Giunti a oltre un terzo della stagione regolare NBA, è tempo di stilare un bilancio sul rendimento di alcuni giocatori. In particolare, questa prima parte ha regalato exploit clamorosi e del tutto inaspettati, così come flop o rendimenti non proporzionali al talento o allo stipendio. Di seguito si riporta un’analisi di tre giocatori che hanno reso oltre le aspettative – gli imprevedibili – e altri tre, invece, che al momento non hanno regalato troppe gioie ai propri tifosi – gli imprevisti.
Va chiarito che non si tratta di giudizi definitivi, atti a esaltare o criticare un giocatore. Le stesse statistiche sono state utilizzate con cautela, poiché è noto come esse forniscano delle stime o valutazioni parziali. Tuttavia, allo stesso tempo i numeri sono strumenti che possono fornire utili indicazioni sul rendimento di un giocatore. Per concludere, le analisi si riferiscono a quanto si è visto sinora, di conseguenza è plausibile che nei prossimi mesi le prestazioni possano cambiare.
L’analisi inizia, quindi, con i giocatori che più hanno impressionato.
Richaun Holmes
I Sacramento Kings sono stata certamente una delle squadre dal rendimento incostante sinora. Tuttavia, Richaun Holmes ha rappresentato un punto di riferimento della franchigia. Nonostante sia appena arrivato in estate e abbia firmato un contratto da circa 10 milioni per due anni, le sue prestazioni sul parquet sono migliori di molti giocatori ben più pagati.
Complice anche l’assenza di Bagley, Holmes in questa stagione sta viaggiando a 13.3 punti e 8.5 rimbalzi di media, giocando 29.5 minuti e tirando con un notevole 66.6% dal campo (tutti career-high). Al di là delle statistiche personali, l’impatto di Holmes si può evincere dalle prestazioni della squadra.
Escludendo Fox, che ha saltato varie partite per infortunio, la squadra ha l’Offensive Rating più alto quando Holmes è in campo, 109.4 punti per 100 possessi, cifra che scende a 99.6 quando siede in panchina (secondo solo a Buddy Hield). Per quanto riguarda il Net Rating, è l’unico giocatore con valore positivo quando in campo (0.5), mentre quando esce il dato della squadra è il peggiore (-8.1). Anche il Plus/Minus di squadra è interessante, poiché 0.1 quando Holmes è in campo (il migliore) e -3.3 quando fuori (il peggiore).
Holmes è inoltre un giocatore incredibilmente efficace quando funge da rollante nel pick’n’roll. Si piazza infatti nelle prime posizioni per punti per possesso in tale statistica (1.27, meglio di specialisti quali Harrell, Adams e Adebayo) e addirittura undicesimo per punti realizzati in tale situazione di gioco (4.1).
Se si considera che i Kings hanno un record di 13 vinte e 22 perse, tali statistiche assumono un valore notevole, evidenziando la crescita del giocatore e il suo ruolo essenziale nel team di coach Walton.
Devonté Graham
Il principale candidato per il premio di Most Improved Player. L’esplosione di Graham ha sorpreso chiunque tra gli addetti ai lavori in NBA – e probabilmente anche lo stesso Michael Jordan.
Le statistiche evidenziano i miglioramenti rispetto all’anno da rookie. 35 minuti di media a partita (contro 14.7), 18.8 punti (contro 4.7), ma soprattutto 7.8 assist (contro i 2.6). Il dato degli assist aiuta a capirne la centralità nel gioco di Charlotte. Inizialmente utilizzato come sesto uomo, Graham si è guadagnato il posto di titolare a suon di doppie doppie punti-assist (ben 11). La differenza tra quando Graham è in campo e quando fuori è lampante. Nel primo caso, la squadra produce 17.5 assist (dato più alto), solo 6.2 nel secondo caso (il dato più basso), indice di un’abilità non comune nel mettere i compagni in condizione di segnare.
L’essenzialità di Graham è evidenziata anche da altre statistiche, soprattutto in attacco. Con lui in campo la squadra produce 77.9 punti e il 44.7% dal campo (i dati migliori tra i giocatori in rotazione), cifre che scendono rispettivamente a 26.1 e 40.4% quando esce. L’Offensive Rating della squadra con Graham in campo è 108.0, di gran lunga il migliore, mentre precipita a 93.8 quando siede in panchina (il dato successivo è quello di Marvin Williams, 103.5).
Inoltre, Graham si piazza al decimo posto nella classifica dei punti per possesso quando gioca il pick’n’roll (0.95), davanti a fenomeni quali Lou Williams e Derrick Rose (per citare solo alcuni esempi), e al nono posto nei punti realizzati da pick’n’roll (8.9, meglio di un certo Chris Paul).
Graham è inoltre diventato un affidabile tiratore dall’arco. Mentre nella stagione da rookie registrava uno scarso 28%, quest’anno, secondo Basketball Reference, è terzo per tiri da 3 tentati (350) e ne ha segnati ben 137 (secondo solo dietro a James Harden), che si traduce in un ottimo 39.1%.
La posizione di Charlotte a Est risente in gran misura delle prestazioni di Graham. Difatti, sebbene molti pronosticassero una stagione di ricostruzione, gli Hornets occupano attualmente la nona posizione, a sole 2.5 partite di distanza dalla zona playoff. Se il prodotto di Kansas dovesse mantenere tali medie, non è escluso che Charlotte potrebbe togliersi alcune soddisfazioni a fine stagione.
Duncan Robinson
Il giocatore più inaspettato e impronosticabile. Robinson non è un grande atleta, non è altissimo (182cm), non ha il talento di Doncic o LeBron. E, infatti, nel 2018, uscito dal college, non fu draftato da nessuna squadra. Tuttavia, sa fare benissimo una cosa: tirare da tre punti.
In un workout pre-Draft privato, organizzato dagli Heat, Robinson partecipò e lasciò di stucco uno degli assistenti di coach Spoelstra, segnando triple in serie. Dopo una stagione passata principalmente in G-league, quest’anno è stato aggregato agli Heat, impressionando da subito e meritandosi un posto da titolare in 30 partite su 35.
Le percentuali al tiro parlano chiaro. 45.6% da 3, quarto assoluto in NBA, con 7 tentativi a partita, e 48.3% in totale dal campo, che lo piazza tra i primi 40 della lega. Robinson non crea tiri dal palleggio, tuttavia è un ottimo scorer in situazioni di spot up, con 4.8 punti a partita, e in uscita dai blocchi (1.8). La sua pericolosità offensiva è confermata anche dall’Offensive Rating della squadra. Quando Robinson è in campo, il dato è 110.2, il secondo migliore dietro a Butler, mentre quando esce 106.0 – il secondo peggiore di squadra. Tradotto in prosa, Robinson permette di aprire il campo e togliere attenzioni principalmente a Butler e Adebayo i quali, di conseguenza, sono più liberi di colpire.
Il 10 dicembre contro Atlanta ha realizzato il career high – 34 punti – e in ben 19 partite ha concluso in doppia cifra di punti (segnandone più di 20 cinque volte). Tutto ciò ne fa un’arma micidiale nelle mani di Spoelstra, oltre che un ingranaggio fondamentale dei sorprendenti Heat di questo inizio stagione.
Dopo aver analizzato i giocatori che ben hanno impressionato, passiamo ora ad un esame di coloro che hanno sinora lasciato l’amaro in bocca.
Mike Conley
Ai box da circa un mese per un infortunio al bicipite femorale, Mike Conley non è comunque riuscito ad esprimersi ai livelli di Memphis nella prima parte di stagione disputata con i Jazz.
Le cause di tale involuzione sono probabilmente da ricercare nell’adattamento ad una situazione in cui non è più l’uomo franchigia. I perni di Utah sono certamente Mitchell e Gobert, con Ingles a recitare la parte del giocatore esperto. L’aggiunta di Bogdanovic ha inoltre aumentato il numero di bocche da fuoco nel team, ridimensionando pertanto in parte il ruolo di Conley.
Tuttavia, le percentuali del play fino al momento dell’infortunio parlavano chiaro. 36% dal campo, il dato più basso in carriera – sempre sopra il 40% di media, escluso il 2017-2018 dove però giocò solo 12 partite). Anche il numero medio di punti per gara è sceso fino a 13.6, il minimo dal 2011-2012. Le percentuali al tiro della squadra sono al 44% con Conley in campo, il dato più basso tra i giocatori di rotazione, mentre si alzano al 47,5% con Conley fuori (il peggiore tra i giocatori in rotazione).
Un’altra statistica aiuta a comprendere meglio l’involuzione del giocatore. Conley gioca una media di circa 8 pick’n’roll a partita, in linea con le ultime due stagioni in cui ha giocato (2016-2017 e 2018-2019). Tuttavia, le percentuali al tiro in tale situazione sono calate sensibilmente: 32,5%, con un 35,5% di percentuale dal campo effettiva (eFG%)*, mentre nelle due annate indicate viaggiava rispettivamente a 46,4/52,7 e 42,1/46,4.
Infine, gli Utah Jazz sembrano non essersi accorti dell’assenza di Conley. L’inserimento di Ingles in quintetto, ripristinando il core dello scorso anno, e l’aggiunta di Clarkson, che porta punti veloci dalla panchina, hanno fruttato 12 vittorie su 15 partite, compreso il successo in casa Clippers.
Al momento non si hanno certezze sul rientro dall’infortunio. Tuttavia, il Conley visto nelle passate stagioni potrà essere la chiave per rendere i Jazz una contender. In caso contrario, il play ex-Memphis potrebbe rappresentare addirittura un ostacolo sulla strada verso il successo.
Draymond Green
La scelta potrebbe essere discutibile, vista la condizione infortuni dei Warriors, tuttavia Draymond Green non sta rendendo secondo quanto ci si aspetterebbe. Le assenze di Curry e Thompson avrebbero dovuto rappresentare un ulteriore trampolino di lancio per l’ “Orso ballerino”, il quale tuttavia non ha saputo (o potuto) sfruttare la situazione.
Chi si immaginava un Green in tripla doppia ad ogni partita sarà rimasto deluso. Le statistiche sono tra le peggiori della carriera: 9 punti a partita in 29 minuti, che diventano 11.2 se proiettati su 36 minuti. La percentuale dal campo è calata al 40.1%, il dato peggiore dall’anno da rookie. La percentuale di tiro effettiva è crollata al 45.2%, anche questo dato più basso dopo la stagione da matricola, quando in quattro delle ultime cinque RS era sempre stata superiore al 50% – e in carriera viaggia con il 49% di media.
Ciò che contraddistingueva Green, tuttavia, erano le prestazioni difensive. Cinque volte nell’All Defensive Team, Defensive Player of the Year nel 2016-17, nella Top20 per stoppate a partita nel 2016-17 e nel 2017-18. E ancora, 101.2 il Defensive Rating in carriera, con quattro stagioni consecutive sotto quota 100 (dal 2013-14 al 2016-17).
In questa stagione, tuttavia, il suo impatto difensivo è alquanto impalpabile. Il Defensive Rating è crollato a 110.8, 0.7 le stoppate a partita che, se proiettate su 36 minuti, diventano 0.8, il peggior dato in carriera.
Guardando i valori di Offensive e Defensive Rating della squadra con o senza Green, si nota come essi siano sostanzialmente identici. Ciò lascia intendere come Green non tenda a fare la differenza – nelle scorse stagioni il gap tra dentro/fuori parquet era sostanziosa. Lo stesso dicasi per la media delle stoppate, che in questa RS rimane invariata con o senza Green in campo (2.7).
Questa breve analisi suggerisce come Draymond Green non sia un giocatore che riesce a fare la differenza in qualsiasi contesto e a trascinare i propri compagni, come LeBron James o Russell Westbrook, bensì abbia bisogno di un sistema – come lo era quello della dinastia Warriors – che ne esalti le caratteristiche. Se gli Splash Brothers tornassero già in questa stagione, probabilmente l’impatto dell’ ‘Orso ballerino’ potrebbe tornare a essere quello delle gloriose stagioni passate.
Al Horford
Nessuno avrebbe mai immaginato di inserire ‘Big Al’ nella sezione negativa di un’analisi. Eppure a Philadelphia non si è ancora visto il giocatore che aveva impressionato la NBA a Boston e Atlanta. La coesistenza con Embiid non è certamente semplice da sviluppare in poche partite. Tuttavia, anche quando il camerunese ha saltato qualche partita, Horford non è stato in grado di fornire l’apporto sperato.
E’ proprio in tali situazioni, anzi, che il centro dominicano dovrebbe emergere. Il suo acquisto in estate era stato fatto molto probabilmente anche nell’ottica di avere un’ottima riserva di Embiid, data la fragilità fisica di quest’ultimo. Se si vanno ad esaminare le partite senza il camerunese, si nota come Horford non riesca a sopperirne alla mancanza.
Lo stesso Horford ha recentemente dichiarato come non sia riuscito a “trovare il proprio ritmo in squadra” e come, a livello offensivo, sia molto limitato.
Osservando le statistiche, Horford è ai minimi in carriera per quanto riguarda i punti a partita – 12.3, solo nelle prime due stagioni ha segnato di meno. Anche le medie di rimbalzi e stoppate fanno registrare il dato più basso della carriera, rispettivamente 6.5 e 0.9.
Tuttavia, se tali statistiche possono essere ‘sfalsate’ dalla presenza di Embiid, Harris e Simmons, le percentuali al tiro evidenziano un momento di difficoltà. Il dominicano tira infatti con il 45.3%, peggior percentuale da quando è in NBA, influenzata anche dal fatto di dover tirare maggiormente da tre (4 tentativi a partita, contro i 3.2 di media delle ultime 4 stagioni). Tuttavia, anche l’eFG% è la più bassa dopo quella del rookie year, 51.3%, un netto calo se paragonata al 58.6% dell’ultima stagione e al 54.5% in carriera.
Ciò che sorprende, come già detto in precedenza, è la mancanza di un sostanzioso contributo nelle partite in cui Embiid è assente. Nella recente debacle contro Indiana, Horford ha tirato 2/12 dal campo, con -26 di Plus/Minus, 91.7 di Offensive Rating e 132.8 di Defensive Rating. Nella sconfitta contro Brooklyn ha il peggior Difensive Rating tra i titolari (116.4), tirando con un rivedibile 33.3% dal campo (0/6 da tre). In un’ulteriore sconfitta contro Orlando, il 13 novembre, Horford ha tirato 5/18 dal campo e 2/8 da tre.
Come detto in precedenza, il centro dominicano deve ancora trovare il ritmo giusto per rendere al meglio con i nuovi compagni. Tuttavia, anche alla luce del contratto da 109 milioni in quattro anni (97 garantiti), Philadelphia e i tifosi si aspettano ben altre prestazioni.
*eFG%: percentuale di tiri segnati dal campo moltiplicando il valore del tiro da 3 punti di 1,5 volte rispetto al tiro da due punti.
Nota: le statistiche, ove non diversamente indicato, sono attinte dal sito ufficiale NBA (stats.nba.com) e aggiornate al 4 gennaio 2020.
Una stagione molto interessante, grazie per l`articolo.
Grazie a te per il feedback