Ecclettico, geniale, innovativo, Silvio Berlusconi è stato per anni il “Dio del calcio”. Padre padrone del mondo del pallone per quasi tre decenni, l’imprenditore di Arcore ha portato una ventata d’aria fresca all’inizio degli Anni ’80 rivoluzionando non solo il Milan, ma l’intero settore creando un netto legame fra comunicazione e sport. Per tornare alle origini di questo sodalizio vincente non basta fermarsi all’acquisto dei rossoneri nel 1986, ma addirittura al 1981 con la nascita del Mundialito per Club.
La nascita del Mundialito firmata Silvio Berlusconi
Per coloro che sono nati dopo il 1970 questa competizione dice probabilmente nulla, eppure rappresenta una pietra miliare del calcio moderno, sempre più legati agli interessi economici dei club e ai diritti televisivi rispetto al potere romantico del gioco. Una “genialata” puntualmente architettata dall’allora proprietario di Fininvest che, dopo aver strappato alla Rai i diritti per la messa in onda della competizione per nazionali andata in scena in Uruguay, decise di riproporre a Milano la medesima formula.
Nota anche come “Coppa Super Clubs” o “Coppa Supermondiale Clubs”, la manifestazione era riposta letteralmente nelle mani di Berlusconi, futuro premier che, attraverso la sua agenzia di comunicazione, puntò a dare vita a una sfida fra le detentrici di almeno una Coppa Intercontinentale portando alla “Scala del Calcio” i principali campioni del momento, destinati a diventare i padroni della sfera di cuoio. A corredo di tutto ciò vi era ovviamente la risonanza mediatica che poteva offrire a Canale 5, unica emittente autorizzata a trasmettere le partite togliendo di mezzo la Rai per la prima volta nella storia della televisione italiana.
Fiutando l’affare, Berlusconi lanciò alcuni mesi prima l’iniziativa chiamando come telecronista la voce più famosa del calcio italiano, Niccolò Carosio, e mandando in onda in diretta la trasmissione dei match in Piemonte e Liguria lasciando la differita alle altre regioni. Ad esser invitati furono i club vincitori del più trofeo più ambito del globo come il Penarol Montevideo di Cubilla, il Santos di Clerici, l’Inter di Bersellini, gli olandesi del Feyenoord e il Milan padrone di casa, appena tornato in Serie A dopo la tragica esperienza in cadetteria e deciso a schierare un asso del pallone come Johan Cruijff.
Cruijff e il mancato passaggio al Milan
Una mossa di marketing incredibile che diede lustro sia al futuro presidente del Milan che allo stesso Diavolo che accolse in pompa magna il fuoriclasse olandese, atteso a Milanello dal vicepresidente Gianni Rivera, dopo aver trascorso una stagione negli USA con la maglia degli Washington Diplomats. Quasi ad anticipare quanto compiuto nel millennio successivo da David Beckham, Crujiff scese in campo nel match inaugurale con il Feyenoord richiamando trentamila tifosi a San Siro giunti nella serata del 16 giugno per vedere le giocate del “Pelè Bianco” con l’obiettivo di testarsi in vista del trasferimento ufficiale nella squadra meneghina.
Le attese vennero purtroppo deluse con la stella olandese che apparve sorprendentemente spenta, destinata a giocare soltanto pochi palloni in uno scialbo 0-0, tanto da subire la sostituzione con Francesco Romano dopo soli 45 minuti di gioco. Una notizia che fece clamore tant’è che qualche giorno dopo il Guerin Sportivo intitolerà il proprio numero con “Gli Dei se ne vanno”. L’ex fuoriclasse di Ajax e Barcellona rimarrà per sempre grato al Milan, tanto da pronunciare le seguenti parole in occasione dell’addio da Milano:
“Sono grato al Milan di avermi fatto vestire la sua gloriosa maglia. Per me è stato un grande onore che porterò con me per tutta la vita“.
L’Inter di Bersellini e il sogno brasiliano di Beccalossi
In quella calda estate del 1981 non c’era spazio tanto per il romanticismo, quanto piuttosto per la solidità del “sergente di ferro” Eugenio Bersellini che, nonostante un Inter rimaneggiata e ancora alle prese con la sconfitta in semifinale di Coppa dei Campioni con il Real Madrid, si dimostrò una squadra ostica e rocciosa.
I prodromi di una cavalcata vincente arrivarono già dalla prima giornata con il Penarol, costretto al pareggio con Ortiz dopo il vantaggio di “Spillo” Altobelli, ma il meglio arrivò con il Feyenoord quando salì in cattedra Evaristo Beccalossi, confermandosi il leader di quella squadra mettendo a segno il primo gol seguito a ruota da Bini.
La vittoria decisiva arrivò però contro il Santos allenato da Sergio Clerici, ex giocatore di Lazio, Bologna e Fiorentina, spazzato via dalla furia nerazzurra in grado di andare in rete con Bini, Oriali, Altobelli e Muraro in un 4-0 senza storia. Non restava altro che affrontare nell’ultimo match il Milan in un derby sulla carta decisamente squilibrato, ma sorprendentemente agguerrito. I rossoneri trovarono infatti la via del gol dopo un quarto d’ora con Vincenzi, sfruttando in seguito la forza della difesa guidata dal “Kaiser” Franco Baresi. Alcune disattenzioni nella ripresa riaprirono il match a favore dell’Inter che superò Piotti per due volte con Altobelli e con Oriali per un 3-1 finale.
Gli uomini di Bersellini poterono quindi alzare al cielo il premio realizzato da Giò Pomodoro, ma soprattutto le magie di Beccalossi che ipnotizzarono i brasiliani del Santos definendolo
“L’unico in grado, in Italia, di poter indossare la maglia numero 10 che fu di Pelè”.
L’attaccante bresciano venne cercato da diverse squadre sudamericane, ma non se ne fece mai nulla lasciando letteralmente un velo di mistero sul Mundialito. Competizione che vivrà ancora due edizioni negli anni dispari sino al 1987, quando ormai Silvio Berlusconi era diventato sinonimo di Milan.
Comments