Dal capoluogo basco di Vitoria-Gasteiz a San Sebastian. La seconda frazione del Tour de France appena iniziato assumerà di certo i connotati di una peregrinazione fra un’austera e misteriosa terra e il ciclismo, sua declinazione sportiva.
Un’oceanica città che traspira ciclismo dedicata ad un martire. “Donostia” in lingua basca, una fusione delle parole “Done”, traducibile con il termine Santo, e “Stia”, semplice contrazione del nome Sebastiano.
Forse proprio tale dedica è intrisa della forte spiritualità ciclistica del popolo dell’Euskadi. Un martire la cui iconografia rievoca dolore e sofferenza, i due principali attori dell’esistenza di ogni ciclista.
Tour de France 1992
Per poter anche solamente sfiorare l’argomento Tour 1992 risulta obbligatorio spingersi nell’annoso esercizio della contestualizzazione. Il 1992 fu un anno chiave per la contemporaneità europea e italiana. Le stragi di Capaci e via d’Amelio scossero il cuore di milioni di italiani, mentre l’esordio delle inchieste condotte dal pool di mani pulite dilaniò quell’alone di invulnerabilità che da decenni rasserenava la politica italiana. Lo scoppio della guerra in Bosnia deteriorò la situazione complessa degli ormai ex territori jugoslavi mentre “l’annus horribilis” della corona britannica rese vana ogni mossa politica al di là della Manica.
In tal contesto il 7 febbraio i 12 paesi membri della Comunità Economica Europea siglarono a Maastricht, ridente città del Limburgo neerlandese già sede di partenza dell’Amstel Gold Race e luogo natio di Tom Dumoulin, il Trattato sull’Unione Europea. Vale a dire il documento che sancirà la nascita di quell’istituzione a noi nota come Unione Europea.
UE Tour
Il Tour del 1992 sarà un’edizione da vetrina per l’Equipe e tutta l’organizzazione della corsa. Nel settembre 1991 infatti il gruppo Amaury, allora anche editore del noto quotidiano Le Parisien, approvò la nascita di una società autonoma destinata alla sola organizzazione di eventi sportivi. Amaury Sport Organisation, nota tuttora con l’acronimo di Aso.
La nascita della nuovo comparto societario spinse i vertici di quest’ultimo a ricercare stimoli organizzativi, giunti proprio dal neo siglato trattato di Maastricht. Vide così luce il Tour più internazionale della propria esistenza, il Tour dell’Unione Europea. Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Lussemburgo, Italia e naturalmente Francia. La Grand Boucle toccò le sei nazioni fondatrici della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio concedendosi un inizio in terra spagnola. O meglio nel piovoso e lussureggiante Euskadi.
Grand Départ 1992 – San Sebastian
Quattro luglio 1992. In un uggioso ma stranamente asciutto pomeriggio basco il Tour prese il via dalla più volte sopracitata San Sebastian con un banale cronoprologo di appena otto chilometri. Come da consuetudine il vincitore dell’edizione precedente calcò le strade in ultima battuta e soprattutto vestendo di giallo. Era all’epoca consuetudine che nella prima giornata di corsa la maglia di leader fosse sulle spalle del trionfatore dell’edizione precedente, ovviamente qualora fosse presente. Appena venti giorni dopo aver trionfalmente chiuso il Giro in rosa Miguel Indurain manifestò il proprio strapotere alle porte di casa, un navarro pronto ad esasperare l’entusiasmo dell’intero popolo basco.
Inutile dire che fu mera apoteosi. I due principali avversari per la classifica generale, il binomio italiano composto da Gianni Bugno e Claudio Chiappucci, iniziarono inesorabilmente a perdere quei secondi, che diverranno minuti nei venturi chilometri contro il tempo, non più recuperabili. Per il resto quell’edizione del Tour fu storia.
Embed from Getty ImagesMiguel Indurain
“Dicono che non ho mai conseguito un’impresa. Perché forare il muro con un dito se c’è il trapano? Il Signore moltiplicò pani e pesci perché non aveva scelta, non per darsi delle arie”
Su uno sport soggiogato dalla non sempre fruttuosa narrativa dell’impresa, Miguel Indurain ha spolverato quel pizzico di razionalità a cui dovremmo saldamente appigliarci. Un antieroe in un canovaccio zeppo di mitologiche figure epiche devote all’attacco, o forse un semplice palladino dai modi desueti ma dai successi lucenti.
Miguelon e i suoi oltre 90 chilogrammi hanno aperto le porte ad una visione più cinica dell’impresa ciclistica, fatta sì di resistenza ma anche di tanta attesa. Un corridore scaltro le cui doti fisiche ben si conciliarono con il fenomeno di tardo secolo che vide un aumento considerevole dei chilometri a crono nei Grandi Giri. Cinque Tour de France e due Giri d’Italia, conquistati entrambi in accoppiata con la Grand Boucle. Un campione, forse il più grande cronoman della storia. Un corridore dall’estetica sopraffina.
Embed from Getty ImagesUn semplice sbalorditivo Interprete della sofferenza ciclistica.
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