Luis Miguel Rodríguez non è un calciatore. Non riduciamo il tutto a una parola così banale e vuota di significato. Luis Miguel è molto molto di più, è un eternauta che ha condensato in trentaquattro anni di vita cinque o forse sei esistenze rumorose, disordinate e incerte, in una parola: sudamericane. La sua storia, come tutte le grandi storie, inizia in un posto lontano e irraggiungibile: Simoca, provincia di Tucumán.
Qui, il primo giorno del 1985 Luis Miguel venne al mondo, ultimo di nove fratelli, figlio di una famiglia della classe operaia locale. Ma non fu l’unico “nuovo” dell’Argentina, infatti appena tredici mesi prima si era insediato alla Casa Rosada Raúl Alfonsín, primo presidente eletto dopo gli spietati anni della dittatura.
L’infanzia di Luis Miguel – come quella di molti bambini argentini – fu scandita da interminabili giornate trascorse a rincorre una palla – spesso fatta di stracci o rubata da qualche parte – con scarpe di fortuna o, come nel suo caso, scalzi. Il calcio non era l’unica occupazione di Luis Miguel, infatti fin da quando era ragazzo la Pulga lavorava come idraulico o imbianchino per aiutare la famiglia, che non se la passava bene economicamente. Ma come spesso succede in queste vicende sudamericane occorre un antefatto che cambia completamente il corso della storia: il piccolo Luis Miguel viene notato da un osservatore del Real Madrid che gli offre un periodo di prova e la possibilità di disputare il Mundialito del 2003 di Gran Canaria, dove viene votato migliore giocatore della manifestazione. Ma il Real Madrid smette di credere in lui, forse per il fisico (nemmeno un metro e sessanta) o forse per motivazioni tecniche e Luis Miguel si ritrova di nuovo a spasso. Dopo un’esperienza, breve e sfortunata, all’Inter apparve un agente – il primo e l’ultimo nella vita della Pulga – che gli promise un contratto con i rumeni del Craiova in cambio di una provvigione di 500 euro mensili. Luis Miguel, solo, giovane e lontano da casa non potè che credere a questo imbonitore e accettò la proposta che gli venne fatta. Pochi giorni dopo era in Romania pronto ad iniziare la sua prima vera avventura nel calcio europeo, purtroppo per lui l’agente non si presentò mai a prenderlo alla stazione e lui trascorse varie ore senza cibo, al freddo e senza la possibilità di comunicare con nessuno. Quando finalmente riuscì a tornare a casa prese una delle decisioni più dolorose della sua vista “Basta con il calcio” disse a mamma Bety.
Le opportunità a Simoca non erano molte e i soldi andavano comunque portati a casa così Luis Miguel ricominciò a fare quello che gli riusciva meglio – oltre che prendere a calci un pallone – ovvero il muratore e l’idraulico. E di calcio per un po’ non se ne sarebbe più parlato.
Però gli amanti non possono essere tenuti lontani per troppo tempo e la Pulga proprio non ce la faceva a stare lontano dai campi. Così decise di riprendere a giocare e lo fece per lo UTA, una piccola squadra legata a un sindacato locale. Ma uno così non può giocare nella squadra di un sindacato e la chiamata dall’alto era solo una questione di tempo, prima o poi sarebbe arrivata. Il primo a farsi avanti fu l’Atletico Tucumán, che a quel tempo militava ancora nelle categorie inferiori e che avrebbe fatto follie per vedere quei centocinquantasette centimetri al Monumental José Fierro. Nel primo anno La Pulga segnò sette gol che contribuirono alla promozione della squadra in Primera B Nacional. Arrivato al grande pubblico Luis Miguel subì molte critiche: questo scappato di casa chi sarebbe? Ma hai visto quanto è piccolo? Al massimo potrà fare il raccattapalle. La Pulga si tappò le orecchie, arrotolò i pantaloncini e non smise più di segnare: 20 gol in 33 partite e un altra promozione portata a casa. L’occasione di una vita era arrivata e la Pulga era pronta a prendersi quello per cui aveva sofferto la fame, il freddo e la solitudine, preso voli senza destinazione e mandato giù tanti bocconi amari. Purtroppo, la squadra era quello che era e lui giovane e ancora acerbo per la Serie A non riuscì a salvare con i suoi 8 gol l’Atletico. Gli anni successivi trascorsero tra alti e bassi – alternando stagioni da 20 gol a stagioni da 1 gol – fino a che nel 2010 arrivò la chiamata dei Leprosos, il Newell’s Old Boys voleva la Pulga come suo numero 10, e lui non potè che rispondere: “Bueno, porque no”. E via verso Rosario. La parentesi sul Paranà durò appena un anno prima che Luis Miguel fece ritorno a casa.
https://www.youtube.com/watch?v=a0nBvzw202E
Lui, tucumano nell’anima, solo lì poteva essere sé stesso. Giocare con il cuore in mano e il sette sulle spalle perché era uno di quelli che sarebbero morti per quella camiseta, uno di quelli con El Decano tatuato en la piel. Lui che viveva ancora a Simonca e che mai si sarebbe sognato di tradire la sua gente e la sua famiglia.
Nelle stagioni che vanno dal 2011 al 2019 si permette di scarabocchiare sui libri di storia diventando il miglior marcatore della storia del Decano – 130 gol in 325 partite – e portando l’equipo de su vida in Copa Sudamericana e in Copa Libertadores, ripetutamente.
Questa storia potrebbe concludersi così, l’idolo che torna a casa e diventa mito tra la sua gente, la redenzione sportiva e umana, tutto al posto giusto al momento giusto. Eppure Luis Miguel ha voluto stupire ancora tutti con un dribbling dei suoi. Ha deciso che tutto questo non gli bastava più e ha voluto andarsene, per dimostrare che avrebbe potuto essere la Pulga anche fuori da Tucumán. Da vero fantasista argentino la Pulga non ha fatto una scelta banale: non ha scelto il Boca, il Rosario Central o una meta esotica. Ma ha deciso che avrebbe riscritto qualche altra riga di storia con il Colon, squadra che in quasi 115 anni di storia conta zero trofei.
https://www.youtube.com/watch?v=Yz1K5KPC2Yw
E fra poche giorni scenderà in campo, non lo farà solo per lui o per i tifosi Sabaleros ma lo farà per tutti quelli che erano impegnati a fare altro mentre la vita bussava alla loro porta.
Comments