In questi giorni Alberto Gilardino, a 36 anni compiuti, ha deciso di lasciare il calcio giocato. Lo ha deciso perché ha capito che è sempre più dura suonare il suo violino, ovvero è sempre più difficile per lui fare la cosa che sapeva fare meglio: il gol, quel gol che ogni volta festeggiava proprio mimando il gesto di suonare il violino.
Gilardino, a dispetto della sua famosa esultanza, calcisticamente parlando non era proprio un violinista, nel senso che non aveva le caratteristiche per deliziare il palato degli appassionati di calcio spettacolo con tocchi di palla sopraffini, ma amava essere essenziale, essere al posto giusto al momento giusto e la sua specialità erano i cosiddetti “gol facili“; il gol non è di per sé facile, occorre solo essere bravi a farlo diventare tale: ecco, in questo Alberto era un maestro: giocava spesso sul filo del fuorigioco, faceva a sportellate con i difensori avversari e cercava di anticiparne i movimenti fidandosi delle sue innate capacità di capire dove il pallone sarebbe andato a finire, il tutto per segnare più facilmente possibile, i gol da fuoriclasse li lasciava volentieri ai fuoriclasse.
Il Gila da professionista ha “suonato il suo violino” ben 273 volte tra campionato, coppe nazionali, coppe internazionali, nazionale maggiore e nazionali giovanili; questi gol hanno prodotto un Campionato del Mondo, un Campionato Europeo under 21, una Champions League, una Supercoppa Europea e un Mondiale per Club.
Alberto Gilardino dà i primi calci al pallone nella squadra del suo paese, ovvero la Cossatese, per poi passare alla Biellese, da dove, nel 1997, viene prelevato appena quindicenne dal Piacenza, che lo inserisce nell’organico della squadra allievi; salito nella squadra primavera, a 18 anni ancora da compiere, il 6 gennaio 2000 viene fatto esordire in serie A da Gigi Simoni.
La stagione successiva, quella del 2000-2001, passa al Verona di Malesani, ma la svolta alla sua carriera arriva, dopo due stagioni nella città scaligera, con la chiamata del Parma di Cesare Prandelli: rimane in Emilia tre anni, i suoi più prolifici a livello realizzativo, raggiungendo il culmine nella stagione 2004-2005, durante la quale, sotto la guida di Silvio Baldini, scuote la rete per 23 volte. E’ proprio quella stagione ad aprirgli le porte di una cosiddetta grande, e la grande che fa il passo decisivo per acquisire le sue prestazioni convincendo il Parma con 25 milioni è il Milan.
Nei tre anni ai piedi della Madonnina, sotto la guida di Carletto Ancelotti, arrivano i titoli più prestigiosi: Champions League, Supercoppa Europea e Mondiale per Club. Paradossalmente, proprio quei tre anni, gli unici ricchi di titoli, non sono per lui da ricordare dal punto di vista personale, dovendo giocarsi il posto con giocatori che si chiamano ad esempio Pato, Inzaghi e Shevchenko: concorrenza da urlo, che ha come diretta conseguenza un impiego altalenante che non lo rende certo un calciatore realizzato; decide allora che la sua priorità è giocare con continuità per poter suonare più spesso il suo violino: ecco che al momento giusto spunta l’occasione Fiorentina, alla quale non si può dire di no, perché la Viola guarda caso è allenata da Cesare Prandelli, l’allenatore che lo ha fortemente voluto al Parma e che lo ha consacrato ad alti livelli, quindi Alberto, da persona intelligente qual’è, non ci pensa due volte ad accettare una sensibile riduzione di stipendio e approdare alla corte dei fratelli Della Valle.
I tre anni e mezzo alla Fiorentina rappresentano la rinascita per Alberto, che segna con regolarità e, anche se non arrivano titoli, conquista il cuore dei tifosi viola che non dimenticheranno mai il suo gol contro la Juventus al Franchi in zona Cesarini, gol che evitò una sconfitta casalinga che sembrava oramai inevitabile e chi conosce l’ambiente gigliato può testimoniare cosa significa una sconfitta casalinga contro i bianconeri. Ma se a Firenze dici “Gilardino”, il tifoso viola in automatico rivede quel gol al Liverpool ad Anfield Road nei minuti di recupero, che sancì una storica vittoria della Fiorentina contro i Reds, nonché un altrettanto storico primo posto in un girone di ferro della Champions League 2009-2010.
Nel frattempo durante queste sue evoluzioni nelle squadre di club Alberto Gilardino fa tutta la trafila nelle varie nazionali, partendo dalla under 15, passando per la under 16, under 19 e Under 21 (con la quale conquista nel 2004 in Germania il titolo Europeo), culminando la sua scalata azzurra collezionando 57 presenze e 19 sviolinate nella nazionale maggiore, con la quale vince la Coppa Del Mondo nel 2006, giocando nell’occasione un po’ con il contagocce, ma segnando un gol contro gli USA e rendendosi protagonista di quell’indimenticabile contropiede solitario, alla fine del quale consegna a Del Piero la palla del 2-0 nella semifinale contro la Germania.
La fine della bellissima avventura a Firenze nel 2012 coincide con l’inizio della parabola discendente della sua carriera. La Fiorentina nel mercato invernale della stagione 2011-2012 lo vende al Genoa, e da quel momento inizia a girovagare con la speranza di rigenerarsi: viene rimbalzato tra Genoa e Bologna, fino a vincere il suo unico scudetto con i cinesi del Guangzhou e tornare nuovamente in Italia nel 2015, cambiando cinque squadre negli ultimi tre anni: Fiorentina, Palermo, Empoli, Pescara e Spezia si alternano nei tentativi di far risalire la sua parabola, ma alla fine Alberto ha capito che nonostante la professionalità e la dedizione al lavoro siano le stesse di sempre, purtroppo non possono fronteggiare il passare degli anni, e il 20 settembre scorso decide di lasciare il calcio giocato.
Il Gila e il suo violino ci mancheranno molto, perché caratterialmente Alberto era delicato come il suono di quel violino che mimava felice, e semplice come i gol che riusciva a fare: mai una polemica, mai un’uscita fuori dalle righe in campo e fuori. Alberto non era un fuoriclasse, ma appende le scarpe al chiodo facendo ovunque qualcosa per essere ricordato e cosciente di aver raggiunto il massimo che le sue possibilità tecniche e fisiche potevano permettergli: questo possono vantarlo solo le persone intelligenti come lui e proprio per questo ha tutte le carte in regola per diventare, nell’attività di allenatore, che ha dichiarato di voler intraprendere, il fuoriclasse che non è diventato sul campo, perché per diventare ottimi allenatori non occorrono mezzi tecnici e fisici ma occorre usare bene il cervello e conoscere il calcio e in questo il Gila è una garanzia.
Grazie di tutto violinista, per quello che ci hai regalato e per rimanere nel nostro amato mondo: a tal proposito ti facciamo un “in bocca al lupo” per il futuro, che poi è un “in bocca al lupo” anche a noi appassionati, perché il mondo del calcio di persone come te ne ha tanto bisogno.
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