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Giovanni Toti racconta il suo badminton: «Spaccavo le racchette, ora sono il primo italiano della storia alle Olimpiadi»

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Il badminton è uno degli sport più completi, seppure si giochi in uno spazio molto ristretto. Finezza e potenza, unite all’astuzia tattica, sono richieste per domare con una racchetta l’aerodinamico e leggerissimo volano. Una disciplina fatta di movimenti delicati e improvvise esplosioni di potenza, di tocchi morbidi e schiacciate spettacolari. Si corre più di un chilometro e mezzo per partita, tra sprint fulminei e veloci cambi di direzione, per mandare al di là della rete il volano, il quale può arrivare a toccare addirittura quasi i 500 km/h. Si gioca al meglio di tre game, ciascuno vinto da chi arriva prima a 21 punti. Un regolamento che ha subito variazioni nel corso del tempo, ma che prese forma già da fine Ottocento. Tutto iniziò nel 1873, quando il Duca di Beaufort, di ritorno da un viaggio a Poona in India, importò questo sport e lo fece conoscere alle sue figlie, che si trovavano nella residenza estiva situata a Badminton, nel Gloucestershire, in Inghilterra.

Giovanni Toti, 23enne di Chiari (Brescia), è attualmente il maggior interprete di questa disciplina in Italia ed è il primo uomo azzurro di sempre a partecipare ai Giochi Olimpici nel singolare. Una qualificazione storica, arrivata grazie al 33esimo posto nel ranking mondiale, in uno sport presente alle Olimpiadi da Barcellona 1992. Di fondamentale importanza nel percorso del lombardo è stato l’ottavo di finale conquistato agli scorsi Giochi Europei e diversi piazzamenti di rilievo raccolti nel corso della stagione. Toti è diventato il terzo atleta di sempre per l’Italia a prendere parte alla rassegna a Cinque Cerchi, dopo Agnese Allegrini a Pechino 2008 e Londra 2012, e Jeanine Cicognini a Rio 2016. Nessuna di loro è riuscita a superare la fase a gironi.

Ci proverà Toti, che ai Giochi Olimpici in corso, dopo aver vinto il match d’esordio contro il surinamese Soren Opti, si giocherà l’accesso alla fase finale nel secondo match della fase a gironi. Una sfida durissima, visto che affronterà il cinese Shi Yuqi, numero uno del ranking mondiale. Ma usciamo dall’Arena Porte de La Chapelle di Parigi e facciamo un passo indietro…

Giovanni, cosa significa essere il primo italiano nel badminton ai Giochi Olimpici?

«Sicuramente è la realizzazione di un sogno, dopo tante sconfitte. Di conseguenza c’è anche un po’ di pressione, ma cerco di farmela scivolare addosso e godermi il momento, restando comunque concentrato e provando a giocare al meglio».

Perché il badminton?

«Da bambino giocavo a tennis, ma proseguire il percorso agonistico era insostenibile dal punto di vista economico per la mia famiglia. Così mi misi alla ricerca di un altro sport. Durante un progetto con la scuola scoprii il badminton, visto che nella mia Chieri (BS) c’è un club attivo da molti anni in questa disciplina. Le spese erano abbordabili. Ho provato, accostandolo inizialmente al tennis che non potevo più praticare. Scoprii presto che era tutto un altro sport».

Cosa ti colpì del badminton e ti spinse a proseguire?

«Semplicemente all’inizio ero l’unico della mia classe che riusciva a colpire il volano durante le ore di motoria. Mi sentivo il più bravo, mi elogiavano ed era una bella sensazione. Giocare a badminton mi faceva e mi fa, tutt’ora, stare bene. Il resto l’ha fatto la volontà di provare a migliorarmi costantemente, esplorare i miei limiti, vedere dove sarei riuscito ad arrivare».

Quando hai capito che il badminton sarebbe potuto diventare la tua vita?

«È stato un percorso graduale. Vincere tornei all’estero poco tempo dopo aver cominciato è stata una grande spinta. Ad allenarmi sempre di più, a motivarmi per la prossima sfida. Tornare a casa con una coppa o una medaglia era molto gratificante. Più tardi mi sono trovato di fronte a una qualificazione olimpica giovanile, a Buenos Aires 2018. Non avevo grandi aspettative, ma averla centrata mi fece capire che il badminton sarebbe potuto diventare davvero la mia vita».

Per arrivare a partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 e scrivere una pagina di storia del badminton azzurro…

«Resto comunque con i piedi per terra. Sono contento soprattutto per il movimento, perché così finalmente il badminton potrà avere più visibilità in Italia. In questi anni mi ha fatto male vedere come sia considerato uno “sport minore”, da spiaggia. Sono a Parigi per dimostrare che non lo è, come nessun altro del resto»

Uno sport completo, dal punto di vista fisico, che lascia molto spazio anche alla tecnica e alla tattica…

«Sì, la preparazione fisica è intensa e si svolge tra sedute di pesistica e lavori sull’agilità dentro e fuori dal campo per allenare i movimenti più frequenti in partita. E poi lunghe sedute in campo, che sono dedicate alla tecnica del gioco».

C’è un aspetto in credi di dover migliorare ancora e su cui stai lavorando di più?

«Sono sempre stato un giocatore che rischia molto in campo, tenta giocate complicate. Negli anni ho perso molti incontri per questo motivo. Negli ultimi due mi sto impegnando a ragionare di più in campo e ad essere più concreto durante una partita».

All’interno di un movimento privo di storia, ti è pesato non avere dei punti di riferimento e d’ispirazione? Ora lo sarai tu per i più giovani…

«Sicuramente sì. Facendo parte di un movimento non ancora “vincente”, è mancata quella figura vicina che prendi d’esempio e provi a imitare, a raggiungere. Siamo una nazionale giovane ed è un punto a nostro sfavore nel complesso. Ho preso ispirazione, però, da atleti di altri sport, dalle arti marziali, di cui sono un grande appassionato».

L’imprevedibilità è una componente fondamentale del badminton, data dal volano. Come ti ci rapporti e come la affronti in campo?

«Lo considero un aspetto legato alla gestione emotiva del gioco. Ho un carattere abbastanza temperato e ho sempre fatto fatica, fin da piccolo, a gestire le emozioni in campo. Quando le cose non andavano come volevo, arrivavo a spaccare le racchette. Maturando, ho iniziato a gestirmi meglio, ad essere meno nervoso durante l’incontro. Dal punto di vista tecnico, invece, sono più carente nella difesa e sto lavorando molto su questo lato».

Qual è il tuo obiettivo alle Olimpiadi?

«Dare il 100%. Non mi pongo limiti, ma tantomeno obiettivi precisi. Voglio sorprendere».

Immagine in evidenza: ©Coni, X

Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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