“Il calcio non è sport olimpico, non lo guarderò”. Si esprime così l’ex Pallone d’Oro, nonché l’ex Presidente UEFA, Michel Platini sul calcio alle Olimpiadi. Nonostante il commento sia severo e crudele, lascia comunque spazio a qualche spunto di riflessione sull’approccio del mondo del calcio ai Giochi Olimpici. Spinge inoltre a domandarsi i motivi per cui l’ex Presidente di una delle principali organizzazioni del panorama calcistico debba emettere una sentenza così grave.
Il poco appeal del calcio ai Giochi Olimpici
Per quanto le parole di Michel Platini possano sembrare spinte, gli amanti del gioco del calcio la pensano esattamente come lui. Il calcio, ovvero lo sport più amato, seguito e giocato al mondo, non trova una sua collocazione e identità nella manifestazione sportiva più importante. E la domanda che sorge spontanea è: perché? I motivi principali sono due, dettati da componenti diverse. Il primo riguarda la bassa qualità tecnica dei giocatori convocati, mentre la seconda coinvolge la psiche umana e la natura sociale-culturale dell’uomo.
La carenza di qualità tecnica alle Olimpiadi
Il torneo di calcio ai Giochi Olimpici si è sempre disputato con due eccezioni, nel 1896 e nel 1932. Ma già nel 1912 il CIO (Comitato Olimpico Nazionale) aveva espresso dei dubbi, ritenendo che il gioco avesse perso la sua purezza. Inoltre, la nascita del Mondiale FIFA nel 1930 contribuì ad accantonare il calcio alle Olimpiadi. Infatti, fin da subito la decisione, che durò fino al 1980, fu quella di escludere i professionisti. Dall’edizione successiva iniziarono a partecipare anche i professionisti, ma solo quelli che non avevano giocato nelle qualificazioni o nelle fasi finali del Mondiale. Le ultime modifiche avvennero circa trent’anni fa. Nel 1992 il CIO e la FIFA permisero la convocazione di soli calciatori Under 23. Quattro anni dopo, fu introdotta la possibilità di chiamare tre fuoriquota, cioè giocatori over 23.
A causa di questi regolamenti, il torneo olimpico maschile non ha mai ottenuto la stessa attenzione di altri tornei internazionali come Europei e Mondiali. Nel calcio, a differenza di tutti gli altri sport, vincere la medaglia d’oro olimpica non è il sogno nel cassetto di ogni bambino. Però, ci sono state alcune eccezioni. Nel 2016, Neymar decise di contribuire alla vittoria olimpica per aiutare il Brasile a conquistare il titolo di campione olimpico per la prima volta nella sua storia.
A far da contraltare al torneo maschile c’è quello femminile. I CT non hanno nessuna limitazione di età e possono convocare le migliori giocatrici. Perciò, le Olimpiadi femminili vengono considerate un evento prestigioso, secondo solo al Mondiale. La favorita di questa edizione è la Spagna di Putellas, ma gli occhi di tutti saranno sul Brasile di Marta. La frase di Platini “Il calcio non è sport olimpico, non lo guarderò” non si applica per il mondo femminile.
Embed from Getty ImagesLa natura umana
Il secondo motivo per cui il calcio non spopola alle Olimpiadi riguarda la natura umana. La scienza dimostra che la nostra capacità di attenzione è diminuita nel tempo. Cerchiamo costantemente nuovi stimoli e interessi, dalle relazioni sociali al lavoro, dalle abitudini alimentari agli hobby, e anche nello sport. Il calcio è di gran lunga lo sport più popolare al mondo e ne sentiamo parlare 365 giorni all’anno. Durante le Olimpiadi, però, gli appassionati cercano nuovi sport, in grado di offrire emozioni e sensazioni diverse.
Durante le Olimpiadi sorge anche un altro aspetto della nostra psiche, ovvero il patriottismo. Quanti italiani negli ultimi mesi hanno iniziato a nominare Jannik Sinner per le sue numerose vittorie? Tantissimi, e questo meccanismo si applica anche per le Olimpiadi. Lo spettatore guarda qualsiasi sport, anche se non ne è realmente appassionato, perché un atleta della propria nazione gareggia e può puntare alla vittoria della medaglia olimpica. L’atleta, nel caso dovesse vincere, non raggiunge solo una soddisfazione personale, ma offre valore allo spettatore che si identifica in quella vittoria grazie alla comune cittadinanza. Infatti, dopo una vittoria, che sia sport di squadra o individuale, si usa sempre la prima persona plurale come soggetto, ovvero noi. Noi abbiamo vinto, non l’atleta ha vinto. Questa caratteristica umana, aggiunta alle limitazioni regolamentari sopracitate, causa un ulteriore disinteressamento al torneo olimpico di calcio.
Embed from Getty ImagesImmagine in evidenza: © paris2024, Instagram
Comments