Ospite della rubrica ” L’interViSta “ Salvatore Caruso, tennista italiano n.96 al mondo e n.6 d’Italia. Nella sua carriera può vantare due titoli Challenger, una semifinale al torneo ATP 250 di Umago e il terzo turno al Roland Garros dello scorso anno. Torneo, quello parigino, in cui ha battuto la testa di serie n. 26 Simon al secondo turno, potendo così giocare il terzo turno sul campo centrale contro il n.1 al mondo Djokovic. Inoltre Caruso ha partecipato due volte agli Australian Open, nel 2018 e in questa stagione, e una volta al torneo di Wimbledon, nel 2019. Nel 2013 è stato anche sparring partner di Roger Federer, allenandosi con lo svizzero per ben tre giorni a Zurigo. Di tutto ciò e di tanto altro abbiamo parlato con il tennista siciliano nell’intervista che segue.
Come e quando nasce la passione per il tennis? E come reagirono i tuoi genitori alla decisione di intraprendere la carriera tennistica?
La mia passione per il tennis nasce un po’ per caso, nessuno nella mia famiglia ha mai praticato questo sport. Una sera mentre tornavo a casa da una festa del mio piccolo paese, Avola, ho visto un volantino che pubblicizzava lezioni di tennis e ho chiesto a mio padre di provare. Come per ogni bambino tutto inizia per gioco, solo che andando avanti con il tempo mi sono appassionato sempre più e ho deciso di intraprendere la carriera da professionista. I miei genitori mi hanno sempre provato a sostenere, sia dal punto di vista economico che personale. Con loro feci una sorta di patto, ovvero prima avrei dovuto completare gli studi per poi provare qualche anno la carriera tennistica.
Passiamo ora ai tuoi ricordi dell’esordio da professionista nel 2009 a Caltanissetta. Avresti mai immaginato di poter arrivare dove sei ora, tra i primi 100 al mondo?
Da Caltanissetta è passata di acqua sotto i ponti. L’esser tra i primi cento al mondo è un grande obbiettivo che sono contento di aver raggiunto, ma non voglio assolutamente fermarmi qua. Certo non ti nego che l’emozione per il raggiungimento di questo obbiettivo è stata forte, ma posso dare ancora di più.
Prima di arrivare ai risultati più importanti della tua carriera, facciamo un passo indietro al 2013. Ovvero l’anno in cui fai da sparring partner a Zurigo per tre giorni a Roger Federer. Quanto è stata formativa tennisticamente parlando quell’esperienza e che tipo è lo svizzero? E’ vero che ti rubò una racchetta?
Questa possibilità fu una piacevolissima sorpresa e un’esperienza fantastica. Avere l’occasione di allenarsi con il migliore tennista di tutti i tempi è stato per me un onore e un grande orgoglio personale. Poi lui è stata una persona molto cordiale e disponibile in campo, ma lo stesso si può dire anche fuori dal terreno di gioco. Insomma una persona davvero simpatica e molto scherzosa, infatti mi nascose una racchetta per gioco. Dopo quella volta si è formato anche un rapporto di amicizia tra noi, quando lo incontro ci salutiamo sempre e scambiamo qualche battuta. Quindi devo dire che, quella del 2013, è stata un’esperienza che mi ha formato sia dal punto di vista tennistico che personale.
Arriviamo così al magico Roland Garros del 2019, in cui entri da n.147 al mondo e ne esci da numero 98. Dopo le qualificazioni batti infatti al primo turno il giovane spagnolo Munar e poi compi un capolavoro contro il francese, testa di serie n.21, Simon. Quanto è stato difficile giocare contro un giocatore di casa, con tutto il pubblico a suo favore, e quale è stata secondo te la chiave del match che ti ha permesso di vincere con estrema scioltezza in soli tre set?
Quella partita la ricordo sempre con grande gioia e con il sorriso sulle labbra, perché fa parte dei tanti ricordi del Roland Garros 2019, che per ora è il mio miglior risultato a livello slam. Penso che la chiave del match fu il modo in cui riuscì a gestire l’emozione, perché non ti nego che prima di entrare in campo ero molto teso. Ma nonostante ciò, dopo qualche game di assestamento, giocai una partita praticamente perfetta, riuscendo ad imporre il mio tennis al francese. Se ti devo dire la verità del pubblico non mi ricordo molto, sicuramente urlavano tanto ma io ero assolutamente concentrato solo su quello che dovevo fare in campo. Diciamo che mi sono goduto l’atmosfera che era assolutamente fantastica.
Con quella vittoria ti sei regalato Novak Djokovic sul campo centrale. Per prima cosa ti chiedo se l’emozione di giocare una partita del genere dura tutto il match, oppure una volta in campo si dimentica tutto e si pensa solo a giocare? Poi che effetto fa sentir dire a Djokovic che il risultato è stato bugiardo, elogiando la tua prestazione e le tue qualità?
Chiaramente giocare contro Djokovic, il numero 1 del mondo, sul campo centrale è una grandissima emozione. Lo considero un po’ come un premio per me, infatti ci tenevo ci fossero tutta la mia famiglia e le persone a cui voglio più bene sugli spalti. Diciamo che è stata un po’ una festa per tutti, però una volta che inizia il match si dimentica tutto. Entri in campo pensando solo a fare una buonissima partita e, perché no, per provare a vincerla. Al giorno d’oggi se il numero uno al mondo non è al top si può approfittare, pur essendo consapevole di quanto sia difficile battere un giocatore così forte. Comunque sono estremamente soddisfatto della partita e della prestazione di quel giorno a Parigi. Djokovic inoltre è stato molto cordiale sia quando ci siamo stretti la mano a fine match, sia dopo con le sue dichiarazioni ai microfoni. Sai, complimenti dal numero uno al mondo non capitano tutti i giorni e fanno estremamente piacere.
Nello stesso anno giocherai anche per la prima volta a Wimbledon e centrerai la semifinale al torneo ATP 250 di Umago. Per prima cosa ti chiedo se l’atmosfera di Wimbledon è così magica come tutti raccontano? Mentre su Umago ti chiedo se quella semifinale persa con Lajovic, in cui ti sei dovuto arrendere per un problema fisico a fine primo set, è il più grande rimpianto della tua carriera fino ad ora?
Giocare Wimbledon è stato per me sempre un sogno e realizzarlo la scorsa stagione è stato fantastico. Devo dire che assolutamente l’atmosfera è magica, un posto splendido in cui si respira tennis e pieno di tradizioni. La cosa più bella è che tante tradizioni di Wimbledon, per esempio il fatto di doversi per forza vestire di bianco, nonostante il tempo e la modernità si continuano a tramandare. L’esperienza londinese dunque è stata davvero stupenda e la ricorderò per sempre. Per quanto riguarda Umago non lo definirei tanto un rimpianto, perché purtroppo gli infortuni fanno parte dello sport. Era un periodo in cui stavo giocando tanto e bene, quindi si poteva metter in conto uno stop. Naturalmente non ti nego che ci sono rimasto male, anche perché dopo avrei avuto la possibilità di giocare in un altro torneo importante come l’ ATP 500 di Amburgo. Non è stato facile riprendere anche dal punto di vista mentale perché la chance era ghiotta, però è andata così e diciamo l’ho presa con filosofia.
Infine ti chiedo gli obbiettivi per questa stagione 2020 e il sogno nel cassetto che vorresti realizzare in questi futuri anni di carriera.
Gli obbiettivi per il 2020 e per la mia carriera in generale sono andare il più avanti possibile in classifica e magari battere qualche top ten, visto che non ci sono ancora riuscito. Poi provare a giocare su tutti i centrali degli slam e sarebbe un sogno poter partecipare alla Coppa Davis, per rappresentare la mia nazione in una competizione internazionale. Io mi sento molto legato alle mie origini e quindi rappresentare l’Italia sarebbe stupendo.
Tutta la redazione ringrazia Salvatore Caruso per la disponibilità, augurandogli il meglio per la prossima stagione.
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