Questa pazza annata 2022-23 ha risvegliato una parte geografica e calcistica d’Italia che sembrava sparita nel terzo millennio, il Centrosud, sovrastato dallo strapotere delle squadre del Nord: per la prima volta dal 1985, quando Verona e Torino dominarono, esiste il serio rischio che nemmeno una tra Inter, Milan e Juventus occupi uno dei primi due posti della classifica. E’ dal 2001 che lo Scudetto non esce dai confini lombardi o da quelli piemontesi, con le squadre delle altre regioni che a volte hanno combattuto per il tricolore, ma molto spesso hanno fatto solamente da comparsa.
Il Napoli, invece, sta compiendo un percorso che va oltre il concetto di devastante, che porterebbe i partenopei a vincere il terzo tricolore già il 30 aprile prossimo contro la Salernitana. La Lazio, dopo anni di incertezza societaria e anche tecnica, sta trovando costanza e uno stile di gioco che valorizza la maggior parte dei propri calciatori, grazie al lavoro di un maestro come Maurizio Sarri. La Roma ha obiettivi molto diversi, sacrificando la parte estetica del proprio calcio in favore del risultato, soprattutto in ambito europeo, adattandosi in tutto e per tutto al proprio condottiero, Josè Mourinho.
Andiamo quindi a vedere il perché di questa rinascita calcistica del Centrosud, concentrandosi principalmente sulle tre anime di una squadra di calcio: l’allenatore, la rosa e la società.
Gli allenatori contano (e anche molto)
Per la prima volta nella storia del nostro campionato, le prime 8 squadre della stagione 2021-22 hanno iniziato l’annata successiva con lo stesso allenatore in panchina, dando continuità ai diversi progetti tecnici avviati già da molto tempo (come quello di Stefano Pioli al Milan o di Gian Piero Gasperini all’Atalanta) oppure ancora alle prime luci, come quelli delle tre squadre di cui stiamo parlando.
A Luciano Spalletti manca solamente un trofeo importante per essere elevato tra i più grandi tecnici italiani di questa generazione agli occhi dei più, nonostante avesse fatto già grandissime cose nelle sue precedenti esperienze, chiedere ai vari Totti, Pizarro e compagnia. Eppure per il maestro di Certaldo sembra arrivata l’occasione giusta dimostrando ancora una volta la grande capacità di valorizzare il materiale tecnico che ha a disposizione, trovando nuovi ruoli per calciatori ormai fuori dalle rispettive squadre: l’esempio lampante in questo Napoli è quello di Stanislav Lobotka, riserva ai tempi di Gattuso e ora perno fondamentale del centrocampo partenopeo, trasformato dalla cura Spalletti in un giocatore alla Brozovic, in grado di pulire palloni con qualità e di correre senza sosta per 90 minuti. Anche il lavoro fatto con Osimhen, trasformato da giocatore incostante e molto umorale a macchina da gol quasi infermabile e dalle infinite risorse offensive, è traccia dell’impegno di Spalletti.
Maurizio Sarri aveva il difficile compito di snaturare la Lazio, abituata da anni al gioco difensivista di Simone Inzaghi, e di convertirla ad un calcio più bello e più europeo, in pieno stile sarrista. Dopo un primo anno abbastanza difficile e di transizione, questa stagione ha dimostrato come l’allenatore toscano sia finalmente riuscito a trasmesso i propri concetti di gioco ai suoi calciatori, che adesso giocano con facilità a due tocchi e spesso dominano le partite: il vero capolavoro di Sarri, paradossalmente, è il lavoro fatto sulla fase difensiva, che ha portato i biancocelesti ad avere la miglior difesa del campionato, pur senza contare su difensori di primissima fascia, infatti la linea difensiva tipo della Lazio è composta da Marusic, Casale, Romagnoli e Hysaj.
Se Sarri punta sul gioco, Josè Mourinho è stato scelto dalla Roma per dare credibilità all’ambiente e per puntare subito a vincere trofei, mettendo in secondo piano la qualità della manovra, mai un punto di forza dello Special One. La sponda giallorossa della Capitale è legata indissolubilmente al portoghese, elevato a generale del popolo, un ruolo che a Mourinho piace ricoprire: la prova di ciò è l’Olimpico sempre pieno per spingere i propri beniamini. Con Mourinho la Roma ha compiuto uno step mentale non indifferente, infatti adesso i capitolini riescono ad avere la meglio in scenari che gli anni scorsi l’hanno vista soccombere, soprattutto in ambito europeo, come accaduto l’anno scorso in Conference League e quest’anno in Europa League, in quella che ha tutta l’aria di essere una scalata verticale verso la gloria europea.
Le società si adattano alle circostanze
Un grande problema delle squadre che stiamo analizzando è sempre stato il difficile rapporto tra i tifosi e le società, colpevoli di investire poco e male e di non ascoltare le richieste dei fan. La rinascita calcistica del Centrosud passa anche dalle scelte delle società sul mercato e con i tifosi, che risultano decisive nell’equilibrio finale delle aziende prima che delle squadre.
Aurelio De Laurentiis non è mai stato amato dal pubblico napoletano, nonostante i risultati sportivi raggiunti sotto la sua presidenza, iniziata in Serie C1 con il Napoli Soccer e che culminerà quest’anno con il probabile Scudetto dell’SSC Napoli.
Il difficile rapporto con la tifoseria organizzata e la mancanza di investimenti di livello hanno sempre fatto storcere il naso ai tifosi azzurri e la situazione non sembrava migliorare quest’estate, quando il Napoli ha smantellato tutta la “vecchia guardia”, salutando i vari Insigne, Koulibaly, Fabian Ruiz e Mertens per accogliere dei giocatori sconosciuti, su tutti un ragazzo georgiano arrivato dalla Dinamo Batumi. Le apparentemente folli scelte di Giuntoli hanno poi ripagato sul campo, ma la mossa a sorpresa è arrivata dal presidente con la riappacificazione con i gruppi organizzati prima della cruciale sfida di Champions League contro il Milan per compattare l’ambiente in vista del finale di stagione di festa che aspetta la città intera. Ovviamente non basta questo per rendersi amica la tifoseria intera, ma sono piccoli passi per provare a creare un equilibrio che accontenti tutti.
Anche Claudio Lotito non figurava tra i presidenti più amati, anzi, forse la parte biancoceleste di Roma disprezza Lotito più di quanto accada a Napoli con de Laurentiis, reo di scelte votate al risparmio estremo sul mercato: con l’arrivo di Sarri, però, il numero uno laziale e Tare hanno deciso che fosse ora di cambiare leggermente regime e hanno consegnato alcuni giocatori, su esplicita richiesta del tecnico toscano, utili non solo per il bilancio, ma anche sul piano tecnico, come Mattia Zaccagni, Pedro e Felipe Anderson. In un certo senso, una scelta della società per creare un legame più stabile tra tifosi e squadra è stata quella di puntare su numerosi calciatori che prima di tutto rappresentino la Lazio e la lazialità, come Romagnoli e Cataldi, che sono diventati beniamini dei tifosi al pari di campioni come Milinkovic e Luis Alberto.
I Friedkin, invece, fin dal loro arrivo a Roma sono stati visti come i salvatori, coloro che avrebbero portato la Roma alla luce dopo le tenebre della presidenza Pallotta. Gli americani hanno avuto da subito ambizioni alte e, dal loro arrivo, la Roma ha sempre centrato la semifinale di una competizione europea (due volte in Europa League e una in Conference), mentre ha faticato di più in campionato e in Coppa Italia, con due eliminazioni inaspettate contro Spezia e Cremonese. L’arrivo di Josè Mourinho ha dato nuova linfa vitale al tifo giallorosso, che non abbandona mai la squadra quando gioca in casa e permette alla società di collezionare numerosi sold-out consecutivi. A questo si aggiunge l’operato sul mercato della società, che investe poco, ma bene (l’unico acquisto davvero oneroso della famiglia americana è stato Abraham, pagato 40 milioni al Chelsea) e si concentra su giocatori di livello a parametro zero o in prestito, come Dybala, Matic e Wijnaldum. I Friedkin sono spesso all’Olimpico a seguire le gesta della propria squadra e i tifosi li acclamano e ringraziano copiosamente per aver riportato la Roma ad una vittoria europea che mancava da 61 anni e un trofeo più in generale che mancava dal 2008, quando i giallorossi portarono a casa Supercoppa Italiana e Coppa Italia.
In campo ci vanno i giocatori
78 punti in 31 partite, 67 gol fatti e 21 subiti, 3 sole sconfitte e quarti di Champions raggiunti per la prima volta nella storia della società: basterebbero questi numeri per descrivere l’incredibile annata del Napoli, ma i numeri non sono sufficienti per un’analisi approfondita.
Dall’inizio della stagione il Napoli ha messo in mostra il suo modo di intendere calcio: aggressione immediata degli avversari, dominio del gioco e costante propensione offensiva, appoggiandosi sui propri assi, Kvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen su tutti. Il georgiano ha avuto un impatto sul calcio non solo italiano, ma anche europeo, che da tempo non si vedeva e che pochi avrebbero pronosticato ad inizio stagione, mentre il nigeriano è finalmente esploso, dopo due stagioni italiane in cui aveva messo in mostra un potenziale ottimo ma non ancora sufficiente per giustificare gli 80 milioni spesi dal Napoli nell’estate 2020.
La vera forza del Napoli viene anche dalle seconde linee, dai giocatori che entrano a partita in corso e che spesso hanno deciso le partite da subentrati: Raspadori ha risolto due sfide complicate contro Spezia e Juventus, mentre Simeone ha segnato gol fondamentali contro Milan, Cremonese e Roma, portando con le loro marcature 15 punti alla classifica del Napoli in situazioni che in altri periodi storici forse non avrebbero visto gli azzurri vincitori. La difesa ha saputo reggere alla grande grazie al rendimento straordinario del coreano Kim-Min-Jae, che per nulla ha fatto rimpiangere Koulibaly, finito tristemente in panchina nel ricchissimo e inconcludente Chelsea di Todd Boehly. Il vero simbolo, però, che ci aiuta a comprendere il valore di questa stagione, è l’esultanza di Piotr Zielinski contro la Juventus, l’unico reduce del Napoli di Sarri che tanto era andato vicino allo Scudetto e l’unico che sa bene quanto valga questo traguardo per la squadra e per la città.
La Lazio, come abbiamo detto, rispecchia le idee di calcio di Maurizio Sarri, basate su una manovra di qualità, gioco a massimo due tocchi e continui inserimenti offensivi, con le ali del 4-3-3 che ricoprono un ruolo fondamentale nell’economia offensiva della squadra. Uno dei punti di forza della Lazio di Sarri è il centrocampo, in cui troviamo la fantasia del Mago, di Luis Alberto, che ha assorbito le lezioni di Sarri in maniera più difficoltosa ma che sta iniziando ad integrarsi nel nuovo sistema, la regia di Cataldi e la qualità abbinata alla quantità di Milinkovic-Savic a creare un mix perfetto. In attacco l’allenatore toscano ha dovuto sopperire per gran parte della stagione all’assenza di Ciro Immobile, bersagliato dagli infortuni e rimpiazzato con giocatori dalle caratteristiche non proprio simili come Pedro e Felipe Anderson, in uno scenario simile a quello che portò alla nascita di Mertens come centravanti a Napoli: i gol sono arrivati comunque, con Mattia Zaccagni a fare da capocannoniere per i biancocelesti e a sognare un’altra maglia azzurra, quella della nazionale.
Il più grande segreto di questa squadra è tuttavia il pacchetto difensivo, che ha garantito 19 clean sheets su 31 partite ai biancocelesti, che appaiano il Napoli in cima alla classifica delle difese del campionato italiano. L’unico difetto della stagione laziale è il percorso europeo ampiamente al di sotto delle aspettative, terminato agli ottavi di Conference League e considerato una sorta di ostacolo dall’allenatore, che ha sacrificato la coppa per fare bene in campionato, cosa che attualmente sta riuscendo alla Lazio.
La Roma ha impiegato più tempo per ricercare il modulo che meglio le permettesse di sfruttare il suo potenziale offensivo e di mantenere una certa solidità dietro: Mourinho ha provato il 4-2-3-1, il 3-5-2, ma la scelta finale è ricaduta su un abbastanza inusuale 3-4-2-1, con cui aspettare l’avversario e ripartire velocemente sfruttando i due trequartisti come ponte per ribaltare il fronte. La linea difensiva è il punto più debole della rosa, con Ibañez vittima dei big match (soprattutto dei derby) e un Kumbulla quasi impresentabile che devono affiancare gli ottimi Smalling e Mancini, anche se Diego Llorente sta scalando le gerarchie in fretta. Se la fascia sinistra è di proprietà di Spinazzola, la fascia destra è più difficile da inquadrare, con Celik e Karsdorp che ormai sono stati rimpiazzati da Nicola Zalewski, nato trequartista in primavera ed adattato ad esterno da Mourinho, prima a sinistra e poi a destra. La mediana non può prescindere da Bryan Cristante, uno dei più cresciuti sotto la gestione Mourinho, e da Nemanja Matic, una coppia sicuramente non di velocisti ma che detta i tempi e riconquista palloni come poche altre nel mondo.
I tre davanti, invece, hanno il posto garantito: Pellegrini è il capitano e leader morale della squadra, essenza profonda del romanismo e dell’amore per i colori giallorossi. Dybala è il leader tecnico, un giocatore straordinariamente bello da vedere e che a Roma sembra avere trovato una dimensione da top player che a Torino pareva aver perso, schiacciato dagli infortuni e da alcune presenze ingombranti: un giocatore della sua caratura non si vedeva a Roma forse dai tempi di Francesco Totti, e crescono le speculazioni sul suo passaggio alla leggendaria 10 del Capitano. Abraham è il goleador che la scorsa stagione ha guidato la cavalcata europea dei giallorossi, ma che quest’anno sta incontrando numerose difficoltà realizzative: sembra ormai una sua caratteristica alternare una stagione straordinaria ad una meno buona. A Mourinho non mancano le alternative dalla panchina: Wijnaldum è stato martoriato dalla sfortuna ma ha dimostrato di poter contribuire alla causa, El Shaarawy e Solbakken hanno risposto sempre presente quando chiamati, così come Bove, Volpato e Belotti.
Questi sono alcuni dei motivi che stanno portando alla rinascita calcistica del Centrosud, un fenomeno che siamo sicuri non si arresterà qui, ma che sarà caratteristico dell’immediato futuro del calcio in Italia e anche in Europa.
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