Nel 1982, quella di Imola non fu una corsa come le altre. Potremmo definirla l’esempio di ciò che dovrebbe evitare di fare una squadra di Formula 1 con ambizioni iridate. Utilizzando un gergo volgare, avere due galli nello stesso pollaio. Protagonista in quel caso fu la Ferrari con i suoi piloti, Gilles Villeneuve e Didier Pironi. Ma andiamo con ordine.
Antefatto
La Ferrari aveva bisogno di un riscatto dopo il deludente biennio precedente, sebbene non fosse mancata qualche piccola soddisfazione, come il memorabile trionfo di Villeneuve a Montecarlo nell’edizione del 1981. Un trionfo importante non soltanto per la prestazione espressa dal canadese, ma in quanto questa vittoria fu la prima della casa italiana con il motore turbocompresso.
Quello del 1982 doveva dunque essere l’anno della svolta, con l’obiettivo comune di riportare il titolo mondiale a Maranello. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il problema più grande non sarebbe stato tanto lo stato di forma della vettura, come negli anni precedenti, quanto il burrascoso rapporto venutosi a creare tra i due alfieri della Rossa.
Va premesso che quanto accadde assume senso soltanto facendo riferimento al fatto che il fulcro della controversia fu proprio Gilles. Arrivato in Ferrari nel 1977 con l’onere di sostituire il partente Niki Lauda, il canadese fu fondamentale nella vittoria iridata dell’ex compagno, e stretto amico, Jody Scheckter del 1979. Un mondiale che, a dire la verità, pure Gilles aveva tutte le carte in regola per vincere, se non fosse stato per una serie di noie meccaniche e qualche errore personale dettato dall’insopprimibile voglia di oltrepassare il limite (una peculiarità che senz’altro lo ha reso celebre nella storia della categoria regina).
L’episodio clou fu il Gran Premio di Monza, in cui rinunciò alla vittoria, che avrebbe legittimamente meritato, per lasciare strada a Scheckter, consegnando non solo l’iride al pilota sudafricano (con Villeneuve in teoria ancora in gioco tra l’altro, almeno matematicamente), ma anche consentendo di fatto alla Ferrari di conquistare il titolo costruttori. Insomma, una domenica che qualunque tifoso ferrarista sognerebbe di rivivere (specialmente in tempi odierni). Sembra superfluo rimarcare che, insieme alle altre innumerevoli gesta in pista dell’aviatore, questa cortesia da vero pilota-gentleman di altri tempi lo proiettò definitivamente nel cuore dei tifosi, diventandone l’idolo indiscusso, tant’è che si usava parlare di Febbre Villeneuve. Una cortesia che però lo stesso Villeneuve avrebbe avuto ragione di rivendicare nell’ipotesi di una nuova candidatura al titolo.
Dalla sua parte il canadese aveva sicuramente Enzo Ferrari. Per il Drake, Gilles rappresentò una vera e propria scommessa, e in moltissime occasioni ci mise la faccia nel difendere il canadese dalle feroci critiche degli addetti ai lavori, nonostante i primi tempi in cui non solo le sue prestazioni effettivamente non erano all’altezza, ma la sua condotta di guida era ritenuta piuttosto pericolosa per avversari in pista e addirittura per i tifosi presenti nell’autodromo (un riferimento non casuale al Gran Premio del Giappone del 1977, quando Gilles decollò letteralmente con la propria vettura al di fuori del tracciato dopo una collisione con la Tyrrell del compianto Ronnie Peterson, un incidente che portò pure alla morte di un fotografo e di un commissario di gara).
In tutto questo, che ruolo ebbe Pironi? Il pilota francese era approdato in Ferrari già l’anno precedente, disputando tuttavia una stagione nella quale si vide letteralmente sovrastato da Villeneuve in termini di risultati, rendendo palese il fatto che il pilota su cui la scuderia avrebbe puntato sarebbe stato proprio il canadese. Tra i due si era comunque creato un ottimo rapporto, anzi, una vera e propria amicizia. Un’amicizia che, però, si spezzò proprio ad Imola.
“Slow”
E siamo dunque all’alba della stagione 1982. Nonostante un inizio in sordina da parte della Ferrari, per via di ritiri o squalifiche (parliamo di quella a Long Beach, che negò la vittoria dell’Aviatore Villeneuve nel GP degli Stati Uniti), la F126 C2 risultava comunque essere la vettura che, alla lunga, si sarebbe dimostrata maggiormente competitiva rispetto alle altre.
Arrivò il momento del Gran Premio di San Marino, quarta tappa del mondiale. Le Ferrari non partivano davanti, ma potevano fare affidamento su un passo gara molto più prestante rispetto a quello delle vetture avversarie, tra cui le Renault pilotate da René Arnoux e Alain Prost. La scuderia francese monopolizzò la prima fila, con la Ferrari che si dovette accontentare della seconda, con un Villeneuve d’autore in terza posizione che rifilò oltre un secondo al compagno, posizionatosi quarto.
Più che la battaglia con le Renault, che nella prima metà di gara dovettero entrambe ritirarsi per problemi meccanici, a destare scalpore fu quello che successe dopo, con i ferraristi che a quel punto occupavano le prime due posizioni. In quel momento dietro le Ferrari c’era Alboreto, ma la sua Tyrrell pagava un distacco siderale, tanto da indurre gli ingegneri di pista ad esporre al passaggio delle vetture di Maranello sul rettilineo dei box un cartello con un segnale soltanto apparentemente eloquente: “slow”.
Questo fu il momento chiave della corsa. L’intento chiaramente era di invitare i ferraristi a procedere con un ritmo meno sostenuto per salvaguardare l’affidabilità, dato che ormai la vittoria era già in tasca. Ma il segnale esposto dei box non fu tuttavia così chiaro ai piloti, o meglio, a Pironi. Villeneuve, che secondo il passo che ebbe per tutto il weekend avrebbe vinto senza particolari preoccupazioni il Gran Premio, rallentò eseguendo l’ordine della scuderia. Ma Pironi non fece altrettanto. Anzi, andò a prendersi la testa della corsa, non solo contravvenendo all’ordine del team, ma andando addirittura a segnare giri veloci a ripetizione.
A quel punto fu chiaro che il pilota francese aveva in testa soltanto l’idea di cogliere la vittoria. Ma non finì certo qui, perché Gilles, da cavallo indomito qual era, non avrebbe certo accettato di veder vincere Didier in quella maniera poco elegante. Tanto bastò da ingaggiare un frenetico duello fatto di sorpassi e controsorpassi. Un duello che perdurò fino all’ultimo giro, con Pironi che arrivò a tagliare il traguardo per primo. Una doppietta era il massimo che la Ferrari potesse raccogliere. Una doppietta non felice però, perché la Ferrari avrebbe dovuto correre un’altra gara, forse ancora più dura, ma non in pista: calmare l’ira di Villeneuve.
“Un comportamento da bandito!”
Villeneuve commentò alla stampa: «Credevo di avere un amico, un onesto compagno di squadra, invece è un imbecille. L’unico vantaggio che ho avuto dalla lezione è che ora lo conosco bene. Potevo dargli due giri di distacco, ma avevo guidato con prudenza perché sapevo che alla Ferrari ci tenevano a portare tutte e due le macchine al traguardo. Tutto è iniziato quando Arnoux è stato costretto al ritiro. Ovviamente ho rallentato e Pironi ne ha subito approfittato per passarmi di sorpresa. Allora mi sono rifatto sotto e dopo due giri gli sono andato nuovamente davanti. Avrà capito, mi sono detto. Invece mi sbagliavo. Al box hanno esposto 11 cartelli “slow”, che significa andare piano. Avevamo un vantaggio incolmabile. Ma lui mi ha nuovamente attaccato. Lui spingeva, tirava al massimo. Avevo il timore di finire la benzina, cercavo di controllare la situazione. A ogni giro vedevo il cartello della Ferrari che indicava di non forzare. Didier mi passa ancora. Mi viene un nervoso incredibile. Allora forzo e, rischiando di finire fuori strada, gli vado davanti. Prima aveva frenato troppo presto, e quasi lo tamponavo. Poi non mi ha centrato per un millimetro. Il motore non rendeva al massimo ed alla fine me lo sono visto sfrecciare all’interno. Non credevo al miei occhi. Un comportamento da bandito!».
Da amico a bandito. Questa fu la fine del rapporto con Pironi, ma anche con la Ferrari. «Andate a cercarvi un altro pilota!», tuonò perentorio il canadese di ritorno al motorhome, che tanto aveva dedicato alla causa della Ferrari. Nei giorni successivi Enzo Ferrari tentò di placare un mare in tempesta, cercando di appoggiare Gilles, il quale ricevette pure la visita di Scheckter, venuto a rincuorare l’amico che gli aveva reso leggendaria la carriera, in un momento così delicato dal punto di vista non solo sportivo, ma umano. Gilles si sentiva tradito.
Due tragedie e un lieto fine
Questa situazione rappresentò il fondamento di vari rumors secondo i quali Villeneuve fosse intenzionato a passare alla Williams a partire dalla stagione successiva. Una stagione successiva che però non ci sarebbe mai stata.
La controversia di Imola non solo fu la base della rottura del rapporto tra Villeneuve e Pironi, ma divenne un triste e beffardo preludio di una delle più devastanti tragedie della storia della F1. Gilles Villeneuve avrebbe perso la vita durante le qualifiche del successivo weekend a Zolder, sede del Gran Premio del Belgio. Dopo aver fatto segnare il secondo posto, proprio dietro Pironi, avrebbe effettuato un ulteriore giro per ritornare ai box. Tuttavia, l’ombra dell’odiatissimo compagno si faceva sempre più grande, tanto da mettere fretta a Gilles nel ritorno ai box. Proprio nel giro di rientro si scontrò con la March di Jochen Mass, un contatto che portò la F126 C2 al decollo e a ripetuti e violenti schianti a terra, tanto da disintegrare l’abitacolo. A decretare la morte di Gilles sarebbe stato il fatto che le cinture di sicurezza non resistettero sufficientemente, così che il suo corpo fu letteralmente scaraventato dalla vettura tanto da finire oltre cinquanta metri dopo il luogo del decollo.
Una fine malvagia, inaccettabile, ma pur sempre parte del rischio del mestiere. Questa fu la triste fine di Gilles l’Aviatore, pilota simbolo di un’epoca, che attirò folle di sostenitori che, quell’8 maggio 1982, versarono fiumi di lacrime per la sua scomparsa.
La vicenda purtroppo non finisce qui, perché quell’alone di negatività creatosi a Imola si abbattè anche su Pironi. In una dinamica simile, nelle qualifiche del Gran Premio di Germania, fu vittima di un incidente così grave da spezzargli la carriera in F1.
Decise quindi di buttarsi su un altro sport motoristico ad alta velocità: la motonautica, passione che condivideva con Villeneuve. Il nuovo amore sportivo fu breve ed intenso, riuscì anche a vincere delle gare, ma il 23 agosto 1987 trovò la morte a soli 35 anni.
Un curioso aneddoto è legato alla prole del francese. A pochi mesi dalla scomparsa, la compagna diede alla luce due gemelli, che furono chiamati proprio Didier e Gilles.
Un lieto fine di una storia che, nella sua parabola, ha sicuramente tantissimo da insegnare.
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