Diventare il capitano della squadra della tua città a 27 anni rappresenta una grande responsabilità. Ma se ti chiami Lorenzo Insigne e la città in questione è Napoli, allora diventa un qualcosa di più. Ti ritrovi a rappresentare un popolo in giro per l’Italia e per l’Europa, gente che vive con passione viscerale tutto ciò che la riguarda, ed il calcio non fa di certo eccezione. In una stagione come questa, nel momento in cui si tirano le somme e ci si ritrova ad analizzare inevitabilmente cosa non è andato, le critiche – tra gli altri – colpiscono soprattutto anche chi per la maglia, la città e la causa in questi anni ha dato tutto, con la volontà di dare ancora il proprio contributo in futuro.
Il paradosso è esattamente questo: un’annata in cui la lotta Scudetto era già decisa a Dicembre ed il cammino in Europa si è interrotto contro squadre del calibro di Liverpool, PSG ed Arsenal, essere il capitano del Napoli può risultare ugualmente un peso enorme da sostenere. Si rischia di rimanere vittima di una piazza sempre più esigente, che dopo stagioni di buio totale ha ricominciato a sognare e desidera veder realizzati i propri sogni.
Il Magnifico aveva iniziato la stagione con una media gol decisamente superiore a quella a cui ci aveva abituato, complice un’organizzazione di gioco che lo avvicina di più alla porta, dove far valere le sue doti di finalizzatore. Un campionato mai realmente decollato per il Napoli – ben più lontano dal titolo rispetto all’anno scorso, pur mantenendo la stessa posizione in classifica – ha oscurato agli occhi dei più la maturità raggiunta da Insigne, che con l’aiuto di Ancelotti è riuscito a crescere anche in termini di intesa con il suo partner d’attacco Milik e di personalità nelle scelte prese in campo. L’eccesso di quest’ultima, però, lo ha portato alla cronaca come protagonista negativo dello scontro diretto contro l’Inter, in cui ha rimediato un rosso diretto nella bagarre dei cori razzisti a Koulibaly, oltre che una pesante sconfitta dopo una prestazione tutt’altro che esaltante.
La tendenza a sparire nei match che contano è un’etichetta difficile da scollarsi di dosso, anche per un ragazzo che in Champions ha consacrato con un gol una prestazione collettiva di altissimo livello contro il Liverpool. Nonostante ciò, la qualificazione non è arrivata e l’ambiente ne ha risentito, riversando tutto il proprio disappunto sugli spalti e nella ricerca dei colpevoli.
Non bisogna dunque meravigliarsi se a stagione finita, in un match contro il quasi salvo Cagliari, quel pallone del 2-1 da posizionare sul dischetto pesasse lo stesso come un macigno, se la rabbia dimostrata in quell’esultanza sembri quasi un’eccesso: Lorenzo è nientemeno che un ragazzo innamorato, che soffre le sconfitte come un tifoso e in egual modo celebra le vittorie. E che in un ambiente come Napoli, dove nulla è scontato e tutto è ingigantito, sa che non esiste un altro modo per scacciare il peso delle pressioni e delle critiche, se non dimostrare il proprio amore.
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