Pallamano

Dagli inferi a Paradiso Città: cos’è stata la pallamano italiana fino a oggi?

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Nell’inferno di Podgorica, abbiamo portato la luce, abbiamo tracciato la nostra via, abbiamo scritto un futuro nuovo, un futuro tinto d’azzurro. Siamo partiti dalle retrovie, dal primo turno. Siamo risaliti dai sotterranei dell’anonimato, abbiamo masticato amaro, abbiamo versato le lacrime di chi soffre ma che sa, in cuor suo, che il sogno presto o tardi diventerà realtà“. È con questa meravigliosa poesia in prosa che il telecronista Matteo Aldamonte annuncia all’Italia intera la qualificazione della nazionale italiana ai Mondiali di pallamano 2025. Parole che grondano di passione e di umiltà. L’umiltà di un movimento che per troppo tempo “avrebbe potuto fare” e “non ha mai fatto” ma che già da qualche anno ha intrapreso un corso piuttosto interessante. Il culmine? Una qualificazione al Mondiale, a suo modo, miracolosa. Ma, in principio, fu Kumamoto.

Kumamoto, l’azzurro dentro l’iride giapponese

Una città poco più grande di Palermo, incastonata, tra l’altro, nel meridione giapponese. Kumamoto rappresenta la città che ha ospitato le principali partite del Mondiale di pallamano del 1997, la prima e unica volta in cui l’Italia ha avuto l’onore di sedersi al tavolo delle grandi. 

Fino ad oggi, infatti, Kumamoto è stata per la pallamano italiana quello che è Atene è stata per la pallacanestro o Tokyo per l’atletica: il punto più alto della storia di uno sport non avvezzo a grandissimi trionfi. Anzi, tutt’altro.

L’Italia di quel Mondiale giapponese aveva giocatori talentuosi e intelligenti. Non a caso, tanti sono poi diventati tecnici di spicco del panorama italiano. Quelli di Prantner, Fusina, Massotti, Tarafino sono nomi basilari della nazionale azzurra. E se questi giocatori hanno rappresentato le fondamenta della nostra pallamano, il capo-cantiere è stato nientemeno che Lino Červar, il Mago di Umago, figura mitica e carismatica, che si sarebbe poi tolto la soddisfazione di vincere Mondiale e Olimpiade con la sua Croazia. Červar è senza dubbio il volto della pallamano internazionale più legato al movimento italiano, avendo contribuito, per quanto possibile, ad affermarne una buona credibilità. Erano i tempi in cui gli scudetti oscillavano tra Trieste (per palmarès, la Juventus della pallamano) e Prato (la casa di Zaim Kobilica, altro cardine azzurro che troppo presto ha dovuto lasciare questa terra).

Il Mondiale di Kumamoto, preceduto da un’importante vittoria in amichevole contro la Russia campione d’Europa in carica, si chiuse per l’Italia con un bottino modesto. Sconfitte contro la Francia dell’iconico Jackson Richardson e contro Svezia e Corea del Sud; pareggio contro la Norvegia e vittoria su una modestissima Argentina.

Nulla può comunque scalfire la straordinarietà di quell’Italia e di quel Mondiale 1997, per troppo tempo rimasto l’unico della storia della pallamano azzurra.

Tbilisi, la risalita attraverso i giovani

Da Kumamoto in poi, purtroppo, l’Italia vive anni di quasi totale anonimato. “Quasi” perché, in realtà, una buona generazione di giovani giocatori, insieme a una gestione federale che finalmente sembra voler far uscire la pallamano dalla sua nicchia, portano, nel 2018, a Tbilisi, la nazionale giovanile alla vittoria dell’Europeo U18 di seconda divisione (la Serie B del torneo continentale). Su quelle maglie azzurre ci sono i cognomi dei fratelli Prantner, dei gemelli Mengon, di Thomas Bortoli e di altri giocatori che ora sono in pianta stabile nella nazionale maggiore, insieme ai più esperti.

La gioia di Tbilisi non deve restare estemporanea ma, al contrario, deve essere da sprone per tutto il movimento pallamanistico, soprattutto perché arrivato dalle speranze del settore giovanile. 

2023. Qualificazione al Mondiale 2025. Tre turni, tutti da giocare sulla doppia sfida andata/ritorno. La prima sfida è anche quella più esaltante e forse quella che ha dato l’accelerazione necessaria al raggiungimento del traguardo iridato.

Si gioca con la Turchia: andata lì da loro, ritorno a Chieti. Senza girarci troppo intorno, a Sakarya, si consuma una disfatta azzurra. I padroni di casa si impongono 37-28. L’ennesima brutta sconfitta, l’ennesima delusione: l’Italia sembra averci fatto il callo. Mancavano, tra gli altri, Bortoli e Davide Bulzamini, un difensore che tra averlo e non averlo c’è tutta la differenza del mondo. Ovviamente, le assenze di certi giocatori non possono essere alibi. Una partita ben condotta nei primi venticinque minuti dall’Italia, poi sfaldatasi sotto la pressione fisica degli avversari, in un catino di tremila turchi urlanti.

Da Sakarya a Chieti, all’inferno e ritorno

A questo punto, a Chieti, bisogna vincere con almeno dieci reti di scarto. Viste le premesse, la disillusione di rinunciare al sogno mondiale c’è. Ma, non si capisce per quale assurdo motivo, come si dice, la speranza è l’ultima a morire. E allora, nella Casa della Pallamano di Chieti, centro tecnico federale, quantomeno, bisogna fare bella figura.

Il clima, però, non è dimesso. Tutt’altro, è carico, come se ci sia la consapevolezza che sì, dai, in fondo, si può fare. A Chieti, già dai primi minuti, è l’Italia a fare la Turchia e viceversa. Al sostanziale equilibrio iniziale, segue, come un climax ascendente, una sfuriata azzurra che porta l’Italia a metà dell’opera. All’intervallo, le reti da recuperare sono passate da dieci a cinque. Solo cinque.

Il professor Pablo Marrochi tiene una lezione da accademia di pallamano, smistando palloni a destra e a sinistra. Dietro, Mimmo Ebner e Andrea Colleluori, in porta, tirano giù la saracinesca e lasciano ai turchi le briciole. Un’Italia concentrata, solida in entrambe le fasi, che riesce a mettere sotto una nazionale avversaria ben più quotata sotto tutti i punti di vista. Marrochi palla in mano, manca niente alla fine. Sorriso sulla bocca di tutti. Perché è finita… 37-27, ha vinto l’Italia, ha vinto di dieci e guadagna l’avanzamento al secondo turno di qualificazione verso il Mondiale 2025.

Adesso Herning, Paradiso Città

È solo il primo dei tre turni, è vero, ma forse è la chiave di volta di tutto il percorso di qualificazione. E, in senso più ampio, di tutta la crescita della pallamano in Italia. Sotto tutti i punti di vista.

Il secondo turno contro il Belgio è stato superato agilmente, aspetto per nulla scontato, visto il passato. La terza e decisiva sfida contro il Montenegro, la proverbiale ciliegina sulla torta. Tra l’ambiente amico di Conversano e l’infernale Podgorica di cui sopra, l’Italia ha saputo superare quello che nella maratona viene detto muro, il momento più faticoso e arduo, dopo il quale la corsa dovrebbe farsi leggermente meno dura. Le ottime prestazioni contro Spagna e Serbia nelle ultime due partite ufficiali, in questo senso, rappresentano una confortante conferma.

Kumamoto, Tbilisi, Sakarya, Chieti, Conversano, Podgorica. Adesso Herning, cittadina danese, sede delle partite dell’Italia in questo secondo Mondiale della storia della pallamano azzurra. In questo viaggio dantesco iniziato negli inferi, l’Italia è partita per la risalita. E ha appena preso un treno che va a Paradiso Città.

Immagine in evidenza: FIGH

Giuseppe Bernardi

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