Con il meraviglioso successo di Alejandro Valverde ( finalmente campione iridato 15 anni dopo la prima medaglia iridata ) davanti a Romain Bardet e Michael Woods, ad Innsbruck si è calato il sipario sulla rassegna mondiale austriaca, una delle più dure della storia a livello altimetrico. Una settimana da archiviare, nel complesso, in positivo per i colori azzurri.
Partendo proprio dalla prova in linea èlite maschile, cerchiamo di tracciare un bilancio di quella che è stata la spedizione azzurra in questa 8 giorni iridata.
Si poteva fare di più?
Parliamoci chiaro, alla vigilia della corsa era onestamente molto difficile pronosticare una medaglia per uno dei nostri atleti. Quella maledetta caduta al Tour de France ha purtroppo condizionato, fin da subito, la preparazione di Vincenzo Nibali, uomo-faro del ciclismo italiano, nonchè leader azzurro per Innsbruck. Il siciliano ha tenuto agilmente ( o meglio, questa sembrava l’impressione ) le ruote del plotone principale fino a quando non è esplosa definitivamente la bagarre lungo l’ultima ascesa della salita di Igls. Un calo fisiologico che, vista l’impossibilità di preparare al meglio una corsa così lunga e dura, era inevitabile. Dunque, aspettarsi di vederlo lottare sul muro con chi poi si sarebbe giocato il titolo iridato.
Nonostante questa parziale delusione, possiamo comunque trovare delle buone indicazioni dall’esito della prova dei nostri corridori. Prima di tutto, l’Italia è stata la nazione che si è mossa con più coraggio negli ultimi 50 Km di gara. Dario Cataldo, Gianluca Brambilla e Damiano Caruso hanno svolto un’eccellente lavoro, inserendosi nei tentativi di fuga che poi sono stati sempre rintuzzati dal gruppo. Una volta ripresi, hanno dato la loro mano per mettere in fila al gruppo lungo la salita di Igls, prima di staccarsi e di concludere il loro mondiale.
Menzione speciale per Alessandro De Marchi e Franco Pellizotti: il friulano si è confermato un gregario di assoluto livello in campo internazionale, lanciandosi all’attacco, stoppando gli avversari e restando con Moscon fino all’imbocco del muro finale; il secondo, è semplicemente un professionista come pochissimi. A quasi 41 anni Franco, che da gennaio lavorerà come direttore sportivo, ha fatto valere ancora una volta la sua esperienza, menando in testa al plotone come centinaia di altre volte nella sua lunghissima carriera.
Prima di parlare di chi dei nostri la medaglia l’ha accarezzata da vicino, possiamo dire che l’unica nota negativa degli 8 è stato Domenico Pozzovivo: aveva dichiarato di essere arrivato a questo appuntamento nella migliore condizione della sua vita, ma alla fine il suo mondiale è stato anonimo. Un 21esimo posto non può accontentare lo scalatore lucano, mai nel vivo della corsa quando si sono accesi i fuochi d’artificio.
Infine, è giusto riservare un gran plauso a Gianni Moscon. Il 24enne della Val di Non si è dovuto arrendere solo nelle ultime rampre, quelle più arcigne del muro di Holl. L’azzurro ci ha fatto sognare quando in un primo momento è riuscito a restare a contatto con il trio che poi si è giocato le medaglie; è stata una curva presa troppo interna a causargli quel rallentamento fatale: da quel momento le gambe di Gianni hanno smesso di girare, e insieme ad esse anche la lucidità mentale l’ha abbandonato; a quel punto per lui non c’è stato nulla da fare, si era spenta la luce. C’è un po’ di rammarico per come ha speso energie di troppo nel tratto finale della salita di Igls, dove era riuscito a prendere qualche secondo di vantaggio insieme ad altri 5 corridori. Considerando che era rientrato alle corse soltanto 2 settimane prima di Innsbruck ( fermato 2 mesi a causa della squalifica post Tour de France ), Moscon ha disputato una gara di altissimo livello. Se in futuro eviterà di incappare in sanzioni o gesti sciocchi che, fino ad ora ne hanno penalizzato la carriera, avrà occasioni per rifarsi. Il futuro dell’Italia è senza dubbio lui.
In conclusione, è legittimo affermare che i nostri due uomini più accreditati per le medaglie sono arrivati, per motivi diversi, alla prova iridata in condizioni tutt’altro che idilliache. Dunque, riuscire ad agguantare qualcosa di più di un 5^ posto a 13 secondi dai primi, vista la concorrenza, non era di certo facile da portare a termine. Certo, il fatto che l’Italia non sia sul podio di un mondiale da ormai 10 anni in una gara èlite è un dato allarmante, ma in un momento difficile come questo l’importante è restare positivi, dare fiducia a chi adesso rappresenta i nostri colori e soprattutto credere nei giovani, la base del nostro movimento, e che a Innsbruck ci hanno regalato 3 bellissime medaglie.
Da dove ripartire?
Proseguendo con quanto detto prima, è importante non racchiudere il Mondiale dell’Italia del ciclismo alla prova di domenica. Durante la settimana austriaca, dalla categoria juniores 3 atleti azzurri sono saliti sul podio, dei quali 2, Camilla Alessio e Andrea Piccolo, sono saliti sul podio nella corsa contro il tempo, disciplina in cui l’Italia non ha mai avuto negli ultimi anni corridori in grado di competere per piazzamenti di spessore.
C’è tanto da lavorare sulla condotta tattica della corsa da parte dei nostri ( esempio lampante la mancata medaglia nella prova in linea femminile juniores, dove le azzurre hanno ottenuto un 4^, 5^ e 7^ posto ), ma a livello di potenziale possiamo ben sperare guardando al futuro. L’importante sarà metterli al centro del movimento, infondendo in loro la fiducia necessaria per lavorare con il costante desiderio di migliorarsi ogni giorno sempre di più.
Infine, merita il suo spazio una donna che a 34 anni è riuscita a conquistare l’unica medaglia iridata che mancava alla sua collezione ( la 3^ della carriera ), a distanza di 14 primavere dalla prima, esempio di come non è mai troppo tardi per ottenere qualcosa che avevi cercato a lungo ( lo stesso per Valverde ). Complimenti vivissimi a Tatiana Guderzo, sperando che possa essere un’ispirazione per molti giovani talenti quando quest’ultimi saliranno sulla bicicletta con la maglia della Nazionale.
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