Pechino, Repubblica Popolare Cinese. Venerdì 22 agosto 2008, 7 e 30 del mattino. Il sole sta sorgendo e inizia a fare capolino in un cielo ancora plumbeo. A dirla tutta, Pechino è avvolta da una coltre di foschia: nebbia, tempeste di sabbia e inquinamento l’hanno fatta e la stanno facendo da padroni.
Qui in Europa, settembre è lì, in agguato, ma l’estate è ancora viva. E tra un tè freddo e una birra ghiacciata, televisioni e radio sono sintonizzate sulla celebrazione della XXIX Olimpiade estiva, che si sta svolgendo dall’altra parte del mondo, proprio all’ombra della millenaria Grande Muraglia.
Aperti dall’allora capo di stato Hu Jintao, Pechino 2008 sono soprattutto i Giochi dell’unico trionfo a cinque cerchi di un’ancora giovanissima Federica Pellegrini, già Divina seppur poco più che ventenne. In terra cinese, si affermano anche la boxe di Roberto Cammarelle e la lotta greco-romana di Andrea Minguzzi. Valentina Vezzali si mette al collo il quinto oro olimpico della sua ricca carriera mentre Matteo Tagliariol vince meritatamente la finale della spada. Giulia Quintavalle conquista la gloria eterna nel judo, così come Chiara Cainero nel tiro a volo, imponendosi su una monumentale Kimberly Rhode.
Le affermazioni nello sport danno un po’ di sollievo da quelli che sono anni pesanti, soprattutto dal punto di vista economico. Ad Atene stanno ancora curando le ferite provocate dalle folli spese sostenute per l’organizzazione delle Olimpiadi del 2004 mentre da Oltreoceano arrivano inesorabili le conseguenze della “Grande Recessione”. Una crisi economica estesasi a livello globale nel giro di pochi mesi, un po’ come avvenuto col “giovedì nero” della Grande Depressione del ‘29. In questo caso, nell’occhio del ciclone finiscono i cosiddetti mutui subprime, vale a dire finanziamenti concessi a soggetti che obiettivamente non possono permettersi un’operazione di questo genere, provocando così uno schizofrenico aumento dei prezzi nel mercato immobiliare e le inevitabili ripercussioni sulla vita delle banche. Il fallimento di un colosso come la Lehman Brothers, in questo senso, è alquanto emblematico.
Mentre la Striscia di Gaza continua a essere il campo di un conflitto che forse mai si risolverà, gli italiani fanno la fila fuori dai negozi per accaparrarsi il primo iPhone, un vero e proprio gioiello della tecnologia. Da lì in poi, quello che era sempre stato il simbolo del peccato originale di Adamo ed Eva è diventato quello della tentazione di tutti e ostentazione di uno status symbol.
Nei cinema italiani si ride con i tre bizzarri personaggi di “Grande, grosso e… Verdone” mentre Hollywood si inchina ai fratelli Joel e Ethan Coen, usciti nelle sale con “Non è un paese per vecchi”. Musicalmente, invece, Sanremo non è certamente in uno dei suoi punti più alti: all’Ariston, vince il “Colpo di fulmine” cantato dalla coppia formata da Giò Di Tonno e dall’attrice Lola Ponce.
Il 22 agosto, a Pechino, 59 atleti si sono alzati molto prima che il gallo canti. Di lì a poco, piuttosto, i telecronisti di tutto il mondo accenderanno i loro microfoni, pronti a raccontare la 50 km di marcia, la prova più lunga dell’atletica; forse la più estenuante e sfiancante del panorama degli sport olimpici. La marcia, effettivamente, racchiude in sé una natura così semplice eppure così paradossale. La marcia è una camminata. È una gara ma non è corsa. È quel semplicissimo gesto che facciamo tutti giorni, portato al limite; limite oltre il quale si sblocca il ginocchio e si va in sospensione, arrivando alla corsa.
Sandro Damilano, un Re Mida in tuta, fautore anche del bronzo di Elisa Rigaudo, dice che la marcia comincia proprio laddove la corsa finisce. E se, quindi, la corsa finisce sui 42 km e 195 metri della maratona, la quintessenza della marcia sta proprio nell’arrivare oltre, fino ai fatidici 50 km.
Sono le 7 e 30. È prestissimo, soprattutto per chi magari in quei giorni è in ferie. Lo Stadio Olimpico pechinese è ancora vuoto ma il Nido d’uccello, all’arrivo, tra poco più di tre ore e mezza, non avrà un seggiolino libero…
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