Ciclismo

Le 6 crisi iconiche degli ultimi sei anni

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Un grande Giro, tante emozioni, attacchi e fame, molta fame. In questo Giro d’Italia ha già fatto capolino un feticcio per tutti i più mesti appassionati: la crisi di fame.

La genealogia delle crisi nel ciclismo ha origine con il ciclismo stesso. Come ci sono molteplici storie di vittorie epiche, ci sono innumerevoli cronache di tonfi clamorosi. I racconti del ciclismo epico ci hanno lasciato storie di ciclisti che andavano a svuotare i bar lungo il percorso. Senza badare troppo al sottile. O quelle di gente al via con decine di cotolette in tasca.

Il nostro corpo è come una macchina. Come ogni macchina esso va riempito di benzina, capita che a volte qualcosa semplicemente non funzioni ed ecco che si finisca alle prese con la tanto poco agognata crisi di fame.

Chiunque pedali almeno una volta in vita l’ha sperimentata. E quando te ne accorgi è già troppo tardi. Nemmeno chi in bicicletta ci va di professione ne è esente. Negli anni passati alcune furono clamorose. Gente che si dimenticava di mangiare per la troppa foga ed eccola lì, arrancare qualche chilometro dopo. Così si finisce direttamente nella storiografia ciclistica, ma dalla porta sbagliata.

Ora l’alimentazione è diventato il marginal gain principale. Ogni pasto della giornata di gara è calcolato al grammo per non far mai mancare il giusto apporto di energie all’atleta. E questo gran parte delle volte funziona. Nel tempo le grandi crisi di fame, come le conoscevamo, si sono sensibilmente ridotte. Il livellamento verso l’alto è evidente. C’è però un piccolo margine di errore. Una volta l’anno capita quella cotta che non ti aspetti.

Gente che sembrava imbattibile la si vede arrancare come se fosse il primo giorno su una bicicletta.

Ecco quindi a voi una compilation delle 6 crisi più iconiche degli ultimi 6 anni.

2023 – I’m gone. I’m dead. La resa di Pogacar

Diciassettesima tappa del Tour de France 2023. Da Saint-Geravis Mont Blanc a Courchevel. La tappa più dura di questa edizione con tanti GPM, l’ultimo con lo scollinamento a dieci chilometri dall’arrivo: il Col de la Loze. Una salita infinita di quasi trenta chilometri. Tutti aspettavano la battaglia finale fra Jonas Vingegaard in maglia gialla e Tadej Pogacar ad inseguire in cerca della rivincita del 2022.

Premessa: fino a due giorni prima l’inerzia sembrava a favore dello sloveno. In ogni arrivo in salita tra abbuoni e metri guadagnati Pogacar era riuscito a recuperare il minuto perso a Lauruns portandosi fino a dieci secondi dal danese.

Il sorpasso sembrava vicino. Alla cronometro Vingegaard tira fuori una prestazione termonucleare e (complice un errore tecnico di Pogacar forse?) riesce a riportare lo sloveno a distanza di sicurezza.

Tutto rimandato al giorno dopo. Il terreno per fare selezione c’è eccome. Partenza caotica, come sempre, trentatre uomini in fuga. Pogacar scivola in partenza ma sembra poca roba.

La Jumbo-Visma fa il ritmo alto tutto il giorno per tenere la fuga sotto controllo. Si approccia il Col de la Loze con la Ineos a fare il ritmo per Carlos Rodriguez. Dietro si vede Pogacar senza occhialini, lo sguardo perso nel vuoto (in Rai diranno concentrato ma sul gruppo Whatsapp dove commentiamo le gare di ciclismo avevamo tutti l’impressione fosse in after) ma soprattutto la maglia totalmente aperta.

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Per qualche chilometro però tiene botta, è sempre lì. Poi mentre davanti a tirare c’è Michał Kwiatkowski, non proprio lo scalatore più forte per intenderci, lo sloveno inizia a sfilarsi fino a staccarsi del tutto a quattordici chilometri dalla fine. Perderà sette minuti dal danese, il quale si confermerà come vincitore della corsa francese.

Nell’intervista del dopo tappa Pogacar ha candidamente dichiarato di aver cercato di mangiare il più possibile, ma che tutto gli era rimasto sullo stomaco e le gambe erano vuote.

Iconico resterà sempre il messaggio alla radiolina “I’m gone. I’m dead”.

2022 – La trappola del calabrone

Anche per l’anno 2022, purtroppo per lui, la crisi più iconica riguarda Tadej Pogacar. Siamo all’undicesima tappa del Tour de France. Da Albertville al Col du Granon, con in mezzo il Col du Telegraphe ed il Col du Galibier. La situazione è qui però differente.

Pogacar è avvolto da un’aura di onnipotenza, viene da una stagione pazzesca come quella del 2021 dove ha vinto praticamente ogni corsa in cui ha partecipato. Così sta facendo nel 2022. Al Tour ha già vinto due tappe, a Longwy e alla Planche des Belles Filles, e veste la maglia gialla. Sembra questione di tempo che debba chiudere i giochi anche a questo giro e invece succede quello che non ti aspetti.

La Jumbo-Visma di Roglic e Vingegaard inizia a fare una corsa folle dal Col du Telegraphe per sfiancare Pogacar sfruttando anche la propria superiorità numerica. Si parte dai meno sessanta chilometri al traguardo con affondi sia dello sloveno che del danese. Pogacar risponde colpo su colpo. Forse dimenticandosi di una cosa fondamentale, alimentarsi a dovere. Ciò appare evidente nella discesa del Galibier, dove reclama acqua.

Si approccia il Col Du Granon e a cinque chilometri dalla fine Vingegaard allunga. Pogacar è lì con la maglia spalancata (abbiamo capito che per lui non è mai un buon segno) prova a recuperare qualche centimetro ma poi eccolo arrancare, incapace di reggere il ritmo del compagno di squadra Rafal Majka, per poi cedere secondi anche agli altri uomini di classifica.

Lo scotto finale sarà di tre minuti giù di lì, e la maglia gialla da spalancata diventa sfilata.

2021 – L’importanza di essere Daniel Felipe Martinez

Per il 2021 la scelta è stata particolare. Di certo non fu determinante ai fini della classifica generale, ma il momento di difficoltà di Egan Bernal supportato dal suo gregario e amico Dani Martinez, è la cosa che più viene ricordata di quel Giro d’Italia.

Già vincitore del Tour de France 2019 e stella nascente del ciclismo monidale, il colombiano per tutta la corsa è sembrato in pieno controllo della situazione.

Due vittorie, a Campo Felice e a Cortina d’Ampezzo, e nessuno in grado di tenere le sue accellerazioni in salita. Almeno fino alla diciassettesima tappa con arrivo a Sega di Ala.

La tappa segue il classico svolgimento di una tappa di montagna con la classifica già decisa. Una fuga numerosa va via alla partenza e si va a giocare la vittoria parziale. Dietro tutto tace fino all’imbocco della salita finale quando Simon Yates decide di attaccare Bernal, che prima risponde ma poi è costretto a cedere quasi un minuto. Poteva andare molto peggio probabilmente se Bernal non avesse avuto il supporto, anche morale, di Dani Martinez.

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Egan Bernal quel Giro d’italia lo portò a casa e si pensò potesse essere uno dei tanti per lui, la storia è poi andata diversamente. Un brutto incidente in allenamento non gli ha permesso più di competere ad alti livelli, per ora. La speranza è che un giorno possa tornare a farlo.

2020 – Come ti senti amico fragile?

Il Tour 2020 è ricordato come la corsa che sancì definitivamente la nascita della stella di Tadej Pogacar. Tutta l’edizione settembrina del Tour (per via del Covid) fu caratterizzata dal duello tra i due sloveni Pogacar e Roglic, con il portacolori della Jumbo-Visma forte di una vittoria di tappa e di una squadra al suo completo supporto e l’altro sloveno in pratica senza una squadra in grado di supportarlo, ma forte della sua esuberanza.

Roglic per tutta la gara è sembrato il più solido, cedendo solo qualche secondo negli sprint in salita. Pogacar aveva mostrato una piccolissima crepa nella tappa del Col de la Loze ma non era crollato del tutto.

Insomma si arriva a due giorni dalla conclusione in una situazione di generale equilibrio di forze tra i due, ma con Roglic in vantaggio di un minuto. Vantaggio accumulato grazie anche ad un ventaglio a inizio Tour.

C’è però un ostacolo tra Roglic e la sua prima vittoria del Tour: la ventesima tappa. Una cronoscalata fino a La Planche de Belles Filles. Molti pensano sia solo una formalità per lo sloveno. D’altronde la leggenda di Roglic nasce proprio in quelle cronoscalate in Slovenia che andava dominando quando era solo un amatore. Invece succede quello che non ti aspetti.

Più il cronometro va avanti più si vede un Roglic quasi goffo nell’azione. La sua classica pedalata agile non è efficace come sempre. Sembra pedalare a vuoto. La lampadina è totalmente spenta, mentre quella di Pogacar sempre più luminosa.

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E poi ai meno quattro chilometri il cronometro inizia a segnare rosso. Il che vuol dire solo una cosa. Pogacar ha raggiunto e superato Roglic. Un brutto giorno per avere una brutta giornata.

Il tour è perso così. Con un connazionale che ti scavalca e un caschetto che si sfila mentre fissi il vuoto.

2019 Diamante Grezzo.

Il 2019 è l’anno in cui il mondo del ciclismo su strada inizia a fare conoscenza con Mathieu Van Der Poel. Ad aprile trionfa all’Amstel Gold Race con un numero fuori da ogni logica e a settembre ai mondiali in Yorkshire si presenta come uno degli outsider più pericolosi. Il percorso è molto insidioso, condizionato da pesante maltempo lungo tutto il giorno. Ad una trentina di chilometri dal traguardo il neerlandese rompe il ghiaccio e attacca con Matteo Trentin.

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Uscirà fuori una fuga di qualità con lo stesso Mathieu Van Der Poel, Matteo Trentin, Gianni Moscon, Stefan Kung e quello che sarà poi campione del mondo in quell’edizione, Mads Pedersen.

Sembra che siano questi i nomi che si dovrebbero giocare il mondiale quando mentre da un cambio la maglia olandese si pianta a bordo strada a dodici chilometri dalla fine.

Un crack di dimensioni epocali verrebbe da dire. La bicicletta pare piantata sull’asfalto tanto piano prosegue Mathieu. Lentamente svanisce dalle inquadrature per arrivare a perdere dieci minuti in poco più di venti minuti di gara.

Il dispendio importante di energia, più il maltempo dal mattino hanno presentato il conto troppo presto a VDP che ad inizio carriera ha avuto non poche volte problemi nella gestione delle energie. Accadde anche alla Tirreno-Adriatico del 2021 dove crollò negli ultimi chilometri della tappa di Castelfidardo dopo esser stato in fuga per cinquanta chilometri salvandosi per il rotto della cuffia.

Ora con il tempo questo avviene molto meno spesso e VDP è diventato una macchina quasi perfetta capace di sbagliare poche volte gli obiettivi che si pone.

2018 Hybris. Yates e il Colle delle Finestre

Nella tragedia greca l’Hybris era l’insolenza di alcuni dei protagonisti che cercavano di andare contro le divinità salvo poi venire puniti. Così nell’immaginario comune peccare di hybris è diventato un detto comune riferito a chi osa troppo sopravvaluntando le proprie capacità. Non esiste termine più azzecato per definire il Giro 2018 di Simon Yates.

Arrembante dalla tappa sull’Etna dove arrivò in parata con Esteban Chaves, suo compagno di squadra, l’inglese ha continuato questo atteggiamento aggressivo lungo tutta la corsa rosa vincendo a Osimo, Campo Imperatore e Sappada scavando solchi in classifica generale che sembravano difficilmente recuperabili.

Invece il povero Simon non fece i conti con le forze rimanenti e con un Chris Froome in netta ripresa che già ebbe occasione di staccarlo nella tappa con arrivo sullo Zoncolan.

Così si arriva al giorno del misfatto.

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25 maggio 2018. Da Venaria Reale a Bardonecchia. Si approccia il Colle delle Finestre con già la corsa totalmente esplosa ed in TV qualcuno si inizia a chiedere se Yates non stesse un pò troppo indietro. Ed ai meno ottantasei chilometri dal traguardo, senza nemmeno arrivare sulla parte sterrata del Colle delle Finestre, è costretto ad alzare bandiera bianca.

Il team Sky davanti inizia a fare un ritmo forsennato ed il brittanico Froome si invola verso una rimonta storica che lo porterà a vincere la maglia rosa. L’altro lato della medaglia è un altro britannico che in due giorni ha perso una cosa come un’ora e dieci minuti e forse l’occasione della vita per la foga di fare troppo.

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Giuseppe Sassano

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