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L’enorme scommessa vinta da Marcell Jacobs e l’occasione persa dall’atletica italiana

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Bilancio. «Comunemente il termine indica la situazione determinata dal rapporto fra le entrate e le uscite», dice Treccani. Provando a delineare su un grafico il bilancio di Marcell Jacobs, nell’ultimo quadriennio, ops, triennio olimpico, salterebbe fuori un andamento sinusoidale, una linea curva che fa su e giù, da montagne russe. Più giù che su, quella di Marcell. A un picco, un grande risultato, è seguita una fase discendente o meglio anonima, visto che l’azzurro, in preda a problemi fisici, tra il 2022 e il 2023 ha trascorso anche mesi senza gareggiare, senza spillare il pettorale sulla propria maglia. Un pettorale divenuto pesante dopo quel 1 agosto 2021. Nei giorni precedenti, invece, quella scritta JACOBS, in maiuscolo, voleva dire poco o niente per il pubblico dell’atletica mondiale. Poi il pettorale cominciò a colorarsi, perché indossato da campione in carica. A Parigi era rosa, ma ci torneremo.

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Marcell Jacobs al termine della sua seconda finale olimpica

Storia di una rinascita

Crazy long jumper. Il suo username sui social Jacobs non l’ha più cambiato. Per ricordare le sue origini, per far capire che si è sempre in tempo per valorizzare il proprio talento, per non dimenticare la scommessa vinta con se stesso. Quando a 23 anni, nel 2018, dopo promettenti risultati nel salto in lungo, abbandona la sabbia per volare solo sul tartan della pista.

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Marcell Jacobs agli Europei di Amsterdam nel 2016

Non sapeva cosa l’avrebbe atteso, ma intanto cominciava a coltivare il sogno nella sua ombra. Tantomeno conosceva, dopo aver realizzato quel sogno, senza troppi proclami, cioè concludendo immediatamente la stagione dopo la finale dei Giochi, la scommessa a cui si sarebbe trovato davanti tre anni dopo. Meno appariscente della prima, ma non per questo di minor valore o peso, soprattutto tecnico. Ha messo in discussione le scelte prese fino a quel momento, quelle che l’avevano portato alla medaglia più agognata. Ha cambiato tutto nell’anno olimpico: luogo, da Roma a Jacksonville, allenatore, da Paolo Camossi a Rana Reider, contesto di vita e d’allenamento, dal singolo al gruppo, la sua quotidianità. «Qui potrei andare anche al supermercato senza scarpe, in calzini, e nessuno si accorgerebbe comunque di me», racconterà al The Guardian. Solo il suo sogno e la pista sono rimasti intatti.

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Marcell Jacobs sul gradino più alto del podio a Tokyo

Il coraggio di una decisione pesante per mettersi alle spalle due stagioni durissime, in cui i lampi del 2022, il titolo mondiale indoor ed europeo, sono stati offuscati dalle due mancate finali ai Mondiali e soprattutto dalle prestazioni, dai freddi numeri stampati sull’ordine d’arrivo affianco al suo nome. Due anni in cui solo una volta, da quando ha vinto l’oro a Tokyo con il record europeo di 9″80, ha corso sotto i fatidici dieci secondi (9″95 a Berlino per vincere l’Europeo, dopo aver recuperato dalla lesione muscolare del grande adduttore della coscia destra). Nel 2023 non è andato oltre un 10″05, la stagione peggiore. Un’annata in cui ha saltato a piè pari la prima metà del calendario: pochi giorni prima di una gara arrivava il forfait per una fitta, un dolore che lo spingeva, per prudenza, a non gareggiare. Eppure nelle interviste Jacobs continuava a dire di stare bene, benissimo. Camossi raddoppiava la dose, ribadendo come in allenamento si lavorasse costantemente per abbattere addirittura il suo primato e scendere a 9″70. Falcata e frequenza cambiata, anche le scarpe, per raggiungere questo risultato. Dichiarazioni per non perdere gli sponsor? Probabilmente sì, alla luce di quanto successo poco dopo.

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Marcell Jacobs al termine della finale degli Europei Indoor 2023 a Istanbul. Fu secondo alle spalle di Samuele Ceccarelli

Finalmente a metà giugno dello scorso anno arriva una diagnosi che placa qualsiasi tipo di aspettativa, oltre a spiegare quello che stava apparendo, per più di qualcuno, come il grande mistero del campione interrotto, tanto da arrivare a definire Jacobs una meteora. Commenti eccessivi e fuori luogo a cui Marcell inizialmente ha dato attenzione, per poi imparare a farseli scivolare addosso, grazie anche all’aiuto di una figura che menziona spesso: Nicoletta Romanazzi, la sua mental coach. La nota dello staff medico parla di «Flogosi perineurale con stasi vascolare dell’emergenza dello sciatico a livello del forame ischiatico della coscia destra», ergo infiammazione al nervo sciatico della coscia destra. Quest’ultima gli impedirà di esprimersi al meglio nel lanciato anche a problema risolto, producendogli quasi un “danno neurologico”. Infatti, osservando attentamente la sua frequenza, anche quella delle ultime gare del 2024, sembra che negli ultimi trenta, venti metri la gamba destra tende a frenare. In ogni caso, sul piano fisico, qualche strascico dei lunghi stop e di quell’infiammazione, Jacobs se l’è portato dietro. Subito dopo aver tagliato il traguardo delle due finali disputate quest’anno, quella europea e quella olimpica, in cui ha spinto al massimo, abbiamo visto Jacobs dolorante, zoppicante. Crampi, affaticamenti per aver spinto al massimo delle proprie possibilità. Probabilmente anche oltre, soprattutto a Parigi, quando in finale ha corso in 9″85.

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Marcell Jacobs subito dopo la finale olimpica dei 100 metri

Un risultato fenomenale, da medaglia, ma non nella finale più veloce della storia, vinta da Noah Lyles in 9″79. Già da quella sera, quando terminò il regno olimpico di Jacobs, il significato dell’oro a Tokyo assunse nuovi connotati. Marcell, nonostante non abbia mai abbassato l’asticella, ne è stato sempre pienamente consapevole: «Vincere un secondo oro non cambierebbe poi così tanto me e la mia immagine. Certo che sarebbe positivo, ma provenendo da un paese in cui nessuno prima di me aveva vinto una medaglia d’oro olimpica nei 100 metri, quello che ho fatto è stato storico e lo sarà sempre». Con la vittoria degli Stati Uniti allo Stade de France, l’Italia resta l’ultima nazione ad aggiungersi all’albo d’oro dei 100 metri maschili, la nona nella storia.

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Dopo aver tagliato il traguardo, Marcell Jacobs si volta a sinistra per osservare la posizione degli avversari

Quanto fatto a Parigi da Jacobs è stato eccezionale per diversi motivi. Ha ribaltato due stagioni molto difficili nel momento più importante, con una prestazione poco immaginabile anche agli occhi dei più esperti. Per quelle che erano state le uscite fino a quel momento, per quel lanciato “contratto” nell’ultimo quarto di gara, perché l’obiettivo razionale era entrare in finale (risultato centrato uguagliando il primato stagionale di 9″92), perché prima di Parigi solo in una giornata aveva corso sotto i dieci secondi (nell’ultima uscita pre-olimpica a Turku: 9″99 nella batteria, 9″92 in batteria). Ma soprattutto per quello che c’era alle sue spalle. L’addio a Camossi, suo allenatore dal 2015 e figura fondamentale per la transizione del salto in lungo allo sprint (nessuno lo conosceva meglio di lui), unito alle serie di cambiamenti illustrati precedentemente e a quelli tecnici in senso stretto – ha modificato la partenza, ad esempio – sono stati dunque una scommessa enorme e vinta allo Stade de France il 4 agosto. Non è arrivata una medaglia quella sera, è vero, ma guardando la stagione da cui è ripartito, la prima grande vittoria di Jacobs è stata quella di non essersi mai ritirato da una gara a cui si fosse iscritto. Tutto quello che viene dopo può essere paragonato a una rinascita.

In Italia c’era tanto scetticismo tra i tecnici azzurri verso il suo trasferimento negli USA. Un po’ ridondante a dire il vero. Sostenuto dall’elenco degli atleti italiani che in passato si sono allenati nel Paese a stelle e strisce senza concludere nulla. Una diffidenza quasi tesa a nascondere il rammarico per non essere riusciti a fornire un’alternativa valida a Jacobs o meglio, semplicemente a farlo correre, senza nessun problema fisico. Al di là della famosa infiammazione, per quanto poteva essere difficile da diagnosticare, come dichiarato spesso nel 2023 dal suo staff, evidentemente qualcosa di storto nella preparazione in Italia c’era, che l’ha bloccato ripetutamente. Gli infortuni e tutti i dolori, i fastidi a ridosso delle gare ne erano il segno. Sotto la guida di Reider, invece, Marcell non solo non si è mai fermato, ma ha raggiunto perfettamente il picco di forma proprio nei giorni di Parigi. Lo si nota dalle tre gare successive post-Parigi con cui ha concluso la stagione, in fase discendente: 9″93 al Silesia Memorial di Chorzów (ma con +1.9 di vento, che equivale a una prestazione sopra i dieci secondi), 10″20 al Golden Gala a Roma, 10″12 al Galà dei Castelli di Bellinzona. Eppure quando alla fine della scorsa stagione, Jacobs annunciò l’addio a Camossi e all’Italia, tecnici e dirigenti si univano in coro alla voce di Stefano Tilli: «Trovo assurdo che sia andato negli Stati Uniti. Nessun azzurro emigrato lì ha mai combinato nulla, mentre chi è venuto da noi è cresciuto. Nessuno degli atleti rimasti con Reider è reduce da una stagione positiva. Ho letto che ha cambiato la partenza: per un campione del mondo sui 60 metri era davvero necessario?» (Corriere della Sera). Critiche smentite da Jacobs, prima a parole, dopo i primi mesi («Sono migliorato tanto qui negli Stati Uniti: non c’è paragone tra quando sono arrivato e adesso»), e poi in pista nel giorno più importante.

Attenzione. Tornando ancora indietro nel tempo, anche Reider aveva fatto previsioni che si sono confermate esagerate. «Mi ha detto: “Alleniamoci bene come dobbiamo e poi fai 9″80 agli Europei e 9″70 a Parigi“», dichiarava Jacobs al Messaggero un anno fa. Come spesso accade, in medio stat virtus, e l’impressione è che Marcell abbia disputato una stagione al massimo delle proprie possibilità.

Un’occasione persa

Nel bilancio degli ultimi tre anni, da quel 1 agosto 2021, alla scommessa tecnica, e non solo, vinta da Jacobs, si affianca, ed emerge con maggiore contrasto, l’occasione persa dall’atletica italiana. Quanto è stata valorizzata la risorsa consistente nell’avere il campione olimpico dei 100 metri, la prova più attrattiva della regina degli sport, in casa propria? Molto poco, questa è l’impressione. Se Marcell ha sbagliato ad affidare la sua immagine alla Doom Entertainment, società di Fedez di cui è amministratore delegato la madre Annamaria Berrinzaghi («Non hanno mai sviluppato un progetto. Ho vinto a Tokyo e mi hanno scritto ventiquattro ore dopo. Erano al mare e non gliene fregava niente», disse a La Stampa), la Federazione non sembra avergli teso la mano, per raccogliere un riscontro positivo comune. O meglio, sembrano averci provato a tratti, senza un disegno logico e lineare, un solido progetto, doveroso. Lo fanno pensare anche le divergenze viste quest’anno. L’immagine del sorprendente passaggio delle Frecce Tricolori al termine della conferenza stampa rivolta a presentare con Jacobs il Roma Sprint Festival (suo debutto europeo), si scontra con quella del giorno dopo: lo Stadio dei Marmi quasi vuoto, con la tribuna sulla linea d’arrivo riempita soprattutto dai ragazzi delle categorie giovanili in pista l’ora precedente, come prima conseguenza di una promozione inesistente dell’evento. Scene riviste agli Europei all’Olimpico. Spalti desolati nonostante un movimento italiano ai massimi storici e la presenza di campioni e campionesse generazionali. Per non parlare delle locandine spuntate in città solo ad evento in corso e degli improvvisi sconti enormi sui biglietti per rimediare l’irrimediabile.

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La vittoria al Roma Sprint Festival è concisa con l’inizio del ritiro a Rieti insieme al suo gruppo d’allenamento, per preparare Europei e Olimpiadi

Non vogliamo certo sentirci dire che la mancata spinta dell’immagine di Jacobs per la promozione dell’atletica sia dovuta al suo essere poco esibizionista o showman, al non bucare lo schermo, oppure ai suoi problemi fisici. Superando gli intralci e le critiche, Marcell ha fatto della calma e della semplicità un punto di forza nel racconto del proprio percorso. Non ha mai smesso di essere un ragazzo alla mano, prima che un campione olimpico, e ha fatto leva sulla popolarità raggiunta per trasmettere la sua passione e l’esempio di un successo raggiunto nonostante le numerosa difficoltà e i variegati ostacoli. Far capire come tutti devono mettersi in gioco e darsi una possibilità nel realizzare i propri sogni. «Volevo essere d’esempio, nella vita ed in pista ne ho passate di tutte colori. I problemi per me sono diventati talenti. Non sono un supereroe. Mi sono allenato forte, sudando, non ho super poteri. Mi fa piacere trasmettere la mia passione ai giovani e voglio spronare i ragazzi perché possano diventare un giorno dei campioni olimpici».

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Marcell Jacobs in conferenza stampa alla vigilia degli Europei di Roma

Il contributo concreto alla causa si chiama Jacobs Sport Academy, la scuola di atletica fondata lo scorso anno nella sua Desenzano del Garda. Viviana Masini, sua madre, è la presidente di una società che conta ottanta tesserati, quaranta ragazzi e quaranta ragazze. «Fin dagli esordi ho voluto essere una fonte di ispirazione per i giovani. Nella mia carriera ho avuto tante difficoltà ma le ho superate grazie alla determinazione, impegnandomi sempre di più. Per questo fondare una società sportiva a Desenzano, nel luogo dove tutto è iniziato, è un altro sogno che si avvera. I giovani devono imparare i valori dello sport, la disciplina, il rispetto per le regole e per gli avversari».

«La carriera di Marcell Jacobs non è finita qui»

Dopo la finale olimpica, Jacobs è uscito con queste parole dallo Stade de France. La mente era già proiettata ai prossimi obiettivi, per Marcell era già l’ora di guardare avanti. A trent’anni appena compiuti, vuole disputare la finale che finora gli è sfuggita: quella dei Mondiali. Lo farà sulla pista dello Stadio Nazionale di Tokyo e non serve aggiungere altro. Sul suo calendario, il 14 settembre è già cerchiato. «La strada verso Tokyo si sta scaldando, e sono pronto a dare tutto», ha scritto nell’ultimo post pubblicato su Instagram.

Attorno, la competizione tenderà ad alzarsi ancora, ma la grande sfida sarà innanzitutto contro se stesso. Dopo aver perfezionato la partenza (a Parigi, ai 50 metri, Jacobs era in testa), bisognerà lavorare sulla seconda parte di gara.

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Marcell Jacobs in testa dopo la prima parte di gara a Parigi

Ripensando ancora alla finale olimpica, senza quei cinque centesimi persi soprattutto negli ultimi trenta metri, sarebbe salito sul podio. Centesimi che diventano sei per la vittoria. Come fu per i Mondiali di Doha nel 2019, bisognerà prepararsi per raggiungere il picco di forma più tardi del solito. In mezzo, a fine marzo a Nanchino, ci sarà la rassegna iridata al coperto e Marcell difenderà, a meno di sorprese, l’oro conquistato nei 60 metri nel 2022 a Belgrado. La rincorsa dell’uomo che cambiato la storia dello sport italiano verso l’unica medaglia mancante nella bacheca, è appena cominciata.

Immagine in evidenza a cura di Riccardo Seghizzi

Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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