Ospite della rubrica “l’InterViSta” Stefano Borghi, peso massimo del giornalismo italiano e telecronista per DAZN. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare soprattutto di calcio sudamericano e nostrano, con un pizzico di Liga a fare da contorno. Non poteva mancare, ovviamente, anche la domanda sul dualismo che accompagna il calcio da oltre un decennio, quello tra Messi e Ronaldo. Di seguito l’intervista.
Qual è stata la scintilla che ti ha portato a pensare: voglio fare questo mestiere, voglio fare il telecronista.
Se devo pensare ad una scintilla, penso proprio alla passione. Giocavo a calcio, lo guardavo, lo studiavo, sin da bambino sono stato un grande appassionato. Credo proprio che il punto di partenza sia questo. A ciò ho unito una predisposizione ad approfondirlo, a cercare aspetti interessanti, e ad allargare i miei orizzonti partendo dal presupposto di non guardare soltanto al calcio italiano. Quindi calcio estero, competizioni internazionali fino al Sudamerica, che ha marcato molto la mia carriera. Si tende a vedere questo lavoro come un qualcosa di fantastico, ed in effetti lo è, ma c’è anche il rovescio della medaglia; ti impegna veramente tanto, e senza la passione non vai lontano, è lei che traina tutto.
Le tue telecronache, sin dagli albori, hanno sempre trainato lo spettatore in un mondo fatto di aneddoti e nozioni. Quanto ha aiutato il calore del calcio argentino in tutto ciò?
Ma sai, è quello che ti dicevo prima. Parte tutto da una grande passione, da un grande attaccamento al calcio ed a ciò che rappresenta; era forse inevitabile accompagnarlo in questo modo. C’è anche da dire che, negli ultimi anni, con Internet, è visibilmente cambiato il modo di fare giornalismo, di fare le telecronache. La gente, grazie all’online, è sempre più informata, e pretende qualcosa di più rispetto alla mera cronaca. Approfondire, avere una preparazione ad ampio raggio, diventa oltre che un’opportunità, un dovere. Si arriva ad un mix di gusto e necessità che viene servito allo spettatore.
E’ terminato da poco più di un mese il mondiale sudamericano Under-20, vinto dall’Ecuador. Quali sono i talenti che ti hanno colpito di più?
Cerco sempre di dare un occhio al sudamericano Under-20 perché è una competizione che ti da tanti spunti, non sempre definitivi, ovviamente. Ci gravitano tanti talenti, importante è riuscire a capire se i giovani possano europeizzarsi o meno. L’Ecuador è stato capace di farsi notare anche grazie ai due attaccanti schierati. Naturalmente è difficile dire – basandosi solo su una competizione giovanile, e con una squadra non pronosticata per la vittoria finale – questo è forte e sarà un crack in Europa, a meno che non sia uno alla Vinícius, che è fuori da ogni logica. A proposito di Ecuador e di aspettative non mantenute, ricordo anni fa cosa fece l’Independiente del Valle in Libertadores; squadra che sembrava colma di talenti che potessero esprimersi, se non ad alti livelli in Europa, certamente al massimo in Sudamerica. Ed invece i vari Sornosa, Cabezas, che arrivò all’Atalanta, ed altri furono tutti accomunati dal fatto di aver fallito ad alti livelli. Tornando al sudamericano Under-20, se devo dire un nome sicuramente Campana; capocannoniere con 6 gol in 9 partite, attaccante con una struttura fisica che lo rende peculiare al calcio europeo. Meglio però aspettare, andiamo per gradi.
Riallacciandomi al discorso dei talenti sudamericani, molti di questi scelgono l’America o l’Arabia Saudita piuttosto che tentare l’Europa. E’ un problema di adattamento, o sotto c’è un perchè economico?
Quest’ultimo, sicuramente. In Sudamerica, in generale, la situazione economica di tanta gente è complicata, per cui nel momento in cui un ragazzo emerge accetta senza pensarci la prima grande offerta che gli arriva. Ciò significa cambiare totalmente la propria vita, e quella della propria famiglia. Non è facile trovare una squadra europea che investa subito, con decisione, su di loro ed allora sono costretti ad andare nel calcio arabo, messicano, oltre che americano. L’ultimo esemprio è Barco dell’Independiente, acquistato dall’Atlanta United, il quale era, a mio modo di vedere, un giocatore che poteva avere immediate prospettive europee. Però è normale, arrivano queste grandi offerte ed è impossibile rinunciare.
In Italia abbiamo tre giovani talenti sudamericani, rispondono ai nomi di Lautaro Martinez, Paquetà, e Bentancur, che si stanno facendo notare. In cosa possono migliorare, e cosa potranno dare al calcio italiano in futuro?
Io credo che questi siano tre giocatori importanti, ed hanno tutte le carte in regola per diventare calciatori di prim’ordine in Serie A ed a livello internazionale. Ovviamente devono migliorare. Bentancur è già al secondo anno, ed i progressi sono costanti; a mio avviso deve fare un passo avanti non sotto l’aspetto della personalità quanto della capacità di diventare un giocatore dominante, il passo più importante per un centrocampista. Paquetà ha avuto un’ottima velocità d’adattamento ed impatto, entrando in un Milan che aveva bisogno di lui e dando dei riscontri promettenti. Anche lui può crescere, ed ha bisogno di capire la sua reale collocazione tattica; io lo vedo come trequartista, anche se può fare tanti ruoli, ma la cosa più importante è che si sposa bene con i rossoneri. Lautaro Martinez è Lautaro Martinez, lo considero già un attaccante di alto livello; a parer mio poteva essergli concesso un po’ più di spazio all’inizio, continuo a credere che in campo possa convivere con Icardi. Iconico il fatto che si sia caricato la squadra sulle spalle nel momento di maggiore necessità, essendo decisivo in quelle partite che potevano segnare la stagione in negativo. Questa è la dimostrazione che siamo davanti ad un giocatore vero.
Serie A, lotta Champions ed Europa League, e lotta salvezza. Chi ne ha di più davanti e dietro?
E’ un campionato bellissimo, che ci fa quasi scordare la dittatura tecnica di una Juventus sempre più forte. Oltre al Napoli, a cui vanno gli applausi perché quantomeno rimane una contendente, dietro troviamo questo contingente di squadre – dall’Inter alla Sampdoria – racchiuse in 11 punti. Credo che le due milanesi siano in pole position per il 3° e 4° posto, con a rimorchio le due romane, in una lotta Champions tutt’altro che chiusa anche perché la Lazio ha una partita da recuperare. La squadra che gioca meglio è sicuramente l’Atalanta, che ha un calendario particolare, ma che ha buttato la grande chance di agguantare la Roma al 5° posto andando a pareggiare con il Chievo. Stesso discorso si può fare con il Torino, frenato dal Bologna. Discorso ampiamente aperto tra squadre con caratteristiche differenti, che possono fare risultato contro chiunque e non farlo contro chiunque. Ci saranno fuochi d’artificio. Dietro c’è una bella bagarre; la SPAL ha fatto una vittoria fondamentale con la Roma prima della sosta, Empoli ed Udinese hanno cambiato allenatore, il Bologna con Mihajlovic è un’altra squadra. Aldilà di Chievo e Frosinone – realtà battagliere, ma staccate dalla zona salvezza – dal Bologna al Cagliari nessuno può dirsi salvo.
Capitolo nazionale. Come ti sembra questa nuova Italia? Rinnovata, che punta forte sui giovani.
Te lo dico sinceramente, sono molto fiducioso. L’Italia ha toccato il punto più basso della propria storia non andando ai mondiali dell’anno scorso, mancando la qualificazione in quel modo. Credo ci sia stata una reazione, anche a livello organizzativo, poiché la carenza istituzionale, per me, è stato il primo motivo di questa debacle. Oltre ciò l’Italia ha mantenuto intatto un aspetto importante, e cioè la base dei giocatori. In questi anni di grandi difficoltà i risultati sono arrivati dalle nazionali giovanili; under-20, under-19, under-17, con l’under-21 che, pur con questi due pareggi contro Austria e Croazia, ha tutte le carte in regola per giocarsi un grande europeo in casa. Se tu prendi l’Italia maggiore reparto per reparto i giocatori ci sono e c’è anche l’allenatore giusto nel momento giusto, perché Roberto Mancini è un allenatore che ha delle idee precise, che ha fatto grandi cose anche all’estero – per cui può far aprire la testa a questa nuova generazione – e credo sia anche nel punto perfetto della carriera per gestire ottimamente la sfida presa. Ripeto, sono molto molto fiducioso; poi i risultati naturalmente devono arrivare, tempo da perdere non ce n’è più.
Passo alla Liga e ti chiedo del ritorno di Zidane sulla panchina del Real Madrid. Florentino ha spiazzato tutti, ci sarà comunque rivoluzione a fine anno?
Credo che rivoluzione non sia la parola adatta. Anche io mi aspettavo una rivoluzione, ma con questa mossa di richiamare Zidane forse è più giusto parlare di restaurazione. E’ un Real Madrid che cerca di recuperare subito la propria aristocrazia, e Zidane è tornato con molti più poteri in mano e con la possibilità di fare il suo Real Madrid, e sono curioso di vedere cosa combinerà a Giugno; con tutta probabilità sarà la regina del mercato, mettendo sul piatto tanti tanti milioni. Prenderà certamente delle figure importanti, dopo che in un quinquennio di giocatori “galacticos” non ne sono arrivati; l’ultimo acquisto costoso e di livello è stato fatto nel 2014 con James Rodriguez, poi solo operazioni differenti. Nel club numero uno al mondo non può esistere nemmeno un anno di transizione dopo aver vinto tre Champions consecutive; può esistere dovunque, non in quell’ambiente lì, poiché non esiste che vai fuori dai tre obiettivi stagionali in una settimana. Succede il finimondo. Sono molto curioso di vedere cosa succederà nei prossimi mesi a Madrid.
Messi e Ronaldo. Volevo chiederti: questo Messi è il migliore della carriera? Qual è stato l’impatto di Ronaldo sulla Juventus e sul campionato italiano, e con lui i bianconeri hanno fatto il passo decisivo per andare a vincere la Champions? Può essere una domanda banale, me ne accorgo.
Pare, ma non lo è, basta tornare indietro di qualche settimana e si parlava di stagione deludente di Ronaldo e di fallimento Juve. Per fortuna c’è il campo, che spazza via le parole a vanvera; la Juventus è una squadra fortissima, ha preso il giocatore più decisivo degli ultimi 5 anni a livello di Champions League, avendone vinte quattro da protagonista, ed è chiaro che con lui la Juventus abbia preso uno dei più forti giocatori della storia del calcio e colui che le fa fare il salto definitivo. Da qui a dire che la Juventus vincerà la coppa ce ne passa, perché c’è il Manchester City, c’è il Barcellona, il Liverpool, e ci sono contendenti assolutamente di livello. Però la Juventus è ancora più forte degli ultimi anni, e negli ultimi anni ha fatto due finali in quattro stagioni, per cui è assolutamente uno squadrone, e l’impatto di Cristiano Ronaldo sul calcio italiano è semplicemente l’impatto di Cristiano Ronaldo, uno dei più forti della storia, ripeto. Sorridevo su Messi perché tutti gli anni mi ritrovo a dire: “mah, questo mi pare il miglior Messi della carriera” (ride, n.d.r). E’ incredibile, davvero, genio puro, un giocatore mai visto prima ed irripetibile dopo. Credo che viviamo un’epoca davvero privilegiata – aldilà del discorso di chi è il più forte del mondo o della storia, che si basano sul gusto personale – con due colossi del genere coincidenti nella stessa epoca, per 10 anni contro tutti i giorni in una rivalità come Real – Barca, e che quest’anno potrebbero ritrovarsi per la prima volta in una finale di Champions è un qualcosa di mai visto e che ci da la dimensione esatta di quanto noi siamo privilegiati a vivere questo dualismo. Sento un po’ troppo acredine nel dire meglio Ronaldo o meglio Messi; quello che faccio io – che ho la mia idea – è godermeli sempre, l’uno e l’altro. Anche perché sono due straordinari campioni che si sono sempre rispettati, e migliorati a vicenda. Messi non sarebbe stato questo senza Ronaldo e viceversa. Sarebbero stati dei giganti del calcio allo stesso modo, ma questa cosa non sarebbe stata uguale, per cui questo è un grande regalo che ci hanno fatto.
Chiudo con una domanda sul Napoli: cosa può fare in Europa League? Può arrivare in fondo?
Ti dico cosa deve fare, deve provare a vincerla l’Europa League, perché ha la squadra, l’allenatore, l’ambiente per poterlo fare. L’Europa League è stata una competizione incredibilmente snobbata da un calcio italiano che non mi pare abbia vinto molto. Servirebbe tantissimo perché darebbe lustro – non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe per Napoli vincere una competizione europea – e sarebbe anche un momento importante per un club che andrebbe a conquistare uno dei momenti più importanti della propria storia. Sarebbe importante, estremamente importante, anche per il movimento, perché è assurdo sottovalutare un trofeo del genere. Focalizzati su alcuni grandi cicli degli ultimi anni, sono tutti nati attraverso l’Europa League; a partire dall’Atletico Madrid, proseguendo con la tripletta del Siviglia, che si è ritagliato un grande spazio internazionale, per finire con Mourinho al Manchester United che ha conquistato l’unico trofeo importante vincendo l’Europa League. L’Arsenal è un grande avversario, ma il Napoli deve provare a fare la voce grossa. Adesso vediamo cosa succede, ma può benissimo vincerla.
Ringraziamo Stefano Borghi e l’ufficio stampa di DAZN per l’infinita cordialità e disponibilità.
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