Un altro grande ospite anima la nostra rubrica “L’interViSta”. Si tratta di Dario Ricci, dal 2002 giornalista di Radio 24, dove in passato ha condotto la trasmissione “A bordocampo” e dal 2014 conduce “Olympia. Miti e verità dello sport” ogni Domenica pomeriggio alle 16:30 e in replica alle 23:10. Oltre ad aver raccontato tanti eventi dal vivo, tra cui quattro Olimpiadi (Torino 2006, Pechino 2008, Londra 2012, Rio 2016) ha pubblicato diversi libri. L’ultimo uscito di recente è “Con la testa e con il cuore”, scritto con Alberto Cova. Con Dario abbiamo avuto il piacere di confrontarci sul giornalismo sportivo di oggi e del futuro, sulla radio e non solo.
Premesso che lo sport dentro di noi appassionati ci sarà sempre e in questo periodo proviamo a sentirne meno la mancanza tramite i tanti contenuti culturali o semplicemente riguardando eventi del passato, quali sono le tue sensazioni in questi mesi?
Sicuramente è un grande vuoto. Noi appassionati costruiamo la nostra quotidianità intorno al calendario degli sport, ma anche le nostre relazioni. Spesso lo sport rappresenta il pretesto per chiacchierare con gli amici o stare in compagnia. Una delle cose più detestabili di questo virus è la sua profonda ostilità allo sport e di conseguenza il ritmo delle nostre consuetudini è stato alterato.
Alcuni celebri giornalisti sportivi del passato riferiscono che nella situazione attuale ci avrebbero pensato due volte prima di entrare in questo mondo. Si guadagna molto poco e ne va a risentire anche la qualità che di conseguenza richiede ore di lavoro e un’idonea retribuzione. Come mai il giornalismo sportivo italiano ha subito negli anni un lento declino, fatte salve alcune eccezioni?
Come premessa riferisco che per mia natura non mi piace abbandonarmi a discorsi eccessivamente pessimisti. Certamente con gli anni il sentiero del giornalismo si è fatto via via più stretto ed essendo un mestiere molto affascinante è normale che ci sia un grande traffico in ingresso. E’ chiaro che alcuni errori significativi in passato sono stati compiuti. Primo fra tutti la moltiplicazione delle scuole di giornalismo. Una scelta in controtendenza con il restringimento delle richieste del mercato. Inoltre c’è un grande limite: come tanti altri settori del giornalismo italiano, anche quello sportivo non riesce a fare squadra. Ad esempio nell’NBA non esiste il concetto di silenzio stampa e se un giocatore o una squadra si rifiutano di dialogare con i giornalisti vengono sanzionati. In Italia, invece, questo concetto è largamente diffuso e passivamente accettato dai giornalisti. All’estero, quando un atleta offende un giornalista in una conferenza stampa, tutti gli altri colleghi vanno via immediatamente. Questo, invece, in Italia non capita ed è una cosa pazzesca. Come è pazzesco il fatto che si è progressivamente accettata la riduzione delle zone miste. Non è possibile che nella “mixed zone” si fermi a parlare un unico atleta o due atleti. Quello invece dovrebbe essere il luogo dove, potendo incontrare 5-6 protagonisti, ognuno può realizzare la sua intervista, ma non accade mai. Di episodi di questo genere se ne potrebbero citare tanti. C’è un eccesso di passività e mancanza di capacità di far squadra per cambiare le regole del sistema. A riguardo posso fare un altro esempio: sui giornali cartacei, come la”Gazzetta dello Sport”, il giorno dopo una partita di Champions League si trova la trascrizione dell’intervista di un giocatore fatta a Sky. Il giornale, invece, dovrebbe avere dei contenuti originali. E’ ovvio e giusto che i lettori si chiedano: “perché se l’ho ascoltata già in tv devo rileggerla?”. Nel tempo ognuno ha guardato il suo orticello e di conseguenza quel tipo di giornalismo è morto, non ha più senso. Ma così come muore una forma di giornalismo ne nascono altre, per esempio via web. E’ un mestiere che vale sempre la pena fare e ci vuole la preparazione giusta per emergere perché oggi è molto più difficile.
In questa situazione quale consigli ti senti di dare a chi vuole provare ad entrare in questo mondo?
L’arma più potente che ho sempre avuto nella mia faretra è la curiosità e per me è la cosa più importante. Ma non vuol dire diventare un database di dati o date. La curiosità si esercita a 360°. Curiosità per lo sport sì, ma che non sfoci, per esempio, nel dare più importanza ad un semplice avvenimento sportivo rispetto ad un attentato terroristico, altrimenti si diventa una persona che è fuori dal contesto e anche in una redazione sportiva saresti inopportuno. Tanto è che poi i più bravi narratori dello sport hanno curiosità, interessi vastissimi. Questo per dire che molti ambiti devono entrare nelle nostre curiosità perché tutto è interconnesso. Poi serve una preparazione tecnica su tutti i media. Esercitarsi sulla scrittura sia tra giornale e web, che è diversa, ma anche al tempo stesso avere una preparazione per lavorare via audio e video. Quindi una grande preparazione tecnica, che per i ragazzi di oggi è anche più facile. Inoltre la conoscenza delle lingue aiuta sicuramente. L’inglese, oggi, è una chiave che devi saper maneggiare bene e ti permette di allargare gli orizzonti. Poi è bene studiare un’altra lingua tra le più diffuse come il francese o lo spagnolo. Anche quelle più complicate: cinese o tedesco. Quindi i tre capisaldi per me sono curiosità, formazione in senso ampio e lingua.
Come immagini il futuro del giornalismo, quale sarà il percorso che prenderà tra carta stampata e il mondo del web? Ad esempio, opinione comune, è che i giornali siano destinati a morire, cosa pensi a riguardo?
Faccio l’esempio della radio. Quando uscì internet molti prevedevano la morte della radio e direi che sono stati clamorosamente smentiti. La radio sta avendo diverse forme di vita: radio in streaming, podcast. E poi soprattutto perché la radio è sempre stato il grande mezzo di comunicazione dei poveri nel mondo. E’ chiaro che la carta stampata sta vivendo un brutto periodo, ma sopravvive come rito quotidiano. Questo perché il giornale è anche lo strumento più facilmente condivisibile. Se si apre un giornale su un tavolo, gli amici intorno a noi lo vedono immediatamente. Più complicato è invece sviluppare un confronto sensato avendo tutti il cellulare in mano e non vedendo quello che gli altri leggono. Per il futuro del giornalismo io immagino un sistema di media integrati (video, audio), la nascita di più piattaforme e l’esplosione dei “contenitori”. Presto magari anche Facebook, Amazon, Netflix, svilupperanno dei loro contenuti editoriali e quindi avranno bisogno di giornalisti o meglio quelle persone in grado di sviluppare quei contenuti. Insomma, per noi professionisti e per gli aspiranti giornalisti si chiuderanno delle porte ma se ne apriranno delle altre inevitabilmente. Uno studio recente del World Economic Forum ha evidenziato come il 65% dei bambini che frequenta adesso la Scuola Primaria svolgerà professioni non esistenti oggi e che non riusciamo neanche a immaginare. Detto questo, rivolgendomi in particolare agli aspiranti giornalisti, dico che mi sembra un po’ eccessivo essere pessimisti. Poi, per me, il pessimismo non è etico, non è morale e quando sei pessimista non fai parte di una comunità. Essere parte di una comunità vuol dire avere un consapevole spirito costruttivo, vuol dire lavorare ogni giorno affinché le cose positive accadano. Tutti svilupperemo delle forme di adattamento che si tradurranno in competenza, capacità ad hoc per i mercati futuri. L’esempio ne è il Coronavirus, il quale, in questi giorni di quarantena, ci ha fatto sviluppare uno spirito di adattamento. Abbiamo svolto o imparato attività che neanche immaginavamo di saper o voler fare. Chiudo dicendo che sì, è vero che in molti hanno il sogno di fare il giornalista, così come il sogno di fare il calciatore per esempio. Chi ci riesce, in molti casi, è colui che dietro a questo sogno o obiettivo costruisce ogni giorno una quotidianità fatta di “allenamenti”, di lavoro per poterlo realizzare. L’importante sarà essere in grado di cogliere le opportunità ed avere gli strumenti per rendersi competitivi su diversi mercati.
Lavori in radio da molti anni. Come mai nell’epoca dei social network, tv e internet lo sport alla radio è ancora molto ascoltato? Si dice che “la radio fa la magia”, come lo spieghi?
La magia della radio si sviluppa attorno al fascino del non sapere tutto. La radio è un rapporto di fiducia. Ad esempio io sono allo stadio, provo a raccontarvi la partita e nel momento in cui mi ascoltate accettate l’idea che quello che vi dico io è vero o verosimile. Magari vi piace anche il modo in cui lo racconto e per paradosso accettate pure che non sia esattamente tutto vero. Ad esempio mentre noi ascoltiamo Repice (Francesco, radiocronista della Rai n.d.r.) raccontare un’azione di gioco può capitare che sbagli e al posto del n.8 vede il n.10. Al tempo stesso noi siamo perfettamente consapevoli che possa esserci umanamente quell’errore, ma la narrazione di Repice ci avvince ugualmente. Un altro componente della magia della radio è la forza immaginativa. Il radiocronista vede un’azione di gioco e ce la racconta in un modo, ma nel frattempo noi ce la ricreiamo nella mente in un altro modo. Questo fa scattare un meccanismo e un allenamento che rimarrà dentro di noi per tutta la vita.. Semplicemente la radio sviluppa la nostra capacità immaginativa.
Vista la tua attività di scrittore e saggista non posso fare a meno di chiederti quali sono i tuoi riferimenti letterari. Ci sono dei testi che vorresti consigliare?
Io sono abbastanza onnivoro, esploro diversi generi e diverse penne. Leggo tantissimi autori e spesso mi faccio cogliere molto dal titolo. I libri che più tengo a cuore sono “I canti orfici” di Dino Campana, “Se questo è un uomo” e “I Sommersi e i Salvati” di Primo Levi, “Il concerto di Dio dopo Auschwitz” di Hans Jonas, “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo che mi ha sempre emozionato per la profonda ironia che lo anima. Un testo che mi ha messo sempre inquietudine e quasi paura è “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” di Carlo Emilio Gadda. “La critica della ragione” di Immanuel Kant è un’opera impressionante, soprattutto per la libertà che si respira in quel libro. Un altro tipo di libertà è quella che invece si percepisce nella penna di Gabriel Garcia Marquez come in “Cent’anni di solitudine” o “L’amore ai tempi del colera”. Dal punto di vista degli autori sportivi a me piace concentrarmi sulle biografie. Adesso per esempio sto leggendo quella di Enzo Ferrari scritta egregiamente da Luca dal Monte. Tra i miei narratori sportivi preferiti ci sono Leo Turrini, Marco Pastonesi e Claudio Gregori
Come inviato di Radio 24 hai seguito molti eventi. Qual è il momento più bello che hai vissuto, raccontato finora nella tua carriera giornalistica?
Di momenti belli fortunatamente ne ho vissuti tanti ed è sempre un grande onore avere la responsabilità di raccontare un evento ad un pubblico così vasto. Sicuramente le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 furono una grande emozione. Vedere il braciere olimpico in Italia è stato un momento indimenticabile. Anche raccontare le imprese di Usain Bolt è stato qualcosa di straordinario. In particolare a Pechino 2008 quando lo sprinter jamaicano si consacrò per la prima volta sul più alto gradino olimpico e con i record del mondo sui 100m e 200m. Indimenticabili anche le vittorie di Alessia Filippi e Federica Pellegrini al Mondiale di Roma 2009. Quest’ultima ha regalato molte emozioni anche al Mondiale di Budapest 2017, l’evento che ha segnato la sua rinascita dopo le delusioni alle Olimpiadi di Rio 2016. Anche le finali di Champions mi hanno sempre suscitato splendide sensazioni. Aggiungo l’Europeo di calcio del 2004 con la vittoria della Grecia che fu clamorosa, nessuno l’aveva pronosticata.
Quelli che invece non avresti mai voluto raccontare?
Mi salta in mente un momento che non ho vissuto dal vivo, ma sicuramente fu drammatico. Italia-Serbia a Genova nel 2010 (partita valida per la qualificazione agli Europei di calcio del 2012 n.d.r.). Quel match fu prima ritardato di mezz’ora e poi fermato dopo pochi minuti di gioco. Vedere uno stadio violato in quel modo fu veramente una sensazione terribile, anche se non c’ero direttamente. Stessa cosa per l’omicidio dell’ispettore Filippo Raciti durante il derby tra Catania e Palermo nel 2007. Inoltre uno degli avvenimenti che mi ha amareggiato di più è stata la positività di Alex Schwazer alla vigilia della prova di marcia di Londra 2012. Questi sono momenti che sicuramente mi sarei risparmiato volentieri.
La redazione ringrazia Dario Ricci per la disponibilità e la cordialità dimostrata, augurandogli di togliersi ancora molte soddisfazioni, professionali e non.
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