Torna Imola.
Nonostante la generale situazione pandemica abbia destabilizzato quelle che erano le normali abitudini, possiamo comunque dire che non tutto il male vien per nuocere, almeno per la Formula 1.
Abbiamo avuto la possibilità di assaporare la bellezza di alcuni circuiti, come il Mugello e Portimão, quest’ultimo teatro dell’ennesima vittoria di Lewis Hamilton, che lo lancia definitivamente nella leggenda, con 92 vittorie all’attivo, nuovo record di sempre nella categoria.
Ma il calendario inedito del 2020 ci offre anche il ritorno di due pezzi da novanta dell’ancien Formula 1: il Nürbürgring e, appunto, Imola.
Sicuramente il tracciato emiliano evoca ricordi molto forti, tendenti al drammatico. Il riferimento è chiaro: quel weekend del 1994 è stato senza discussione il momento più basso dal punto di vista umano e sportivo del circuito di Imola.
Talmente basso da mettere in discussione il tema sicurezza, tant’è che negli utilimi 20-30 anni è stato il fulcro di diatribe all’interno della Federazione, di cui il portavoce, da quella corsa funesta, fu il capo della FIA Bernie Ecclestone.
Imola, dopo quello stregato weekend, è stato il tracciato a rimetterci di più in termini di integrità.
Gli appassionati più giovani potranno facilmente notarlo confrontando le riprese dagli abitacoli delle monoposto.
Quella degli incidenti è sempre stata una variabile da tenere in considerazione. La storia lo ha dimostrato in più battute.
Ma per la maggior parte delle volte, sono stati due i punti a creare problemi di questo tipo ai piloti: le curve Tamburello e Villeneuve.
Entrambe sono state le principali accusate in termini di sicurezza, tanto che sono state modificate radicalmente dopo il ’94.
La prima era una curva ad ampio raggio che seguiva il breve rettifilo dei box, dove il piede destro del pilota era incollato all’asfalto. È stata sostituita attualmente dalla doppia variante che ne riprende il nome.
La seconda seguiva proprio quest’ultima, e finiva con il tornante Tosa (presente nel layout attuale).
Anche essa era una svolta che veniva affrontata praticamente in pieno, sostituita con l’omonima Variante Villeneuve.
Ma il maggior problema di queste due (e non solo) è dovuto al fatto che, nella configurazione originale, le barriere erano molto a ridosso della pista, e per di più non erano dotate di pile di pneumatici che potessero attutire il colpo in maniera sufficiente. Anche se probabilmente questo rimedio sarebbe stato comunque vano, vista la vicinanza delle barriere alle due curve, che venivano approcciate senza paura a tutta velocità.
È curioso il fatto del perché la curva dopo la Tamburello fosse stata denominata Villeneuve. E’ stato proprio Gilles a baciare quel muro nel lontano 1980 con la sua Ferrari. L’aviatore ne uscì indenne, manifestando subito dopo il botto la sua incolumità con un emblematico sbracciamento, a segnalare che in quel caso l’aveva passata liscia.
Ma altrettanto non accadde 14 anni dopo. Nella fase di qualificazione, Roland Ratzemberger, a bordo della Simtek, mentre si accingeva ad affrontare la medesima curva, ebbe un cedimento improvviso dell’ala anteriore, facendogli perdere deportanza. Poco da fare: andò dritto e impattò contro le barriere.
La dinamica non è mai stata chiara per mancanza di riprese televisive.
Quello che purtroppo in quel momento si poteva cogliere, era il destino scritto per il malcapitato pilota austriaco che, nonostante la forte resistenza della cellula di sicurezza, subì il brusco effetto della decelerazione con gravissimi danni al cranio.
Ayrton Senna fu uno dei primi a mobilitarsi per chiedere informazioni su tale tremendo accadimento. Avrebbe esposto in caso di vittoria o arrivo a podio la bandiera dell’austriaco per celebrarlo.
Avrebbe, purtroppo.
Stessa sorte toccò anche al tre volte campione del mondo, idolo delle grandi masse.
A lui il destino assegnò la curva precedente, con le telecamere che tragicamente avevano ripreso tutta la dinamica del botto, che fu talmente devastante che il rumore dell’impatto rimbombò tanto da essere udito dai telespettatori.
A causare il tutto fu il cedimento del piantone dello sterzo, mentre comandava la gara partendo dalla pole position, davanti al futuro campionissimo Michael Schumacher.
Quel cedimento diventò un caso così discusso che portò ad accuse pesanti pure all’allora ingegnere della Williams Adrian Newey.
Ma mettendo da parte questa controversia, fu proprio Senna che negli anni precedenti fece più volte richiesta di modificare la Tamburello arretrando le barriere, oggettivamente impossibile da attuare: dietro la curva scorreva un fiume.
Quel punto è diventato, pur nella sua accezione drammatica, un luogo di culto per gli appassionati che, negli anni a venire, gli hanno reso omaggio stendendo fiori e bandiere brasiliane.
Senna non è stato certo il primo a venire a contatto in maniera violenta con quella curva. Un altro tre volte campione del mondo, Nelson Piquet Sr, a bordo sempre della Williams, sbattè nelle prove libere e non gli fu consentito di partecipare alla corsa dell’edizione 1987. Un altro caso ancora, forse più conosciuto, fu quello di Gerhard Berger su Ferrari nel 1989. Al terzo giro perse il controllo e, oltre l’impatto violentissimo, a peggiorare la situazione fu l’incendio della vettura. Il ferrarista se la cavò miracolosamente con lievi ustioni grazie al coraggioso e tempestivo intervento dei commissari di pista.
Imola è la definizione di circuito vecchia scuola: se sbagli, paghi dazio.
Un tracciato che non ha mai guardato in faccia a nessuno, neanche a quello che per molti è stato il pilota più grande di sempre.
In memoria di Roland e Ayrton.
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