Atletica

L’arte dell’essere istrione, Gianmarco Tamberi feat. Charles Aznavour

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L’istrione era l’attore che recitava nelle rappresentazioni sceniche dell’Antica Roma, soprattutto nelle commedie. Nel tempo, l’istrione è diventato colui che assume atteggiamenti esageratamente teatrali, plateali, enfatici, ai limiti dell’esibizionismo. Non è, comunque, un attore “da quattro soldi” (o meglio, non soltanto) ma un tipo particolarmente abile, arguto e, soprattutto, talentuoso.

Ecco, Gianmarco Tamberi è un istrione. Superfluo anche solo accennare i motivi. Sembra quasi che quel meraviglioso brano del 1971, “L’istrione” appunto, Charles Aznavour lo abbia scritto pensando proprio a Gianmarco Tamberi. Forse, Aznavour e Tamberi, quel brano, lo hanno proprio scritto insieme. Chissà…

Gianmarco Tamberi, genio e sregolatezza

Io sono un istrione ma la genialità è nata insieme a me. Quando ci si chiede se ci è o ci fa, Tamberi ci è. Così è nato lui e, con lui, il suo talento e la sua genialità. Farsi male proprio quando il traguardo tanto agognato sembrava raggiunto e, invece, ripartire proprio da lì, portando altrove lo spauracchio di un gesso che poteva rappresentare la fine di tutto. E che, al contrario, è stato un nuovo inizio.

Nel teatro che vuoi, dove un altro cadrà, io mi surclasserò. Essere un istrione significa anche saper padroneggiare l’antica arte dell’andare a braccio, dell’improvvisazione, quella che non fa mai fermare il protagonista in scena, perché capace di reagire alle avversità superiori e agli ostacoli della vita. Non mancano mai le parole per andare avanti. Improvvisando, qualunque siano le circostanze, l’istrione sa affrontare i palcoscenici e i propri antagonisti.

Io sono un istrione ma la teatralità scorre dentro di me. Quattro tavole in croce e qualche spettatore, chi sono lo vedrai, lo vedrai. Perché la lodevole bravura dell’attore istrionico viene sempre fuori, sia esso nel più piccolo teatrino di una banlieue parigina, sia esso di fronte al più grande pubblico al mondo.

In una stanza di tre muri, tengo il pubblico con me, sull’orlo di un abisso oscuro, col mio trac e con i miei tic. Le arci-note tre pareti dell’ambiente teatrale diventano gli spalti di uno stadio dove si consumano ugualmente tragedie e commedie, con i lieti fini a farla fortunatamente da padrona. L’istrione è capace di rompere quella quarta parete fino a poco fa ritenuta sacra e di uscire e rientrare nel personaggio, facendo fare un viaggio allo spettatore e facendolo lui stesso. L’atleta-attore-istrione, per sua stessa natura, finge, ma non prende in giro. A meno che il protagonista, una volta impossessatosi del centro del palco, non decida di accasciarsi, di accusare dolori, salvo poi stupire e rincuorare tutti tirando fuori dalle scarpette un mucchio di molle. Come a dire, signore e signori, voilà, qui c’è trucco e c’è inganno, ecco a voi il motivo della vittoria. L’istrione è anche un giullare. E la commedia brillerà del fuoco sacro acceso in me. E parlo e piango e riderò del personaggio che vivrò.

Eccessi e potenzialità dell’istrione Tamberi

Perdonatemi se con nessuno di voi, non ho niente in comune. (…) Io sono un istrione ed ho scelto oramai la vita che farò. Una vita fatta di gioie, forse, in alcuni frangenti, di lussi ma anche di cadute. La scelta di uno stile di vita a tratti mondano, a tratti inumano. Asciugare il proprio corpo fino al limite del possibile per renderlo filiforme, per poter spiccare il volo verso l’alto e arrivare dove altri essere umani non sono in grado. Fino ad arrivare alla paura, magari, di non potercela più fare.

Io sono un istrione e l’arte, l’arte sola è la vita per me. In una progressiva coincisione tra l’uomo e il personaggio, due facce della stessa medaglia. O due lati dello stesso volto, uno con la barba di qualche giorno, l’altro completamente rasato. Con il mio viso ben truccato, con la maschera che ho, sono enfatico e discreto, versi e prosa vi dirò, con tenerezza o con furore e mentre agli altri mentirò. Essere istrione equivale a ecletticità e polivalenza. La voce che può sussurrare melense parole d’amore o che può urlare con veemenza richiami all’incitazione. La mano che può essere piuma o che può essere ferro. La gamba che può portarti in avanti ma poi, al momento giusto, staccare verso lassù, oltre quell’asticella orizzontale, per diventare, alla fine, finalmente, il più grande tra tutti. Il primus inter pares, che l’istrione, in cuor suo, ingenuamente, sapeva già essere.

Non è per vanità, quel che valgo lo so, e ad essere sincero solo un grande istrione è grande come me. Ed io ne sono fiero.

Immagine in evidenza: Matthias Hangst/Getty Images

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Giuseppe Bernardi

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