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La rinascita di Matteo Manassero: “Tornare a vincere dopo anni difficili è stato speciale. Sono pronto per il massimo circuito europeo”

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Matteo Manassero è uno dei massimi esponenti nella storia del golf italiano. Salito alla ribalta per i successi ottenuti fin da giovanissimo tra i professionisti, gli ultimi anni per Manassero non sono stati semplici. Lunghe stagioni in cui ha lavorato con insistenza e in ombra sui diversi aspetti del suo gioco. Oggi lui stesso si definisce “un giocatore cresciuto e un po’ diverso” da quello che, a diciotto anni, aveva già conquistato due tornei del tour europeo.

In questo periodo non sono mai venute meno la dedizione e la passione per il gioco, che hanno accompagnato l’azzurro negli anni sul Challenge Tour (il circuito minore del golf europeo), fino a riassaporare il gusto della vittoria. Finora nel 2023 sono infatti giunti due titoli sul Challenge: a maggio nel Copenaghen Challenge e ad inizio luglio nell’Italian Challenge al Golf Nazionale di Sutri. Grazie ad essi, Matteo Manassero occupa oggi la terza posizione nella “Road to Mallorca“, che premia i migliori giocatori dell’anno in questo circuito. Le possibilità di garantirsi il diritto di gioco ritornando sul tour maggiore sono dunque molto concrete. L’obiettivo resta intanto quello di “affrontare con qualità la parte finale di stagione”, come lo stesso golfista veronese ha avuto modo di spiegarci.

Matteo, vieni da un periodo molto intenso in cui hai giocato diversi tornei, circa dieci negli ultimi tre mesi. Quindi innanzitutto come stai?

Un periodo di stacco era necessario perché ho giocato tantissimo. Due blocchi da quattro gare di fila con solo una pausa di una settimana nel mezzo. È stato sicuramente un periodo che mi ha dato tante soddisfazioni, ma nel contempo molto intenso, perché ho viaggiato e giocato sempre senza avere mai tempo per recuperare. Sono quindi contento per quanto fatto. Sul piano fisico c’era però anche bisogno di un po’ di riposo e di una settimana di allenamento per affrontare con qualità la parte finale di stagione. In generale sono dunque soddisfatto e ho sfruttato le ultime due settimane per recuperare energie in vista del prosieguo.

Nel golf si dice sempre che il dispendio di energie mentali sia più rilevante rispetto all’impiego di energie fisiche. Ma in realtà il dover stare 4-5 ore in campo per i giri di gara, oltre al tempo in campo-pratica, i giri di prova ecc., richiede anche un importante sforzo fisico. È così?

Sì, ci prepariamo molto anche fisicamente, poi chiaramente il golf non richiede uno sforzo fisico ad “alta intensità”, piuttosto si tratta di cercare di essere “lucidi” mentalmente. Ma il poterlo essere in gara passa anche dalla tenuta fisica. Inoltre ci alleniamo per poter essere più prestanti atleticamente e per poter mantenere questa condizione anche per diverse settimane di fila. Se, ad esempio, il mio swing richiede un fisico performante, dopo tre settimane di fila di gara in cui si ha soltanto il lunedì di pausa e a volte neanche quello, la performance va logicamente in calando. Dunque, tramite l’allenamento in palestra, cerchiamo di mantenere le performance fisiche al meglio possibile.

Anche il golf sta diventando uno sport in cui la cura dei dettagli, pure fisici, è importante. Lo si vede dai migliori golfisti al mondo, perché ad oggi i casi di giocatori “poco atletici” ai massimi livelli sono sempre meno.

Le ultime due vittorie ti hanno permesso di raggiungere l’ottima terza posizione attuale nella Road to Mallorca. Quale delle due consideri la più importante, la più speciale, e perché?

Questa domanda mi è stata già posta, ma non è facile rispondere perché sono due vittorie speciali per motivi diversi. La vittoria di Copenaghen è speciale perché da dieci anni non vincevo a livelli più alti. Avevo vinto una gara dell’Alps Tour (terzo circuito in ordine d’importanza in Europa, n.d.r.), ma in un momento in cui ancora non mi sentivo del tutto pronto. Era nel periodo del ritorno dopo la chiusura per il Covid e si giocava intanto per tornare a competere. La vittoria di Copenaghen invece mi ha fatto capire di aver svolto un lavoro che porta a potermi godere giornate di alta pressione, in cui la posta in gioco diventa alta e i giocatori non si tirano di certo indietro. Quindi quella di maggio è stata una grandissima iniezione di fiducia e di consapevolezza per il lavoro che ho fatto e che sto facendo. Anche perché ho lavorato tanto per quel risultato e ciò lo rende ancor più speciale.

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Il successo al Golf Nazionale in Italia è logico che sia speciale, perché mi avvicina tantissimo, se non definitivamente, a quello che è il mio obiettivo, vale a dire andare a giocare sul Tour europeo il prossimo anno. Inoltre è stato speciale perché una gara di quel livello in Italia, di fronte al pubblico che mi sosteneva, non l’avevo mai vinta. È infatti una delle gare più grosse nel calendario del Challenge Tour e riuscire a vincerla stando in testa praticamente dall’inizio alla fine, tranne dopo il primo giro, per tutta la settimana, è stato indiscutibilmente speciale.

In entrambe le vittorie poi c’era mia moglie sulla sacca e questo è qualcosa che le unisce entrambe. Comunque sono state due vittorie molto speciali tra cui non saprei quale scegliere, perché se proprio dovessi sceglierne una, comunque mi servirebbe anche l’altra.

Dal punto di vista tecnico negli ultimi anni hai realizzato diversi cambiamenti, soprattutto sul putt e nel gioco corto. Come ti senti adesso a livello di feeling sul putt e che tecnica stai utilizzando in questo periodo?

Durante la pandemia ho iniziato a puttare con l'”armlock” per cercare soluzioni nuove. In seguito ho iniziato a lavorare con Roberto Zappa che mi ha aiutato tantissimo e attualmente lavoro con lui solo per il putt. Strada facendo abbiamo vagliato varie opzioni di putt, sempre cercando di mantenere l’armlock perché quel tipo di attrezzo mi dava buona sicurezza e buone sensazioni. Da circa quattro mesi abbiamo iniziato invece a puttare con la tecnica definita “claw”, ma soltanto dalle corte distanze, dai 3m in giù. Quest’ultima mi dà molta stabilità della faccia del bastone attraverso l’impatto e mi fa sentire molto comodo. Probabilmente il putt negli ultimi due anni è stato il tassello un po’ mancante per riuscire a stare in alto.

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Per quanto riguarda invece il gioco lungo?

Diciamo che il gioco lungo negli ultimi anni era un po’ altalenante, perché alternavo periodi anche molto buoni ad altri più negativi. E in questi ultimi facevo fatica “a restare in classifica”, nei giri in cui le sensazioni non erano buone. Gli alti e bassi negli anni scorsi erano un po’ troppo bruschi, mentre quest’anno lo sono stati meno.

Comunque, tramite le statistiche, negli ultimi anni, ho notato che nei putt da vicino facevo fatica a non essere “in perdita” rispetto alla media. Nei primi anni di carriera il putt è sicuramente stato un mio punto di forza. Adesso non lo considero essere un punto di forza, ma l’obiettivo era di non andare in perdita e restare in media nelle statistiche con quel colpo.

Adesso le statistiche aiutano tantissimo…

Sì, sicuramente attraverso i dati ci si può allenare in maniera più concreta, più “intelligente”. Ma, avvalendosi delle statistiche, oggi ci si può anche misurare molto meglio e conoscersi di più nei vari aspetti del proprio gioco.

Guardando al futuro, è molto probabile che l’anno prossimo potrai tornare sul tour maggiore. Come sta evolvendo secondo Matteo Manassero il DP World Tour? Lo trovi più competitivo o in stallo rispetto agli ultimi anni in cui ci hai giocato?

Sicuramente il golf è sempre più competitivo e penso che lo sia anche a partire dallo stesso Challenge Tour. Infatti, negli ultimi anni, i migliori provenienti dal Challenge hanno sempre fatto bene sul tour europeo e questo è abbastanza un dato di fatto. Sono stati loro alla fine i giovani che sono andati ad alzare il livello del DP World Tour. Essendo un po’ che non ci gioco, è per me difficile dare un giudizio, ma sono certo che il livello rimanga sempre alto. Resta pur sempre golf, quindi io potrò solo cercare di migliorare il mio gioco, fare il meglio e lavorare per essere nelle condizioni di performare bene. Questo sarà sempre il mio focus.

Sicuramente è cambiata la generazione dall’ultimo anno in cui avevo la carta io nel 2018/2019. Dopo il Covid c’è stato un cambio generazionale forte, con alcuni golfisti che sono andati anche sul LIV (circuito di eventi d’esibizione finanziato dal fondo sovrano saudita PIF, n.d.r). Diverse facce comuni non si vedono più sul tour europeo e sono state rimpiazzate da tanti volti nuovi. Dunque è un po’ difficile fare un raffronto. Io, essendo stato sul Challenge, molti di loro magari li conosco, so come giocano, ma per chi guarda da casa sono volti nuovi. Il golf cresce, il golf migliora, le metodologie sono migliori e tutti possono dare il meglio di loro stessi; dunque il tour è sempre competitivo.

Un’ultima battuta a proposito dei recenti accordi tra PGA Tour, DP World Tour e fondo PIF, il quale ha investito pesantemente anche nel golf. Formeranno in futuro un unico tour mondiale? Che idea ti sei fatto a riguardo?

Ultimamente è successo un po’ di tutto. Per quanto riguarda il futuro del golf mondiale e gli accordi che ci sono stati, siamo davvero all’inizio di un qualcosa che sta andando in una direzione nuova ed è difficile capire quale. Alla fine credo si sia presa probabilmente la decisione migliore. Il LIV potrà continuare a fare il proprio circuito, ma è giusto che i migliori giochino insieme e contro i migliori. E questo in più gare possibili, non solo in quattro gare all’anno, perché ciò toglierebbe tanto allo spettacolo del golf e non converrebbe, di fatto, a nessuno.

Riccardo Taborro

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