Non esiste, forse, luogo più reale di Londra. Nel senso di “principesco”, “regale” appunto. Un’infinita serie di sovrani: Elisabetta fino a poco tempo fa e Carlo adesso. Buckingham Palace sta a Londra come il Colosseo sta a Roma e la Torre Eiffel a Parigi. Tutte città accomunate, in decadi lontane, dall’essere state abbracciate dalla magia dei cinque cerchi, rappresentativi dell’universalità dei Giochi Olimpici.
E proprio Londra, in effetti, ha avuto l’onore di accogliere quei cinque cerchi per ben tre volte. Sarebbero potute essere quattro, ma la barbarie della Seconda Guerra Mondiale non lo ha permesso. E così, l’avventura olimpica londinese parte dal 1908, l’edizione della leggenda di Dorando Pietri, e passa per il 1948, l’anno della doppietta italiana Consolini-Tosi nel disco maschile ma anche quello della super-mamma volante Fanny Blankers-Koen e del sempre ansimante mezzofondista Emil Zatopek. Serve un varco spazio-temporale di più di sessant’anni, poi, per far tornare le Olimpiadi nella terra dei Windsor: il mondo è cambiato molto rispetto al ’48. È Londra 2012 e sono i Giochi Olimpici numero 30.
Sono, in tutto, otto le soddisfazioni auree dell’Italia. Il 2012 è l’anno dei trionfi del fioretto, con un’Elisa Di Francisca trascinatrice, fino alla squadra maschile di tiro con l’arco che, in una finale serratissima contro gli Stati Uniti dell’imperituro Brady Ellison, la spuntano grazie all’ultima e unica freccia possibile: un 10, “al bacio”, di Michele Frangilli. A Lee Valley, Daniele Molmenti stacca tutti e si porta a casa il titolo nel K1 slalom, così come Carlo Molfetta nel taekwondo. Niccolò Campriani, con la carabina tra le braccia, inizia a scrivere le prime pagine del suo mito olimpico. Qualcosa di simile lo fa anche una ragazzina emiliana. Vent’anni e mezzo. Imbraccia il fucile con una naturalezza imbarazzante…
Ha il cognome più diffuso in Italia ma il talento, precocissimo, è di rara fattura. Porta un nome di origine shakespeariana, presente nel Mercante di Venezia ma ancor prima, in una sua variante, nell’Antico Testamento biblico. Significa “osservata, guardata da Dio”. Jessica Rossi è un docile diamante che imbraccia un’arma in quanto attrezzo sportivo. Non c’è male. Solo vittorie da celebrare o sconfitte da cui imparare.
L’anno solare comincia con quella bruttissima immagine ancora viva nei cassetti dei ricordi di una nave da crociera drammaticamente coricata in acqua al largo della Toscana. È la Costa Concordia, semisommersa di fronte all’Isola del Giglio. Un incidente costato la vita a più di trenta persone.
Sul fronte politico, la Francia elegge il suo nuovo presidente, Francois Hollande. Il socialista la spunta, seppur di poco, sull’uscente Nicolas Sarkozy. Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, a novembre, Barack Obama viene confermato per un secondo mandato alla guida della Casa Bianca.
Gli Europei di calcio si giocano in Polonia e in Ucraina. In finale, allo Stadio Olimpico di una Kiev allora libera, l’Italia di Cesare Prandelli perde 4-0 contro la Spagna guidata da Vicente Del Bosque.
Agli Oscar, vengono premiati “The Artist”, film muto, e “Hugo Cabret”, di Martin Scorsese. Per rimanere in ambito sportivo, spopola l’approccio statistico applicato al baseball di “Moneyball”. Nelle sale italiane, il successo è tutto per “Cesare deve morire” dei Fratelli Taviani e per “Habemus Papam” di Nanni Moretti.
Nella musica, a Sanremo, vince Emma ma l’edizione segna soprattutto l’ultima apparizione televisiva di Lucio Dalla, nell’occasione accompagnatore del giovane Pierdavide Carone per il brano “Nanì”.
Sabato 4 agosto, per essere a Londra, fa abbastanza caldo. 18 gradi Celsius ma con un 74% di umidità. In tribuna, tutti col cappellino, come si fosse a vedere Wimbledon. E, invece, il teatro delle gare del tiro a volo è quello della Royal Artillery Barracks di Woolwich, lo stesso quartiere londinese in cui è nata la squadra di calcio dell’Arsenal.
La specialità è il trap; la fossa olimpica, in italiano. Un colpo per ogni piattello. 75 piattelli in qualificazione, 25 in finale. Punteggio totale calcolato sui 100 piattelli complessivi. Tutto in un’unica, elettrizzante giornata. Anche se, a dire il vero, nel tiro a volo, come anche per tiro a segno e per l’arco, serve la fermezza mentale e, di conseguenza, la fermezza di corpo. Serve intercettare all’istante la traiettoria di quel disco ripieno d’argilla, lanciato a 70km/h da un’apposita macchina. L’ulteriore difficoltà, qualora servisse, sta nel non sapere da dove parte il piattello e a che altezza viaggia. Ce ne vuole per realizzare ciò che si concretizzerà solo qualche ora dopo…
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