Chi segue la NBA da diversi anni ha ormai assimilato la suddivisione in Conference della lega, presente sin dal 1970. La Eastern e la Western Conference furono create per dividere geograficamente le squadre e ottimizzare gli spostamenti dei team durante l’anno. A oggi però questo sistema sembra soffrire per diversi motivi e l’inizio della stagione 2024-2025 sta riportando a galla una domanda tanto vecchia quanto attuale. Ha ancora senso il sistema delle Conference? Proviamo a fare un’analisi partendo dall’articolo di Yahoo Sports di qualche giorno fa.
La mediocrità della Eastern Conference dal 2000 ad oggi
Se prendiamo in esame l’inizio della Regular Season di quest’anno notiamo come le squadre dell’Ovest abbiano un record decisamente migliore rispetto a quelle dell’Est. Al 29 Novembre, 10 squadre a Ovest hanno record positivo mentre a Est solamente 4. Un divario molto ampio ma non nuovo nella lega, dato che da inizio millennio la Western Conference è stata generalmente la più competitiva. Se la tendenza dovesse continuare durante questa stagione, l’Ovest potrebbe chiudere con più vittorie dell’Est per la 23esima volta nelle ultime 26 stagioni (solo nel 2008/2009, nel 2021/2022 e 2022/2023 l’Est ha avuto un record migliore).
In questo periodo temporale anche il titolo NBA è andato più spesso a team dell’Ovest (16 vs 9 nelle ultime 25 stagioni). Di questi dati sono ovviamente complici anche due delle più grandi dinastie della storia del basket, entrambe riguardanti team dell’Ovest: i San Antonio Spurs di Gregg Popovich e i Golden State Warriors del binomio Curry-Kerr. Dall’altra parte della medaglia, a Est ci sono stati team che hanno disputato ripetutamente stagioni negative, inficiando l’andamento della Conference. Delle 9 squadre col peggior record in NBA dalla stagione ’99-’00 ad oggi, 8 si trovano nella Eastern Conference, comprese le 3 peggiori (Wizards, Hornets/Bobcats e Knicks).
Ma in generale da anni il livello di competitività della NBA pende verso occidente. Lo scorso anno 10 squadre hanno vinto almeno 49 partite durante la stagione, 7 a Ovest e solamente 3 a Est.
Questo divario influenza soprattutto i calendari dei team e i tabelloni dei Playoff NBA. Le squadre NBA giocano 30 partite contro avversarie della Conference opposta e 52 contro avversarie della propria. Va da sé che giocare più spesso contro squadre generalmente migliori porta a partite in media più difficili e quindi a record più modesti. E qui subentra il tema dei Playoff: in diverse occasioni negli ultimi anni alcune squadre dell’Ovest che hanno mancato l’accesso ai Playoff si sarebbero qualificate se si fossero trovate a Est. Hanno solamente avuto la “colpa” di trovarsi nella Conference più competitiva.
Tutti pazzi per l’Ovest
Non è un caso che molte superstar prediligano giocare nella Western Conference rispetto alla Eastern, sia per una questione sportiva ma alle volte anche ambientale. Si parla di clima, di temperature più confortevoli durante l’anno, di lifestyle sulla costa Ovest degli USA. Ma ovviamente si parla anche di confrontarsi con i migliori giocatori al mondo, più presenti (in genere) nella Western Conference.
Lo confermano sia le trade e le firme dei free agents, che indicano la tendenza di spostarsi da team dell’Est verso team dell’Ovest, ma soprattutto lo confermano i quintetti All-NBA degli ultimi 26 anni. Mai neppure in una stagione l’Est ha avuto più giocatori nel complesso dei 3 quintetti All-NBA. Una statistica molto particolare, che riassume come le grandi stelle della lega prediligano la costa Ovest.
L’espansione a 32 squadre potrebbe risolvere il problema
Come si risolve il grande divario? Da ormai diversi anni nel mondo NBA si parla di espansione. La lega più fascinosa del mondo è “ferma” a 30 franchigie dal 2004, anno in cui entrarono gli Charlotte Bobcats (oggi Hornets). Per la NBA espandersi significa rinnovarsi e aprirsi a nuovi mercati e per questo negli ultimi anni l’attenzione è molta. Ci sono due città in pole position in caso di un’espansione: Seattle e Las Vegas. Per la prima sarebbe uno storico e gradito ritorno dopo la cessione della franchigia nel 2008, i Seattle Supersonics.
Las Vegas invece sarebbe un’assoluta novità nel panorama NBA, nonostante la città ospiti la Summer League da ormai diversi anni e le Final Four della NBA Cup dalla scorsa stagione. La città del Nevada è in grande espansione negli ultimi anni. Ospita un GP di F1 dal 2023, ha accolto una franchigia NFL, è stata costruita “The Sphere”, ha ospitato l’ultimo Super Bowl e ha vinto due titoli consecutivi in WNBA con le Las Vegas Aces (2022 e 2023) e adesso punta forte alla franchigia NBA.
Nel caso di espansione a queste due nuove franchigie (si pensa per la stagione 2027/2028) la NBA dovrebbe ridisegnare il sistema delle Conference. Sia Las Vegas che Seattle si trovano a Ovest degli Stati Uniti e probabilmente un team tra Minnesota, Memphis e New Orleans dovrebbe passare a Est per bilanciare le Conference.
La NBA potrebbe sfruttare l’occasione per rinnovarsi e aggiorare anche il sistema di qualificazione ai Playoff. Molti fan chiedono da anni un sistema 1-16, senza distinzioni di Conference. Questo sarebbe sicuramente più meritocratico e ai Playoff avremmo le migliori 16 squadre della stagione NBA, senza il rischio che qualcuna rimanga esclusa solo perché si trova in una Conference fin troppo competitiva.
D’altra canto la NBA è molto legata alla storia, ai record e alle tradizioni. Modificare il metodo di qualificazione ai Playoff sarebbe un cambiamento storico. Vedremo se il commissioner Adam Silver riuscirà a rendere il formato dei Playoff ancora più competitivo, facendo tornare alto l’interesse attorno ai primi turni. Quel che è certo è che la NBA si trova di fronte a una sfida non facile, bilanciare sport, spettacolo e business. Ma nessuno sa farlo meglio di loro al mondo.
Immagine in evidenza: ©NBAAllStar, X.com
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