Su Vita Sportiva nasce una nuova rubrica: #InternationalVS. Come dice il titolo stesso, il nostro sito allarga gli orizzonti dando spazio ad articoli tradotti dalle più grandi testate del mondo. Protagonista resta lo sport in tutte le sue sfaccettature. Selezioneremo per voi i pezzi più interessanti, nella speranza di far crescere le proprie conoscenze e offrire nuovi spunti di riflessione.
Gli allenatori (uomini) di Mary Cain erano convinti che lei dovesse diventare “molto, molto, molto più magra.” E poi il suo corpo ha iniziato a collassare.
Introduzione
A 17 anni, Mary Cain era già un fenomeno da record: la più veloce ragazza della sua generazione, e la più giovane statunitense di sempre ad essere convocata in un mondiale di atletica leggera. Nel 2013, firmò per il miglior team di atletica leggera del mondo, il progetto Oregon della Nike, gestito dal coach numero uno della multinazionale statunitense, Alberto Salazar.
Poi tutto è crollato. Il suo declino è stato spettacolare esattamente quanto lo era stata la sua ascesa, e Mary ha deciso di condividere questa storia per la prima volta in un video op-ed per il sito del New York Times.
Invece di diventare un simbolo dell’illimitato potenziale delle donne nello sport, la Cain è diventata ancora un’altra giovane atleta che è stata sconfitta dalla cultura della vittoria a tutti i costi. Ragazze come lei diventano merci andate a male e vengono buttate via. Raramente riusciamo a sentire cosa ne è stato di loro; semplicemente, voltiamo pagina.
Il problema è così comune, che ha interessato anche l’unica altra atleta donna che compariva nello stesso video pubblicitario della Nike in cui Cain era apparsa nel 2014, la pattinatrice artistica Gracie Gold. Quando il video uscì, Gold, come Cain, era un prodigio, considerata talmente talentuosa da poter vincere una medaglia d’oro alle future Olimpiadi. E, come Cain, Gold è rimasta intrappolata in un sistema dal quale era forzata a diventare sempre più magra. Gold ha sviluppato disturbi alimentari al punto di pensare di togliersi la vita.
La Nike è stata recentemente travolta da accuse di doping riguardanti Salazar. L’allenatore è al momento sospeso per quattro anni, ed il suo team è stato smantellato. Ad ottobre, l’amministratore delegato della Nike si è dimesso.
La cultura che Salazar ha creato resta in vita.
Kara Groucher, una fondista olimpionica che si è allenata con lo stesso programma di Salazar fino al 2011, ha detto di aver vissuto sotto le stesse condizioni, con i compagni di squadra che venivano pesati davanti a tutti gli altri.
“Quando ti alleni in un programma del genere, ti viene costantemente ricordato di quanto tu sia fortunata ad essere lì, di quanto chiunque vorrebbe essere lì, ed hai questa strana sensazione che,’Be’, allora non posso mollare. Chi sarei senza di loro?”, ha detto Goucher. “Quando qualcuno ti propone qualcosa che non vorresti fare, che sia perdere peso o prendere una pastiglia, ti chiedi, ‘Ce n’è bisogno? Forse sì, e non voglio avere rimpianti.’ Le nostre carriere sono così brevi. Sei disperata. Vuoi capitalizzare la tua carriera, ma non capisci a quali costi.”
Kara ha detto che, dopo che un allenatore in seconda le preparava pasti inconsistenti, si trovava spesso a dover mangiare qualcos’altro nel privato della propria stanza, con la paura che quello avrebbe potuto sentirla aprire le confezioni delle barrette energetiche che nascondeva.
Buona parte di questo problema è che le donne e le ragazze vengono forzate a raggiungere degli standard atletici basati sullo sviluppo di uomini e ragazzi. Se provi a far rispettare ad una ragazza una scheda di sviluppo pensata per un ragazzo, il suo corpo corre il rischio di collassare. E questo è ciò che è successo a Mary Cain.
Dopo mesi di dieta e frustrazioni, Cain si è trovata a dover scegliere se continuare ad allenarsi con il miglior team del mondo, sviluppando potenzialmente l’osteoporosi o addirittura l’infertilità. Per tre anni non ha avuto il ciclo mestruale, e si è rotta cinque ossa. E’ passata dall’essere un’olimpionica unica in una generazione a sviluppare tendenze suicide.
“Gli Stati Uniti amano le belle storie dei bambini prodigio, il business non vede l’ora di poter sfruttare quella storia, specialmente quando si tratta di una ragazza”, dice Lauren Fleshman, che ha corso per la Nike fino al 2012. “Finchè hai questo tipo di brave ragazze, ragazze pronte a seguire le istruzioni alla lettera, troverai un sistema che è felice di prenderle. E gli abusi dilagano.”
Di solito non sappiamo niente delle vittime di questi sistemi – ragazze che hanno provato a starci dentro finché il loro corpo non è crollato ed hanno dovuto abbandonare lo sport. E’ più facile concentrarsi sulle nuove stelle, e dimenticarsi di quelle che sono svanite. Idolatriamo gli atleti in ascesa, ma poi non li proteggiamo. E se per caso falliscono nel raggiungere ciò che ci aspettavamo da loro, li abbandoniamo.
Mary Cain ha 23 anni, e la sua storia sicuramente non è finita. Facendo sentire la propria voce, la sta portando avanti.
Ero la ragazza più veloce d’America
Ero la ragazza più veloce d’America. Ho battuto diversi record nazionali, mentre ero una studentessa modello. A 16 anni sono stata chiamata da Alberto Salazar alla Nike. Lui era il più famoso allenatore di atletica al mondo, e mi disse che ero l’atleta più talentuosa che avesse mai visto. Al primo anno di college, mi sono trasferita ai quartieri generali della Nike per potermi allenare con lui ed il suo staff a tempo pieno. Era il team degli atleti più veloci al mondo, e per me era un sogno diventato realtà.
Ho scelto la Nike perché volevo diventare la più grande atleta della storia. Invece, sono stata abusata, emotivamente e fisicamente, da un sistema disegnato da Alberto ed avallato dalla Nike.
Questo è ciò che mi è successo.
Appena sono arrivata, uno staff Nike fatto di soli uomini ha deciso che per poter andare più veloce, dovevo diventare più magra. E più magra. E più magra. Il team Nike era il più grande programma corse del Paese, eppure non avevamo degli psicologi sportivi certificati, non c’erano nutrizionisti ufficiali… era piuttosto un gruppo di amici di Alberto, per cui ogni volta che mi rivolgevo a qualcuno in cerca di aiuto, la risposta era semplicemente sempre la stessa: stai a sentire Alberto.
Alberto cercava costantemente di farmi perdere peso: aveva scelto arbitrariamente un numero di 114 libbre (51,7 kg, e Mary Cain è alta 170 cm, ndt), ed era solito pesarmi davanti a tutti i compagni di squadra, e rimproverarmi pubblicamente se non stavo perdendo peso. Pur di riuscirci, volle farmi prendere pillole anticoncezionali e diuretici, e questi ultimi non sono legali nell’atletica leggera. In quel periodo correvo in maniera terribile. Raggiungemmo un punto in cui ero sulla linea di partenza ed avevo già perso la gara prima ancora di iniziarla, perché nella mia testa tutto ciò che riuscivo a pensare non era il tempo che stavo cercando di ottenere, ma il numero che avevo visto quella mattina sulla bilancia.
Sarei naif se non riconoscessi che il peso è importante nello sport. Certo, i pugili hanno bisogno di mantenere un certo peso, ed ovviamente ognuno finisce sempre per fare il calcolo giusto per cui, più magro sei e più velocemente correrai, visto che devi portarti dietro meno peso. Ma c’è una lezione di biologia che ho imparato nel peggiore dei modi: quando delle giovani ragazze sono forzate a spingersi oltre le proprie possibilità alla loro età, rischiano di sviluppare la RED-S (sindrome chiamata in italiano ‘Triade dell’atleta femmina’, che comporta, tra le varie cose, amenorrea ed osteoporosi, ed i cui esiti possono essere devastanti e durare anche per tutta la vita, ndt). D’improvviso ti rendi conto di non aver avuto il ciclo per un paio di mesi, e poi due mesi diventano due anni, e nel mio caso il totale è stato di tre anni. E quando non ti viene il ciclo, non sei in grado di raggiungere i livelli necessari di estrogeni per poter mantenere forti le tue ossa.
E nel mio caso, mi sono rotta cinque ossa.
Il New York Times pubblicò una storia su quanto bene Alberto stesse allenandomi e coltivando il mio talento. Non stavamo facendo niente di ciò di cui si parlava. Ero impaurita. Mi sentivo sola ed intrappolata, ed ho iniziato a pensare al suicidio. Ho iniziato a tagliarmi. Alcune persone mi vedevano mentre lo facevo e nessuno ha mai davvero detto o fatto qualcosa.
Poi nel 2015, ho corso questa gara in cui non andai molto bene. Subito dopo la gara arrivò un temporale, per cui ci ritrovammo con la maggior parte dello staff sotto un tendone. Alberto si mise ad urlarmi contro davanti a tutto il raduno, e mi disse che era evidente avessi messo su almeno cinque libbre (poco più di due kg, ndt) prima della gara. Fu quella sera stessa che raccontai ad Alberto e ai nostri psicologi sportivi che avevo iniziato a tagliarmi, e tutto quello che mi dissero fu che volevano soltanto andarsene a dormire.
E penso che questo sia stato per me il colpo definitivo, fu quando pensai: “Questo sistema è malato”. Credo che anche per i miei genitori fu così: una volta che riuscii finalmente a raccontarglielo, erano inorriditi. Mi comprarono subito un biglietto per il primo aereo per tornare a casa. Mi dissero, sali su quell’aereo, scappa via di là.
Ormai avevo anche rinunciato a provare a correre le Olimpiadi; stavo soltanto provando a sopravvivere. E quindi ho preso una decisione dolorosa ed ho lasciato la squadra.
Queste riforme adesso (la Nike ha sospeso il programma di Salazar, ndt) sono più che altro una conseguenza diretta dello scandalo doping. Non stanno riconoscendo il fatto che c’è una crisi sistemica nello sport femminile ed alla Nike, dove i corpi di giovani ragazze vengono rovinati da un sistema che ne abusa emotivamente e fisicamente. Questo è ciò che deve cambiare, ed ecco come possiamo farlo:
- primo, la Nike deve cambiare. Nell’atletica leggera, la Nike è onnipotente. Controllano i migliori allenatori, atleti, gare, anche gli organismi di governo. Non puoi semplicemente licenziare un allenatore ed eliminare un programma, e fingere che il problema sia risolto. La mia preoccupazione è che la Nike stia soltanto cercando di cambiare il marchio al vecchio programma per poi affidare di nuovo gli incarichi ai vecchi assistenti di Alberto.
- secondo, abbiamo bisogno di più donne al potere. Una parte di me si chiede dove sarei oggi se avessi lavorato con più donne nel ruolo di psicologi, nutrizionisti ed anche allenatori. Sono stata inserita in un sistema disegnato da e per gli uomini, e che distrugge i corpi delle ragazze. Piuttosto che forzare le ragazze a cavarsela da sole, dovremmo proteggerle.
Nutro sincere speranze nello sport, ed ho intenzione di correre ancora per molti anni; e parte della ragione per cui sto facendo tutto questo adesso è che voglio chiudere questo capitolo ed iniziarne uno nuovo.
Postfazione
In una email di risposta al New York Times, Salazar ha negato buona parte delle accuse di Cain, e ha detto di aver sempre supportato la sua salute ed il suo benessere.
La Nike inizialmente non ha risposto alla richiesta di lasciare un commento, salvo poi dichiarare, in seguito alla pubblicazione del video:
“Queste accuse ci turbano profondamente, ma non erano mai state mosse prima, né da Mary né dai suoi genitori. Mary ha provato a rientrare nel progetto di Alberto Salazar nell’aprile di quest’anno, e durante quel processo non ha sollevato alcuna di queste preoccupazioni. Prendiamo molto seriamente le sue accuse, e faremo partire un’immediata investigazione interna per sentire gli atleti dell’ex progetto Oregon. Alla Nike cerchiamo di porre sempre l’atleta al centro di tutto ciò che facciamo, e queste accuse sono assolutamente inconciliabili con i nostri valori.
Il giorno dopo, Mary Cain ha risposto alla Nike:
Per molti anni, l’unica cosa che volevo al mondo è stata l’approvazione di Alberto Salazar. Gli volevo ancora bene. Alberto è stato come un padre per me, o meglio come un dio. La scorsa primavera gli ho detto che volevo lavorare di nuovo con lui – soltanto con lui – perché quando hai permesso a qualcuno di farti a pezzi a livello emotivo, brami la sua approvazione più di ogni altra cosa.
Sono stata vittima di un sistema violento, di un uomo violento. Ero costantemente tormentata dal conflitto tra il volermi liberare di lui ed il voler tornare a come erano le cose quando ero la sua preferita. Il mese scorso, dopo l’inchiesta sul doping che ha portato alla sua sospensione, ho provato un improvviso sollievo. Mi ha aiutato a capire che questo sistema non è a posto. Ecco perché ho deciso di parlare soltanto adesso.
Le persone non dovrebbero mai aver paura di farsi avanti. Spero che questa investigazione interna della Nike si focalizzi sulla cultura che Alberto ha creato. La Nike ha la possibilità di portare ad un cambiamento e proteggere i propri atleti, d’ora in poi.
Clicca qui per leggere l’articolo originale, pubblicato sul New York Times il 07/11/2019.
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