Calcio

La porta comanda, l’attacco desiste: la caduta degli eroi del calcio

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La mancata realizzazione di punti da parte di coloro che sono diventati da tempo, nell’immaginario collettivo, eroi indiscussi del calcio (es. Kylian Mbappé e Cristiano Ronaldo), e di coloro che potevano dare molto ma non sono riusciti a portare in campo più di palleggi discontinui e inconcludenti, (vedi la nazionale italiana), ha alimentato nel cuore dei tifosi un senso di nostalgia del passato, come se i migliori playmakers del calcio fossero figure lontane e ormai inaccessibili.

La titanomachia del calcio: la guerra degli eroi

La guerra di Zeus alle divinità del passato ricorda tanto il conflitto generazionale che in questi giorni è protagonista del calcio europeo, soprattutto quello dello stivale. Meglio il vecchio o il nuovo? C’è chi dice sia meglio puntare sulla ricostruzione di un nuovo calcio, chi preferisce rimanere ancorato ai bagliori andati, o chi ancora si chiede come sia possibile per campioni protagonisti dello scorso europeo come Niccolò Barella retrocedere così in basso in termini di prestazione. Tutti, in ogni caso, sono d’accordo su un punto: la porta, troppo spesso, ha comandato la partita.

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È il caso di Gianluigi Donnarumma che nel corso delle partite ha evitato il disastro facendo passare gli azzurri alle fasi successive seppur il gioco nel campo non confermava il risultato ottenuto. Guardando una partita della nazionale viene quasi da chiedersi se sia rimasta ancora la voglia di giocare o se sia considerata solo un appiglio per i pivelli, coloro che sono ancora agli albori della scalata al successo. Cosa muove davvero un calciatore? Cosa ha spinto Riccardo Calafiori a prendere la palla a sette secondi dalla fine della partita per trasportarla dall’area difensiva a quella offensiva? Il cuore non va di moda negli spogliatoi più ambiti ma è l’unica cosa che serve per fare risultato.

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Questo però non è solo un atteggiamento tipico del gioco italiano. Mbappé, per citare un campione fuori dal confine nazionale, in questo europeo sembra segnare solo su rigore e Ronaldo, nonostante gli innumerevoli tentativi provati, difficilmente riesce a concretizzare un’azione. I tifosi sono ormai abituati a vedere sui loro schermi riassunti di pochi passaggi inconsistenti e molte parate spettacolari. Koen Casteels, Mike Maignan e Giorgi Mamardashvili (l’unico che ha parato ben trenta tiri, il re dei salvataggi di tutto il torneo, almeno fino ad ora) sono solo alcuni dei portieri che hanno colorato le partite con momentanei schizzi di talento e passione.

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Come dimenticare l’incredibile parata di tre rigori su tre del portiere Diogo Costa che neanche il polpo Paul, mascotte dei mondiali del 2010, avrebbe potuto predire. Senza contare che in alcune statistiche è apparso anche il dato dei palloni giocati dai portieri (tra questi Jordan Pickford è il primo) perché ormai si chiede aiuto a loro anche solo per costruire un’azione.

Tiri confusionari provati in extremis e totale inesistenza dello spirito di squadra sembrano essere i nuovi ingredienti del calcio moderno. Non sarà che pensando troppo a schemi tattici paventati come Santo Graal si finisca per perdere il vero fine che spinge a giocare a calcio: la passione? In fondo una partita terminata con un pareggio meritato, giocata fino alla fine, è migliore rispetto ad una vittoria arrivata casualmente agli ultimi secondi. Il successo nello sport, così come nella vita, dovrebbe essere la conseguenza di un percorso e non un’esigenza esterna da conseguire controvoglia. Non si fa sport pensando ai risultati, ma costruendoli come fossero il giusto premio di una sudata fatica.

Occorre dunque ripartire sui campi dai ragazzi insegnando loro ad emozionarsi con un calcio di pallone, perché solo chi impara ad amare il calcio riesce a trasmettere la passione con il gioco, riesce a far sognare. Una generazione che non sogna non segna; chi non desidera ardentemente qualcosa non conferisce il giusto valore ad un errore così come ad un avanzamento. E come si può chiedere di vincere a chi non crede nella vittoria? Il vero campione è colui che concepisce la bravura come frutto del duro lavoro, colui che crede davvero nei suoi obiettivi. Insegniamo ai ragazzi a credere in loro stessi, insegniamo loro a portare sul campo il sogno che hanno nel cuore affinché divenga motore di bellezza; di sicuro non ci troveremo giovani milionari stanchi di tirare una palla in una delle competizioni più emozionanti ed importanti del mondo.

Immagine in evidenza: ©OZAN KOSE/AFP 

Giusy Celeste

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