonio Fusi, successore di Alfredo Martini, aveva dovuto far i conti con il tentativo di fuga di Danilo Di Luca abortito dopo un ostinato inseguimento degli azzurri e con l’incrinarsi del rapporto fra il fuoriclasse del momento Michele Bartoli e il giovane rampante Paolo Bettini, accusato quest’ultimo di non aver tirato la volata al primo sul traguardo di Plouay 2000.

Per rifondare una squadra piena di talenti difficilmente conciliabili fra loro, il presidente federale Gian Carlo Ceruti aveva preferito affidare le redini al compianto Franco Ballerini, appena sceso di bicicletta dopo aver chiuso la carriera al Vélodrome André-Pétrieux con l’iconica maglia “Merci Roubaix”. Il compito del “Ballero” sarebbe stato quello di sfruttare le proprie conoscenze sul campo per tener unito il clan Mapei composto da Paolo Bettini, Paolo Lanfranchi e Davide Nardello con i cosiddetti “altri” guidati da Ivan Basso, Francesco Casagrande, Danilo Di Luca, Eddy Mazzoleni, Davide Rebellin e Gilberto Simoni a cui si aggiungevano gli ex Michele Bartoli, Gianni Faresin e Giuliano Figueras. In un intreccio di rapporti incancreniti da vecchie ruggini e voci su possibili ordini di squadra ancora oggi da chiarire, Ballerini si ritrovò a diramare una tela parecchio ingarbugliata che si infittì ulteriormente a circa sette chilometri dal traguardo lusitano.

Gilberto Simoni scatta sulla salita di Alvito © Pagina Facebook Quel naso triste come una salita

Sulle pendici brucianti della salita di Alvito Simoni uscì dal gruppo lasciando gli avversari sulle gambe e mostrando un’azione solida, capace di riportare la maglia arcobaleno in Italia nove anni dopo Gianni Bugno. Osservando oggi le immagini su Youtube è possibile notare come, con il passare dei metri, la gamba del trentino apparisse sciolta e decisa, fondamentale per guadagnare nonostante i tentativi di rientro portati avanti da Michael Booger, Andrei Tchmil, Jan Ullrich e Richard Virenque.

Quando tutto sembrava finalmente andar per il verso giusto, successe l’irreparabile come raccontato nel 2010 dal campione di Palù di Giovo alla Gazzetta dello Sport: “Ho scollinato con una ventina di secondi, ho tenuto duro, e ho guadagnato ancora qualcosa. Dietro hanno provato a chiudere, poi hanno rallentato finchè Lanfranchi ha rimesso in moto il gruppo e sono stati ripreso all’ultimo chilometro – ha sottolineato Simoni -. Al traguardo erano tutti arrabbiati, io non sapevo, ma quando ho rivisto tutto in tv ho capito e basta. Oltre le Nazionali, un po’ dentro e un po’ di traverso, c’erano le squadre. E la squadra più forte era la Mapei. Basta guardare l’ordine d’arrivo: primo Oscar Freire, della Mapei, secondo Bettini, della Mapei, e anche Lanfranchi era della Mapei”.

Gli istanti incriminati di quel tradimento: nel video si vede infatti Lanfranchi scattare all’inseguimento di uno scatenato Simoni

Rivedendo oggi a oltre vent’anni di distanza appare incomprensibile l’azione di Lanfranchi che, in compagnia di un altro corridore, evade dal gruppo mentre davanti il connazionale si invola verso l’oro. Tanto più se, come segnalato da Simoni, quest’ultimo avrebbe avvertito Mazzoleni prima di muoversi. Eppure Lanfranchi ha sempre negato di sapere qualcosa e di aver colto l’attimo, considerato anche l’assenza delle solite radioline che avrebbero impedito di conoscere alla perfezione la situazione al comando. I sospetti che si trattasse un’azione compiuta per favorire Oscar Freire Gomez e Paolo Bettini (compagni di squadra in Mapei) verrebbero a chiunque se non fosse che l’umile bergamasco aveva già un contratto firmato per il 2002 con l’Index-Alexia Alluminio. A confermare con grande rammarico l’inesistenza di alcun “complotto” ai danni di Simoni fu lo stesso Lanfranchi che illustrò la propria versione a Eugenio Capodacqua de “La Repubblica”.

Paolo Lanfranchi impegnato al Mondiale 2001 con la divisa azzurra e il kit della Mapei © Omega

“Ho sbagliato, lo dico e lo ripeto. Ho sbagliato e ho chiesto scusa a tutti. Provo un dispiacere immenso perché ho compromesso il lavoro di tutti. Anche il mio. Ma tra sbagliare e tradire ce ne passa: non ho mai parlato con Paolo Bettini – ha confessato l’atleta seriano -. Sapevo che Simoni era scattato. Dopo l’ ultimo pezzo di salita, dove comincia il falsopiano prima della discesa, però non l’ho più visto: eravamo in tanti e guardavo poco avanti alla mia ruota. Ho pensato che fosse stato ripreso. E ho pensato di scattare per costringere gli avversari a inseguire e favorire il contropiede dei nostri. Sono attimi, se scatti crei la sorpresa, se aspetti diventa tutto inutile. Ho avuto la sfortuna che ha vinto Freire, perché se avesse vinto Bettini, cioè l’ Italia, sono sicuro che avrei avuto solo elogi per l’azione di contenimento e di preparazione all’attacco azzurro”.

Ricordando quanto detto all’inizio, probabilmente le parole di Lanfranchi contengono una grande verità: se l’Italia avesse vinto, probabilmente si sarebbe fatta a gara a prendersi i meriti. Invece l’immagine che rimane impressa nella nostra memoria sono le braccia di Bettini appoggiate sul casco mentre Oscar Freire Gomez si metteva al collo il secondo oro della carriera dopo la sorpresa di Verona 1999. Rivedremo compiere il medesimo gesto dal campione toscano poco prima della linea d’arrivo di Bergamo ai Campionati Italiani 2008 vinti con un colpo di mano di Filippo Simeoni, ma questa è un’altra storia.

Oscar Freire Gomez sul podio del Mondiale 2001 con un rammaricato Paolo Bettini e un raggiante Andrej Hauptman © BikeNews.it

Ciò che rimane di Lisbona 2001 non sono soltanto le parole di Simoni e le accuse di Bettini, lanciato da Nardello dopo esser stato abbandonato allo sprint da un Figueras alla ricerca di gloria personale; ma piuttosto un brutto ricordo da utilizzare come termine di paragone quando si intende criticare la nostra Nazionale.

Marco Cangelli
Giornalista presso la testata online "Bergamonews" e direttore della web radio "Radio Statale", sono un appassionato di sport a 360 gradi. Fondatore del format radiofonico "Tribuna Sport" e conduttore del programma "Goalspeaker", spazio dal ciclismo all'atletica leggera, passando per lo sci e gli sport invernali

3 Comments

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