Abbiamo aspettato più di 900 giorni: il 14 aprile 2019 sembra ormai un’altra era, la popolazione mondiale non aveva ancora conosciuto il Covid-19, non si parlava di tamponi, mascherine, lockdown e la pandemia era nell’immaginario comune una fantasia post apocalittica, adatta più ai film di Soderbergh che non al mondo reale. A distanza di quasi tre anni, dopo le quarantene e i vaccini, torna la Parigi Roubaix. Ormai è certo, dopo essere stata annullata l’anno scorso ed essere stata rinviata questa primavera: la corsa delle pietre si terrà domenica sotto il cielo di ottobre.
Negli anni ’50 Coalwood era una cittadina mineraria del West Virginia: come in molte cittadine minerarie il futuro di ogni ragazzo era di finire a lavorare in miniera. Nell’ottobre del ’57 lo Sputnik, il primo satellite mandato in orbita dall’uomo, attraversò il cielo di tutto il mondo, anche il cielo di Coalwood. Questo evento catalizzò la passione e la fantasia di Homer H. Hickam, Jr. che da futuro minatore del West Virginia diventò un ingegnere della NASA collaborando alla realizzazione del motore dello Space Shuttle.
Nello stesso periodo storico, qualche anno prima per la verità, dall’altra parte del globo ma sempre tra miniere di carbone e fabbriche siderurgiche, un giovane francese di nome Jean si comprava la bicicletta con i soldi guadagnati in miniera. La sua famiglia si era spostata dalla Polonia al Nord della Francia a cercar lavoro: i Stablevski, per un errore di trascrizione, divennero all’anagrafe francese i Stablinski. Jean con quella bicicletta cominciò ad andare veloce e non si fermò più. Jean Stablinski, raggiunta la fama, per la stampa divenne “Stab”: sempre perché in Francia faticano più che in ogni altra nazione del globo a pronunciare nomi non autoctoni. Stablinski vinse il mondiale di ciclismo a Salò, fu gregario di Anquetil con cui ruppe in maniera violenta; la rottura col fuoriclasse fece sì che a Stab venne assegnata una impresa sovrumana, far vincere Poulidor: la storia ci insegna che Jean non ebbe fortuna in questa missione impossibile. Il corridore di origini polacche ebbe invece successo in una impresa sicuramente più fattibile della vittoria di Poulidor, ma più critica per la storia del ciclismo moderno. Negli anni sessanta le opere di miglioramento della pavimentazione stradale stavano appiattendo lo spessore della Parigi Roubaix. Gli organizzatori chiedono a Stablinski se conosce qualche “stradina” da inserire nella corsa del Nord. Stablinski ha in mente una strada: passa vicino a una miniera in cui ha lavorato e attraversa una foresta. Stab la propone a Goddet, il patron francese, che però è perplesso: “Avevo detto una strada con pietre, non con buche” pare abbia risposto a caldo. Come spesso accade tra le intenzioni e gli affari c’è una bella differenza e la “stradina” nella foresta viene inserita nel percorso: è nata la foresta di Arenberg. Lo stretto ciottolato disconnesso immerso nella vegetazione della foresta e il ponte che si vede al suo ingresso, ponte che collegava la miniera al paese adiacente, è ora il simbolo della corsa delle pietre. I suoi 2400 metri rappresentano una delle chiavi di volta della gara; è il primo tratto di pavè in cui si può decidere la corsa, insomma come dice John Beluschi in Animal House: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.
Passando di simbolo in simbolo, l’altro simbolo della Parigi Roubaix è il Carrefour de l’Arbre. Il pavè del carrefour è difficile e la sua vicinanza al traguardo lo pone come l’ultimo grande scoglio prima di Roubaix. La “strada” in ciottolato, lunga più di duemila metri, descrive una curva ad angolo retto e porta i corridori a passare innanzi al ristorante l’Arbre. La struttura esterna della taverna segue la tradizione di questa parte di Francia: mattoni rossi a vista sotto un tetto a spioventi con tegole del medesimo colore dei mattoni. All’interno invece l’atmosfera è moderna, elegante: i piatti ricercati e con grande cura nell’impiattamento. Se i corridori, coperti dalle polveri delle strade della campagna francese, pensassero di fermarvisi per fare rifornimento commetterebbero un errore: le porzioni non sembrano soddisfare uno stomaco che ha percorso duecento chilometri mentre il conto potrebbe dare il colpo di grazia.
Tom Boonen, plurivincitore alla Roubaix, fermo nella foresta di Arenberg con “la ruota in mano” in attesa di un soccorso meccanico; Peter Sagan che si fa passare in corsa una brugola dalla ammiraglia per riparare il manubrio prima di affrontare il Carrefour de l’Arbre; Philippe Gilbert, ormai trentasettenne, al velodromo di Roubaix che alza le mani vittorioso dopo aver battuto in uno sprint a due Nils Politt: sono solo alcune tra le immagini che raccontano le edizioni degli ultimi anni di una corsa più che centenaria.
Dopo il mondiale di Leuven molti sono i corridori che si vogliono riscattare, uno su tutti Van Aert che partiva favorito per la prova iridata ma ha concluso con una prestazione opaca. Anche dal suo rivale per antonomasia, Mathieu Van der Poel, ci si aspetta che batta un colpo, anche se non sono ancora state sciolte le riserve sulla sua partecipazione legate ai problemi fisici accusati negli ultimi mesi. Oltre ai due fuoriclasse ci sarà Asgreen, che quest’anno ha già messo nel sacco i due campioni per ben due volte, e poi la vecchia guardia della Roubaix, da Van Avermaet a Sagan, al vincitore uscente Gilbert. Il pubblico della Roubaix è esigente, si aspetta ogni anno l’impresa e quest’anno in particolare dopo il lungo digiuno: qualcuno ha scritto che “il pubblico è lì (anche) per te e tu devi averne la massima cura”, quel qualcuno era un signore che la Roubaix la vinse e portava il nome di Felice Gimondi. Non manca molto al 3 ottobre: chi si vuole laureare campione a Roubaix è avvisato, l’esame non sarà facile.
Immagine in evidenza: passaggio nella foresta di Arenberg ©Eurosport
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