A volte ritornano, si ripropongono e creano scompiglio, un po’ come le vecchie glorie nelle squadre di punta, un po’ come gli attori dimenticati nell’oblio del palcoscenico. Lo stesso vale per lo scudetto del 1915, il più conteso e contestato della storia del calcio italiano, forse più del gol di Muntari o dell’assegnazione dei titoli post-Calciopoli.
E’ passato oltre un secolo, eppure per quel trofeo non c’è pace, nemmeno nella bacheca del Genoa che quella vittoria la rivendica con furore, complice i continui corsi e ricorsi storici proposti dai tifosi della Lazio che ritengono di esser stati defraudati del terzo successo tricolore dopo quello del 1974 e del 2000 targato rispettivamente Chinaglia e Cragnotti.
Lo Scudetto contestato
Come i padri di ogni vittoria, i protagonisti di questa vicenda sono molti, più di due, così come coloro che potrebbero rivendicare quella competizione cancellata dall’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e mai conclusa a causa di quel conflitto che non terminò poche settimane dopo come inizialmente previsto, ma che si portò con sé diversi campioni dell’epoca. Sarebbe stato inutile e sciocco diramare la contesa a distanza di quattro anni, a fronte di forze in gioco che erano ormai irrimediabilmente cambiate.
La soluzione più logica apparve quindi quella classica all’“italiana”: attribuire lo scudetto a posteriori al Genoa e lasciare a bocca asciutta Lazio, Napoli, Torino e Inter, tutte ancora ufficialmente in corsa per quella vittoria. Dopotutto cosa aspettarsi di un campionato nato sotto una cattiva stella e conclusosi in maniera ancora peggiore ? Nient’altro che una questione che ancora oggi fa discutere tanto da scomodare pure il Codacons.
La riforma dei campionati e lo scandalo Lissone
Per comprendere al meglio cosa accade nel torneo di “Prima Categoria” 1914-15 è necessario far un passo indietro e giungere nel bollente agosto 1914 quando, mentre l’Austria dichiarava guerra alla Serbia scatenando un dominio dalla proporzioni globali, il calcio italiano si interrogava sulla formula del suo campionato, troppo legato alle fasi regionali che spesso costavano infortuni e problemi alle grandi squadre.
Una matassa difficile da districarsi complice il potere delle piccole squadre che riuscirono a mantenere un format dove le eliminatorie regionali rimanessero comunque attive, ma che favorissero il passaggio delle grandi alla fase finale suddivisa prima in gironi e successivamente a una “final four” ante-litteram che decidesse le sfidanti per il titolo provenienti rispettivamente dal Nord Italia e dal Centro-Sud.
A complicare ulteriormente la situazione vi erano inoltre le differenti regole destinate a controllare le due fasce geografiche del paese: da una parte una sezione settentrionale gestita da un unico campionato, dall’altra il resto del paese suddiviso in tre fasce (Centrale, Meridionale, Insulare) con la vincente del campionato dedicato alle isole destinata ad affrontare quella del torneo meridionale, mentre la squadra in grado di superare questa sfida avrebbe dovuto giocarsi il titolo di “Campione dell’Italia Centro-Meridionale”. Quest’ultima avrebbe preso parte alla finale decisiva per lo scudetto al termine di una formula cervellotica e al limite del bizantinismo.
Lo scandalo Lissone
Sul campionato calarono però anche l’ombra di un calciomercato al limite del legale con il Genoa accusato di corruzione per il tentato tesseramento professionistico di Angelo Mattea, proveniente dal Casale. In un’epoca in cui il dilettantismo ancora imperava, proporre un trasferimento sulla base di un contratto era vietato, tuttavia le sanzioni rimanevano particolarmente labili come dimostrato dai trasferimenti Enrico Sardi e Aristodemo Santamaria dall’Andrea Doria all’altra formazione della città.
La situazione si ripeté con Mattea, portando una multa e la squalifica del campo di via del Piano per due partite nonostante la recidiva, prima di giungere a Pasquale Lissone, portiere del Roman e promesso sposo del “Grifone”. L’estremo difensore della squadra capitolina aveva infatti effettuato un secondo tesseramento con il Genoa, valido solo con il congedo militare, un’autorizzazione che arrivò a fine novembre 1914 continuando però a giocare per il Roman nei fine settimana in cui non era impegnato con i rossoblù.
Questa situazione indispettì l’Audace che informò dell’irregolarità la Presidenza Federale, tuttavia il presidente del Roman sostenne che la comunicazione sarebbe arrivata per telegramma in ritardo.La Federazione prese per buona la motivazione espressa dal patron romano evitando che la squadra venisse colpita dalla perdita a tavolino dei match in cui Lissone era sceso in campo e evitando che la Lazio potesse andare al comando del girone.
L‘ombra della guerra
I presupposti perchè il campionato non giungesse alla conclusione emersero sin prima della partenza con il numero del calcio italiano Carlo Montù che, nonostante le perplessità emerse nel corso dell’assemblea federale andata in scena il 2 agosto 1914 mentre la Germania dichiarava guerra alla Russia, decise di tirare dritto. Il tutto mentre lo stesso Montù sceglieva di fermare l’attività canoistica nazionale in qualità di presidente del Rowing Club Italiano, antenato della Federazione Italiana Canotaggio.
Grosse difficoltà emersero sin da settembre quando, complice la mobilitazione preventiva dell’esercito imposta da Vittorio Emanuele III, portarono numerosi club a non avere a disposizione i calciatori nati nel 1894 a cui si aggiunsero nella primavera del 1915 i ragazzi del 1895. Ciò porto al ritiro di alcuni team cambiando così le carte in tavola e creando alcuni casi particolari tanto da spostare le date dei match.
L’interruzione del campionato
Dopo Pasqua iniziarono le finali nel Nord Italia con un torneo particolarmente equilibrato con il Genoa che incappò in una brutta sconfitta a Torino subendo gol dai granata, ma che al tempo stesso si dimostrò la formazione più regolare presentandosi all’ultima giornata in programma il 23 maggio con la possibilità di laurearsi campione con un pareggio contro il Toro.
Quella sfida non andò mai in scena a causa dell’interruzione imposta dalla FIGC in seguito alla votazione andata in scena al Parlamento Italiano il 20 maggio che destinava i pieni poteri al governo, mentre il 22 veniva annunciata la mobilitazione generale. Una decisione che cancellò qualsiasi possibilità di recupero sia per il Torino che per l’Inter, ancora in corsa per il titolo settentrionale e pronto a giocarsi le ultime chance nel derby con il Milan. Il tutto si sarebbe infatti riaperto nel caso di vittoria dei piemontesi che si sarebbero giocati un posto per la gloria con i rossoblu in uno spareggio così come se i nerazzurri si fossero imposti e i genoani avessero perso si sarebbe addirittura giunti a un triangolare.
Alcune irregolarità nel tesseramento dei giocatori Filippo Pellizzoni e Jean Steiger portarono all’annullamento delle sfide fra Internazionale Napoli e Naples valida per la finale meridionale, una decisione che portò al rinvio delle partite al 16 e al 23 maggio convalidando soltanto l’andata complice l’arrivo della guerra. La vincitrice di questi match avrebbero dovuto affrontare la Lazio che l’aveva spuntata al fotofinish sul Roman, rimandando però il tutto alla fine del conflitto mondiale.
La fine della guerra
Per quanto le squadre provenienti dall’Alta Italia fossero favorite per la conquista del titolo e al Genoa bastasse soltanto un punto per gettarsi nella mischia decisiva, per cucirsi sul petto lo scudetto tricolore vi erano ancora in gioco almeno sei formazioni. La disputa si sarebbe addirittura risolvere prima dello stop causato dal conflitto con l’anticipazione della penultima giornata del campionato del Nord Italia al 13 maggio, in periodo infrasettimanale, e disputare l’ultima gara il 16 maggio. L’undici nato all’ombra della Lanterna si oppose fortemente, criticando al tempo stesso la decisione di non scendere in campo il 23 maggio quando gli incontri delle categorie inferiori si disputarono comunque.
Complice l’impossibilità di decidere le sorti della Prima Categoria 1914-15 con criteri eguali, la FIGC pensò di assegnare il titolo definitivamente al Genoa, considerata la squadra più vicina a raggiungere quel traguardo, non prendendo nemmeno in considerazione i team provenienti dal Centro-Sud. Un’assegnazione che avvenne in realtà dopo un lungo percorso caratterizzato dai ricorsi promossi da Torino e Inter, annunciata nel settembre 1919 e definitivamente sigillata l’11 dicembre, quattro giorni dopo l’accordo fra FIGC e Confederazione Calcistica Italiana (CCI).
L’assegnazione postuma del titolo al Genoa
Secondo alcune ricostruzioni l’assegnazione ufficiale della vittoria al Genoa non sarebbe mai avvenuta in quanto i liguri sarebbero stati insigniti soltanto del successo nel campionato del Nord Italia e soltanto nell’ “Annuario Italiano Giuoco del Calcio” pubblicato nel 1930 sarebbe comparso il nome del “Genoa Club” nell’albo d’oro alla casella “1914-15”. Nell’edizione del 1928 risultava ancora “sospeso” il giudizio su quel campionato, mentre la pubblicazione “Internazionale – Venti anni di football” sottolineava come “la Federazione assegnò ai giocatori del Genoa una speciale medaglia” quasi si trattasse soltanto un riconoscimento onorifico.
Difficile ricostruire quanto effettivamente fosse accaduto complice alcune scelte createsi con il passare del tempo, come la considerazione dai parte della Lazio di esser titolari dell’affermazione del Campionato Centro-Sud nonostante non si fosse disputata alcuna finale. Nonostante sia passato ancora un secolo questa vicenda continua a far discutere e con ogni probabilità lo continuerà a fare ancora per anni senza trovare un’effettiva soluzione.
Se vuoi leggere la puntata precedente della serie “Calcio d’Antan” dedicata allo “scudetto del Duce” della Roma del 1942 vai a questo link
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