La settimana che sta per concludersi ha assunto più volte le sembianze di un girone infernale per l’universo sportivo italiano. Vari gli scandali venuti alla luce e molte le notizie che hanno scosso le coscienze di chi come noi vive a braccetto con lo sport. Una notizia ha però destato maggiore scalpore delle altre. Lunedì 16 ottobre il presidente del Comitato Olimpico Nazionale Giovanni Malagò ha ufficializzato la cancellazione di ogni progetto relativo alla costruzione di un budello a Cortina d’Ampezzo.
Dunque il bob, lo slittino e lo skeleton alle Olimpiadi Invernali del 2026 non avranno dimora nella mondana località dolomitica. Un bel grattacapo per tutte le entità politiche in ballo. Una mastodontica tegola sulle sorti di un evento che avrebbe dovuto rivitalizzare il tessuto economico e sportivo di un intero quadrante della penisola.
Milano Cortina Torino 2026
Quella delle Olimpiadi invernali del 2026 è una storia nata e delineatasi, per assurdo, fra afa di stagione e strani caldi autunnali. Era il luglio 2018, quando sotto gli ombrelloni o dentro qualche tenda fra i verdi prati alpini gli appassionati ricevettero una buona nuova. Le municipalità di Milano, Cortina e Torino si sarebbero unite in una candidatura a tre per i XXV Giochi Olimpici Invernali. “Unione” ed “opportunità” furono le parole chiave di quei giorni.
“La possibilità è quella di una candidatura congiunta con le tre città per far sì che ci sia una vera candidatura del paese, una candidatura italiana”
Giovanni Malagò
Come in ogni canovaccio di qualche poco iconico contemporaneo film italiano i primi dissidi non si fecero attendere. Milano e Torino si sarebbero ben presto cominciate a litigare il ruolo di “città fulcro” dell’ipotetico evento. Da una parte la dinamicità meneghina e dall’altra il già rodato “ufficio” olimpico sabaudo. Una situazione non tollerabile dall’allora neo esecutivo Conte I. Il 18 settembre 2018 il sottosegretario, con delega allo sport, alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti pose definitivamente una pietra sulle speranze olimpiche italiane. Dopo le candidature di Roma per le edizioni estive del 2020 e del 2024, anche i Giochi Invernali del 2026 sarebbero stati destinati a divenire un mero miraggio per gli italiani.
Più che l’organizzazione dei Giochi, quella in ballo fra Piemonte, Lombardia e Veneto parve da subito una lotta, forse fratricida e del tutto discutibile, in nome di un’ipotetica supremazia territoriale. Le tre grandi motrici del “ricco e produttivo” nord alla ricerca di un evento che ne ribadisse il proprio status. Ovviamente fra le righe si sarebbe celato uno scontro del tutto istituzionale sorto sulle ceneri di un’elezione, quella del marzo 2018, che stravolse l’organigramma politico italiano.
Altro giro, altra corsa
La catena sposa un nuovo dente e la ruota gira. In un nonnulla le giunte regionali di Veneto e Lombardia, accumunate dalla medesima provenienza politica, paventarono la possibilità di una candidatura congiunta. Questa volta però a due, Milano e Cortina d’Ampezzo. Da una parte la città reduce dall’Expo 2015, evento le cui conseguenze sul tessuto meneghino sono tutt’ora fonte di discussione, mentre dall’altra una località già ben legata alle dinamiche olimpiche. Nel 1954 Cortina ospitò infatti i VII Giochi Olimpici Invernali, il primo grande evento sportivo a godere di copertura televisiva sul suolo italiano.
Quelli del ’54 non furono in realtà gli unici Giochi olimpici a cui Cortina si vide accostata. Nel 1939 battendo la concorrenza di Oslo e Montrèal il regime fascista riuscì ad accaparrarsi le Olimpiadi Invernali del 1944. Un evento organizzato a Cortina di cui il fascismo si sarebbe voluto valere a scopi propagandistici. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale ovviamente ne precluse ogni possibilità di svolgimento.
Se i fondi li trovano loro, e se la spesa è limitata, perché no a Olimpiadi organizzate da Veneto e Lombardia?
Matteo Salvini
Con tali parole dell’allora vicepremier Matteo Salvini la candidatura di Milano Cortina ricevette il suffragio governativo. Ovvio, non furono di buon auspicio. Si sarebbe prospettata una soluzione al ribasso, senza grandi sforzi statali. Un’Olimpiade in mano ad enti locali e agli investimenti privati. Un rischio gigantesco. Con tale diapositiva si giunse al 24 giugno 2019, giorno in cui a Losanna si tenne la 134esima sessione del Comitato Olimpico Internazionale. L’ora del verdetto.
A Milano e Cortina si sarebbero contrapposte Stoccolma e Åre. Con uno scarto di soli 13 voti venne premiata la candidatura italiana. Dopo venti anni esatti dalle Olimpiadi Invernali di Torino una manifestazione sportiva di tal portata sarebbe tornata in Italia.
Milano-Cortina 2026
Se questi furono i primordi, come si sarebbe potuto pretendere che la tela potesse esser tessuta senza fastidiosi nodi o grinze? Il giorno dopo la definitiva assegnazione ben si comprese quali fossero le intenzioni del comitato organizzatore. Evitare spese folli concentrandosi sullo sfruttamento delle infrastrutture già esistenti nelle culle alpine degli sport della neve. La scelta delle località fu facilmente comprensibile.
La Val di Fiemme con i trampolini di Predazzo e lo stadio del fondo di Tesero. Entrambe strutture sorte in occasione dei campionati di sci nordico del 1991 e sede di ben altre due manifestazioni mondiali. Anterselva e la propria Arena Alto Adige. La casa del biathlon azzurro ed elemento portante del movimento internazionale. Ed ancora le rodate Livigno e Bormio. Per gli sport “al chiuso” la scelta inesorabilmente cadde sul Forum d’Assago per il pattinaggio di figura e lo short track, sulle già attive strutture di FieraMilano per il pattinaggio di velocità e le partite minori di hockey e sullo Stadio Olimpico del ghiaccio di Cortina per il Curling. Anche le Cerimonie di apertura e chiusura avrebbero goduto di strutture già pronte e prive di ogni qualsivoglia esigenza di ristrutturazione o corposo investimento. Lo stadio San Siro e l‘Arena di Verona.
Due soli progetti avrebbero dovuto veder luce. Quello del Palaitalia di Milano, destinato all’hockey, e il nuovo budello di Cortina per il bob, lo slittino e lo skeleton. Per le Olimpiadi di Milano Cortina dunque solamente l’8% delle infrastrutture necessarie sarebbe stato edificato ex novo. Un’olimpiade delocalizzata in nome del risparmio, della riqualificazione, e forse ci piace pensare, della sostenibilità. Evitare nuove strutture laddove già esistenti avrebbe permesso di salvaguardare l’ambiente e le dinamiche sociali locali.
Il Paesaggio e il budello di Cortina
Prima di provare a divincolarci fra le astruse dinamiche che hanno posto fine al sogno di un nuovo tracciato del ghiaccio a Cortina concentriamoci sul tema ambientale. La costruzione di nuove strutture, economiche e no che siano, modifica inevitabilmente il paesaggio di un luogo e questa è una conseguenza di facile intuizione.
“Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni;
Punti A dell’articolo 1 della Convenzione europea del Paesaggio – Firenze 2000
Il paesaggio è dunque elemento di appartenenza ed identificazione per una popolazione. Fin troppo nel corso dell’ultimo secolo si è agito sull’ambiente abbandonando ogni qualsivoglia parvenza d’attenzione alla questione. Con la maggiore sensibilità che contraddistingue le giovani generazioni odierne e la classe istituzionale europea il tema non può esser divisivo. Dove si sarebbe posto l’ipotetico nuovo budello di Cortina in tal senso? Quale sentimento avrebbe prodotto nella gente del luogo?
Quello di Cortina e delle Dolomiti è un ambiente unico, troppo spesso però cannibalizzato in nome di istanze private o no di profitto. In tal contesto la costruzione di una nuova mastodontica struttura, in sostituzione dell’ormai abbandonata Pista olimpica Eugenio Monti, che tipo di reazione avrebbe potuto produrre? Difficile da stabilire senza riscontri locali. Quel che appare evidente è la relativa importanza dello sport nella località veneta. Non è infatti lo sport il fulcro del tessuto economico/sociale locale e questo è sicuramente un elemento di influenza per la popolazione locale.
Alea iacta est (il dado è tratto)
La pista da bob, slittino e skeleton di Cortina non si farà. Quella che fu la culla della discesa “su slitta” rimarrà priva di ogni qualsivoglia traccia dell’esistenza delle discipline. Non esiste una singola causa e un singolo colpevole. La politica nazionale si è divertita ad affibbiare colpe e responsabilità agli enti locali e al Coni, mentre parimenti chi fattivamente ha occupato ed occupa un ruolo organizzativo rilevante ha derubricato le proprie responsabilità guardando ai vari esecutivi come capri espiatori.
Per noi umili autori di Vita Sportiva è anche complicato poter ragionare su temi del genere. La politica ha fallito, le gare sono andate deserte e nessun privato ha deciso di scommettere su una struttura i cui costi sarebbero stati importanti. La paura di ripetere gli errori di Cesana Torinese ha fatto il resto. Le Olimpiadi, la cui nascita fu burrascosa, paiono destinate a far discutere e a lasciare strascichi. Non tutte le colpe però sono rintracciabili negli organi proposti. La pandemia, il conflitto in Ucraina e la conseguente inflazione hanno dilapidato le fragili fondamenta con cui il progetto Milano Cortina venne eretto.
La mancanza di dialogo fra le parti in ballo è forse una conseguenza o una concausa. Certo pare che l’instabilità dei governi non abbia aiutato. Dall’assegnazione nel 2019 ben 4 esecutivi di matrice differente si sono susseguiti. Un pastrocchio italiano alimentato dalle solite mancanze comunicative.
La non costruzione di un budello in quel di Cortina sarebbe potuto esser un degno manifesto di quell’anima sostenibile che pare essere elemento fondante della manifestazione. Eppure si è deciso di tergiversare ed attendere dinanzi ad una situazione il cui epilogo appariva già scontato.
Purtroppo non tutti gli sport, per quanto affascinanti, sono sostenibili, dal punto di vista economico e da quello ambientale. Non tutti gli sport hanno un bacino tale da giustificare investimenti così cospicui. Non tutti gli sport possono avere una declinazione “amatoriale” o alternativa che aiuti a non rendere le strutture mere fabbriche di debiti. Dispiace asserirlo, ma senza degni investimenti che possano consentire a tali discipline (bob, skeleton, slittino) di abbandonare il proprio status di “sport di estrema nicchia”, un investimento di tal portata rischierebbe d’esser lanciato in un gelido mare. Quello di Cesana fu un banale caso.
Non avremo un budello a Cortina e non riporteremo alla luce quello di Cesana.
Un pensiero va agli atleti e ai tecnici a cui tanto avrebbe giovato avere una pista italiana da poter sfruttare. Purtroppo loro sono le vittime di un contesto degradato che ha saputo solamente partorire scelte infelici. Investiamo sul grande capitale umano che abbiamo, verrà poi il tempo e il modo di costruire anche con mattone.
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