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L’interViSta – Da Pavia a Tokyo con il Camerun nel cuore, ecco la storia di Norah Milanesi

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Dal Campus Aquae di Pavia a Tokyo, passando per il Camerun, questa è la splendida storia di Norah Elisabeth Milanesi. Una ragazza come tante altre, che con impegno, forza di volontà e dedizione è riuscita a realizzare il sogno di partecipare ad un’olimpiade, conciliando l’impegno scolastico con quello sportivo. La ragazza pavese ha infatti gareggiato per il Camerun, nazione della madre, ai Giochi Olimpici di Tokyo nel nuoto, classificandosi tra le prime cinquanta nella gara dei 50m stile libero. Un vero e proprio sogno realizzato a soli 18 anni, che Norah ha avuto modo di raccontarci all’interno della nostra rubrica “L’interViSta”. Ecco allora le emozioni, le gioie, i timori e i semplici attimi, descritti da una diciottenne improvvisamente catapultata nell’evento sportivo più importante al mondo: l’Olimpiade.

Partiamo dalla tua passione per il nuoto, come nasce e cosa ti attrae tanto di questo sport?

Ho iniziato a praticare nuoto fin da piccola, avevo circa tre anni, perché i miei genitori giustamente erano convinti fosse importante imparare a nuotare. Dopo qualche anno molti si accorsero fossi abbastanza brava e così mi fu chiesto di entrare a far parte della squadra agonistica. Io accettai e da quel momento è partita la mia avventura con il nuoto. Questo sport mi è sempre piaciuto, soprattutto mi attrae il fatto che sia uno sport individuale, ma allo stesso tempo ti permette di stare in compagnia e fare gruppo. Quando infatti mi alleno sono sempre insieme ai miei compagni di squadra, con cui si condividono sia i momenti belli che quelli più faticosi.

C’è un nuotatore o una nuotatrice a cui ti ispiri e consideri un tuo mito?

In realtà no, nel senso che naturalmente ammiro tutti i grandi nuotatori e le grandi nuotatrici perché sono capaci di fare cose incredibili. Io però non sono il genere di persona che ha degli idoli, ammiro tanto le persone ma non ho nessun preferito.

Come nasce l’opportunità di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo con il Camerun? Come hai reagito alla notizia?

Tutto parte quando ho iniziato a gareggiare per il Camerun nel 2019, seppur potendo gareggiare poco per via di alcune complicazioni portate dal Covid-19. Ho infatti partecipato solo ad una gara, il campionato africano, e poi subito ai Giochi Olimpici di questa estate. Quando mi è stato annunciato che avrei partecipato alle Olimpiadi di Tokyo ero naturalmente molto contenta, però a dir la verità non ho realizzato subito stessi andando veramente ai Giochi Olimpici. Solamente dopo tutta l’esperienza in Giappone ho incominciato a rendermi conto di aver gareggiato nella manifestazione sportiva più importante al mondo.

A Tokyo hai appunto gareggiato con il Camerun, nazione di tua madre Rachel. Quanto è stata felice tua mamma di ciò e quali sono state le sue emozioni?

Mia mamma era naturalmente felicissima, ma più che mia madre erano strafelici i miei nonni materni. Loro erano davvero entusiasti e molto emozionati di quello che stavo per vivere in Giappone con il Camerun.

Come hai svolto la preparazione in vista di Tokyo? Quanto è stata bella, ma allo stesso tempo faticosa?

La preparazione per una gara è sempre faticosa, perché devi sempre allenarti tanto e al massimo. Allo stesso tempo mi sono divertita molto e ho avuto la possibilità di fare alcune nuove conoscenze. Con la squadra infatti sono partita davvero presto, per via di uno stage di due settimane svolto in una città in Giappone, Hita. Lì ero con l’allenatore camerunense e un altro atleta sempre del Camerun, con cui mi sono divertita e trovata molto bene nonostante non li conoscessi prima del ritiro. Naturalmente seguivo poi anche le indicazioni del mio allenatore in Italia, ma con loro abbiamo svolto un ottimo lavoro insieme.

Prima di partire per Tokyo hai dovuto sostenere l’esame di maturità, al Liceo Scientifico Taramelli di Pavia. Come hai conciliato i due impegni, scolastico e sportivo? Quale consigli daresti ai ragazzi che vogliono sfondare nello sport, senza però abbandonare gli studi?

Dal mio punto di vista studiare e praticare sport è fattibile, certamente occorre tanta dedizione e impegno. Personalmente con il tempo mi sono abituata a nuotare e andare a scuola, perché come detto all’inizio è da quando sono piccola che pratico nuoto a livello agonistico. Non nascondo che delle volte è un po’ stressante, soprattutto nei periodi clou dal punto di vista scolastico. Capita magari di dover studiare molto di diverse materie in pochissimo tempo, dovendo fare quindi vere e proprie full immersion di studio. Secondo me però se si è veramente convinti di portare avanti entrambe le cose ci si riesce benissimo, certo essendo consapevoli di dover fare delle rinunce. Spesso per esempio mi è capitato di non poter andare a delle feste o di non uscire la sera con gli amici, perché ero stanca o magari avevo una gara il giorno dopo. Devo dire però che a me non è mai pesato non poter uscire tutti i giorni o fare questo tipo di rinunce.

Una volta arrivata a Tokyo, cosa ti ha colpito maggiormente della città giapponese e del villaggio olimpico? Soprattutto ci puoi descrivere l’atmosfera che si vive nel villaggio olimpico?

L’atmosfera, nonostante il Covid-19, era molto bella e festosa. Ciò che mi ha affascinato di più è stato il clima familiare o di amicizia presente tra tutti gli atleti, come se i vari paesi non esistessero più e si era tutti parte di un’unica squadra. Poi mi ha colpito tantissimo la quantità di gente a sostegno degli atleti e parte dell’organizzazione dell’olimpiade, aspetto che guardando la manifestazione in tv non si riesce a notare. Spesso noi conosciamo solo i più forti, senza sapere che alle loro spalle ci sono persone altrettanto brave che aiutano i campioni ad ottenere i grandi risultati. Inoltre è sempre bello stare e rapportarsi tra sportivi, in questo caso anche con i più forti al mondo.

Norah Milanesi al villaggio olimpico di Tokyo (foto dal suo profilo Instagram)

Durante i giorni a Tokyo hai avuto opportunità di conoscere qualcuno, di incontrare qualche star del nuoto o di altri sport?

A Tokyo ci allenavamo tutti nelle stesse piscine e negli stessi spazi, quindi assolutamente ho avuto modo di ammirare i più grandi al mondo. Per esempio ho visto Adam Peaty, Benedetta Pilato oppure ho parlato con Paltrinieri. Poi io non sono una persona che va a chiedere autografi o a volere foto ricordo, però certamente ho avuto la possibilità di ammirare tanti grandi atleti.

Come è stato vivere la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi in prima persona? Quali emozioni si provano nello sfilare all’interno dello stadio con la bandiera della propria nazione?

Partecipare alla cerimonia è stato davvero un momento molto bello, emozionante e direi patriottico. Ero contentissima di sfilare con il Camerun, anche perché mi sono trovata davvero bene con tutta la squadra. Sarò magari un po’ di parte, ma lo spirito africano delle volte secondo me è proprio ineguagliabile. Mentre eravamo in attesa ballavamo e ci divertivamo in qualsiasi modo, peccato solo per la brevità del momento in cui si sfila. Ma nonostante ciò è stata davvero un’esperienza che ricorderò a lungo.

Arriviamo ora ai momenti appena precedenti alla gara. Come hai vissuto la notte prima di gareggiare? Eri più spaventata dal grande palcoscenico che stavi per calcare oppure era maggiore l’adrenalina e la voglia di entrare in vasca?

In realtà ero tranquilla, ho dormito poco la notte ma solo perché avevo già dormito alla mattina e quindi non avevo molto sonno. Però detto proprio sinceramente non pensavo a chissà che cosa il giorno prima della gara, ero tranquilla, serena e convinta di ciò che stavo per affrontare.

Una volta entrata all’Aquatics Centre di Tokyo e salita sul blocchetto di partenza, cosa hai provato e a cosa hai pensato?

Ero davvero concentrata sulla gara, volevo fare il meglio che potessi e battere tutte le mie avversarie della batteria. Quest’ultima cosa viene fuori perché delle volte sono un po’ troppo competitiva, ma a livello agonistico serve anche questo.

Dopo la gara sei stata soddisfatta del tuo risultato?

Sono stata assolutamente soddisfatta, poi il risultato contava fino ad un certo punto in una manifestazione così grande come l’Olimpiade. Sono stata molto contenta di come ho gestito il tutto, sia a livello d’ansia che di preparazione, perché comunque non ero con il mio allenatore e con la mia squadra a Tokyo.

Norah Milanesi in vasca all’Aquatics Centre di Tokyo, al termine della sua gara nei 50m stile libero al femminile (La Stampa)

Quanto sostegno hai ricevuto dall’Italia e da Pavia? Quali sono state le reazioni dopo la gara della tua famiglia e dei tuoi amici?

C’è stato davvero tantissimo sostegno e tifo nei miei confronti, quasi sorprendente e inaspettato. Allo stesso tempo io ero molto concentrata su ciò che dovevo affrontare, non rendendomi conto e facendo caso a ciò che stesse accadendo per me a Pavia. Praticando uno sport individuale ho imparato nel tempo che è importante contare soprattutto su te stessa, senza fare troppo caso al tifo o ad altro. Per esempio ho deciso di non rispondere a nessun messaggio prima della gara, perché mi avrebbero messo soltanto maggiore ansia e pressione. Oppure al Campus Aquae di Pavia, dove mi allenavo, si sono ritrovati i miei familiari e i miei compagni per guardare la mia gara senza dirmelo, perché sapevano come io non volessi nessun in bocca al lupo prima della gara che mi avrebbe messo solo ansia in più. Per quanto riguarda poi il post gara erano davvero tutti super felici, mi hanno chiamata e si sono complimentati con me.

Dovessi scegliere il momento più bello di questa tua esperienza olimpica, quale sceglieresti?

Tra tutti i momenti sceglierei quello mentre sono nella piscina olimpica e gareggio.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e il sogno nel cassetto che speri di realizzare in futuro?

Attualmente mi sono trasferita in Olanda, sto iniziando l’università e ho incominciato ad allenarmi con una nuova squadra e un nuovo allenatore, con cui per ora mi trovo molto bene. A Dicembre ci sono i mondiali a cui magari spero di partecipare, se riuscirò però sempre a conciliare l’impegno universitario con quello sportivo. Per quanto riguarda il sogno a livello sportivo non ne ho uno preciso, forse partecipare alle Olimpiadi di Parigi 2024. Ora appaiono però così lontani i prossimi Giochi Olimpici, tre anni sono davvero tanti quando sei giovane e la tua vita è in continuo cambiamento, quindi non ho un vero e proprio sogno da realizzare.

Tutta la redazione ringrazia Norah Milanesi per la gentilezza e la disponibilità.

Simone Caravano
Simone Caravano 22 anni, laureato in Scienze delle Comunicazioni presso l'università degli studi di Pavia. Attualmente studente della laurea magistrale in giornalismo dell'università di Genova. Credo che lo sport sia un mondo tutto da scoprire e da raccontare, perché offre storie uniche ed emozionanti. Allora quale modo migliore esiste per fare ciò, se non attraverso la scrittura.

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