L’Alessandria è spesso considerata alla stregua di una delle “nobili decadute” del calcio italiano.
Un’accezione che ha tanto il sapore di malinconia, ma che non spiega appieno la storia di una squadra che ha lanciato campioni come Gianni Rivera e che soprattutto ha sfiorato il titolo nazionale nella massima serie. Ebbene sì, perchè per quanto possa sembrare assurdo, l’Alessandria è arrivata a un passo dal vincere nello scudetto nella stagione 1927-1928 perso in maniera “tragicomica” come spesso è capitato nella storia del calcio nostrano.
Per ripercorrere al meglio questa strana vicenda è necessario fare un passo indietro e soprattutto conoscere il suo allenatore, Carlo Carcano, centromediano particolarmente carismatico legato a doppia mandata ai grigio-verdi complice la sua esperienza da giocatore che lo aveva condotto addirittura a vestire la maglia della Nazionale. Un carattere carismatico che gli consentì di fare immediatamente carriera in panchina tanto da sfiorare la promozione in A con la Valenzana prima di giungere all’Internaples e far definitivamente ritorno in riva al Taro.
Un uomo capace di notare per le strade d’Alessandria un ragazzo in grado di palleggiare con grande maestria e destinato a far carriera a partire dalla stagione 1923-24: il suo nome sarà destinato a scalare per due volte il tetto del mondo ed è quello di Giovanni Ferrari. Con l’ “Asso della Cannarola“ al proprio fianco, Carcano riuscì gradualmente a costruire una squadra eccellente guidata dalle geometrie di Giuseppe Gandini e dalla rapidità di Luigi Bertolini a supporto di Ferrari.
Un secondo elemento da tener in considerazione è il campo dove i piemontesi giocavano, il “Campo degli Orti” noto anche come “Pollaio”. Ricavata nell’omonimo quartiere con l’obiettivo di offrire un vero centro sportivo alla squadra locale dopo aver utilizzato prima la Piazza d’Armi Vecchia e poi un rettangolo di gioco costruito da prigionieri austriaci durante la Prima Guerra Mondiale nell’area dell’attuale campo d’aviazione, la struttura venne inaugurata ufficialmente nella quarta giornata del campionato di Prima Categoria 1919-1920 con tanto di lancio della classica bottiglia di champagne contro uno dei pali da parte della madrina, la figlia del vicepresidente Carla Poggio Dell’Amore.
Come dimostrato dalla prima sfida vinta con il Valenzana per 6-0, il campo divenne un vero e proprio fortino inespugnabile per l’Alessandria che per anni ottenne in casa i risultati più di spicco. Il tutto per via del terreno umido e scivoloso tanto da renderlo noto come “La fabbrica del fango” così come la vicinanza delle tribune che creavano timore negli avversari noti come “polli da spennare” all’interno del temibile “pollaio”.
Quel rettangolo “verde” divenne la patria della cavalcata dell’Alessandria nel girone A della Divisione Nazionale 1927-28 che vide i grigio-verdi affrontare alcune delle corazzate del calcio dell’epoca come Torino, Genoa e Milan accompagnate da future protagoniste della sfera di cuoio come Napoli e Lazio. Senza alcun timore reverenziale, gli uomini di Carcano inflissero fra le mura amiche lezioni di calcio ad alcune di esse fra cui spiccano i granata, superati per 3-1 grazie alle reti di Gandini, Ferrari e Renato Cattaneo, e il Grifone, sconfitto per 4-0 dai gol di Ferrari, Elvio Banchero, Gandini e Andrea Viviano. Complice le difficoltà patite in trasferta, l’Alessandria fu costretta ad accontentarsi del terzo posto finale e dell’accesso così al girone finale a otto con tutte le pretendenti al titolo, dall’Inter al Bologna passando per i “cugini” della Juventus.
Capaci di realizzare un vero e proprio capolavoro all’andata (macchiato soltanto dalle sconfitte con le milanesi, in particolare il 4-3 con l’Inter frutto di sette minuti di sbandamento), Ferrari e compagni patirono una parziale flessione al ritorno sia a causa dei vari infortuni che i vari Armando Lauro, Bertolini e Cattaneo; sia a causa del famigerato derby con il Casale andato in scena il 1o luglio 1928 a Casale Monferrato. Da una parte si trovava l’Alessandria, seconda in classifica a soli quattro punti dal Torino capolista e lanciata verso il titolo, dall’altra i nero-stellati ultimi nella graduatoria e sconfitti al “Campo degli Orti” con un secco 5-1 senza appello. Tutti i presupposti sembravano esser a favore degli ospiti, tuttavia un completo black-out portò regalò al Casale una roboante affermazione frutto di una sospetta prestazione dell’esperto Mario Curti, trafitto per cinque volte nei novanta minuti. L’estremo difensore venne prontamente messo sotto accusa complice un atteggiamento a dir poco “remissivo”, quasi al limite di una possibile combina, ma nessuna inchiesta venne attivata anche perché la Federazione preferì evitare ulteriori scandali dopo il “caso Allemandi” dell’anno prima.
Inutile divenne quindi il successo con il Torino due settimane dopo al “Filadelfia” a cui bastò all’ultima giornata pareggiare con il Milan per festeggiare lo scudetto mentre all’Alessandria sfuggiva anche il secondo posto a favore del Genoa con cui si trovava a pareggiare. Questo rappresentò la fine di una favola per i piemontesi che non riuscirono più a ripetere l’exploit nel corso della propria storia, ma soprattutto furono costretti a cedere la maggior parte dei propri talenti alla Juventus facendo la fortuna della Nazionale.
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